Liberamente Tratto

Così, a quanto pare, Muriel Barbery non è soddisfatta del film che hanno tratto dal suo libro L’Eleganza del Riccio, e tiene a farlo sapere.

Non ho visto il film, e devo confessare di non avere nemmeno letto il libro. E’ raro che mi avventuri a leggere un libro circondato da tanto hype… è più forte di me. Non ho letto nemmeno (tremo nello scriverlo) La solitudine dei numeri primi… 

Ma non divaghiamo. Il punto è che solidarizzo cordialmente con la signora Barbery, da lettrice ancor prima che da scrittrice. Mi piacerebbe dire che non guardo mai i film tratti dai libri che mi sono piaciuti, ma non sono così saggia. Li guardo e spesso rimango delusa. Oppure leggo il libro dopo avere visto il film, e scopro che si tratta di tutt’altro.

Per esempio, sapevate che A Colazione da Tiffany non finisce affatto con il gatto ritrovato e Holly e Paul che si abbracciano sotto la pioggia? Oh, proprio no.

Ma pare che agli sceneggiatori tutto sia concesso… be’, in realtà no: fanno quello che fanno (e talvolta commettono le atrocità che commettono) per aderire agli schemi che sono più promettenti dal punto di vista degli incassi… Però viene da domandarsi che cosa sarà parso a Paolo Maurensig, per citarne uno, delle bizzarre (chiamiamole così) modifiche al suo Canone Inverso. Qualcuno, un giorno, mi spiegherà la necessità narrativa dell’aggiungere una figlia e un lager alla vicenda, e di trasformare i baroni austriaci Blau in ricchi ebrei à la Finzi Contini… Senza contare che il David del film non potrebbe essere più diverso dal Kuno del libro.

Perché è vero che comprimere un romanzo in un’ora e mezza di film può richiedere soluzioni drastiche, eliminazione di episodi o frullato di personaggi secondari, ma lo spirito del libro non conta proprio nulla? Una volta che abbiamo il titolo e il nome del protagonista dobbiamo ritenerci contenti?

Prendete La Lettera Scarlatta di Hawthorne, che è una storia molto cupa di colpa, peccato e tradimento cum ostracismo sociale, sine perdono… E prendete l’adattamento cinematografico del ’95, con Demi Moore. No, voglio dire, Demi Moore come Hester Prynne! Già una scelta simile lascia perplessi, ma aggiungeteci una serie di scene di sesso gratuite, un’abbondanza di rivendicazioni simil-femministe (e ricordo che stiamo parlando di una storia ambientata nel XVII Secolo) e un L-I-E-T-O F-I-N-E, e cosa avrete? Di sicuro, Nathaniel Hawthorne che si rivolta nella tomba, e in più un film mediocre.

A volte la questione è tutta diversa. Il Lord Jim di Richard Brooks, tratto da Conrad, si prende una certa quantità di licenze secondarie rispetto al romanzo, per lo più scorciatoie rispetto a rapporti interpersonali che Conrad crea per sovrapposizioni obiettivamente poco adatte ai ritmi cinematografici. Il problema è quando il film perde per strada lo spirito e il significato del romanzo. Invece di una tragedia dell’incapacità di venire a patti con se stessi e con la realtà, ci si ritrova con un’avventurona colonial-nautica. Una delle particolarità di Lord Jim è che si tratta di una trama melodrammatica narrata in modo superbo attorno a un personaggio caratterizzato nel più sottile, dolente e tragico dei modi. Il film coglie il melodramma e manca di gran lunga tutto il resto. Risultato: Peter O’Toole che si aggira per due ore e mezzo tra tolde di navi e palme, con gli occhioni blu sgranati nel vuoto.

Per restare nell’ambito dei miei grudge personali, c’è una versione Anni Quaranta di Kidnapped in cui David ha una decina d’anni anziché diciotto, ed è provvisto di una sorella maggiore (in gonna di tartan, maniche a sbuffo e scialle) che -indovinate un po’ – finisce con lo sposare Alan! Er… sì.

Quando poi si tratta di adattamenti per bambini, si passa ogni limite. La buona, vecchia Disney si è macchiata di una certa quantità di crimini piuttosto eclatanti, come il lieto fine de Il Gobbo di Notre-Dame, o quello de La Sirenetta, tanto per citarne due. Tanto, né Victor Hugo né Andersen possono più protestare… Alexander Lloyd avrebbe potuto, per la macellazione della sua Saga di Prydain ne Il Calderone Magico, e anzi mi chiedo se non l’abbia fatto.

Tutto sommato, però, la Disney non mostra altro che una tendenza recidiva ad addomesticare finali… per restare nell’ambito dei film d’animazione, che dire dell’inqualificabile Il Castello Errante di Howl di Miyazaki? Oh, è tutto molto grazioso, squisitamente disegnato, poetico, delicato… peccato che del romanzo omonimo da cui è tratto conservi il titolo, un certo numero di protagonisti e qualche vago riferimento alla trama, spostati però su una vicenda antimilitarista completamente estranea. Questo perché a Miyazaki stanno a cuore i temi pacifisti e le macchine volanti… E adesso vi state ponendo anche voi la mia stessa domanda, vero? Perché diavolo doveva prendere il titolo e i protagonisti di qualcun altro per raccontare la storia che stava a cuore a lui?

A suo tempo, intervistata in proposito, Diana Wynne-Jones, l’autrice del romanzo, si affrettò a dire che non aveva avuto nulla a che fare con la realizzazione del film. Insomma, se ne discostò quanto poteva, anche se con un po’ meno veemenza di quella che ha usato Muriel Barbery. Tuttavia, immagino che la reazione sia stata la stessa: “So di avere venduto i diritti, ma perché, perché perché hanno fatto questo al mio libro”?

Si può capire che, in queste circostanze, liberamente tratto diventi davvero l’ultima consolazione, a cui aggrapparsi con le unghie e con i denti. E quindi non so che cosa il regista de Il Riccio abbia tradito, se lo spirito, la trama, l’atmosfera del libro o tutto quanto, ma per quel che vale, M.me Barbery, sono con lei.

 

Liberamente Trattoultima modifica: 2010-01-06T08:42:00+01:00da laclarina
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7 Commenti

  • Un po’ di tempo fa anch’io ho scritto un post sull’impossibilità di vedere un film tratto da un libro di successo (letto) senza sentirsi in preda a convulsioni gastriche o di noia mortale nel leggere il libro dopo aver visto il film.

    A parte le atmosfere cupe e angoscianti degli ultimi episodi, credo che i film della saga Harry Potter siano stati gli unici a rispettare le vicende narrate nei libri… forse perché (come mi sembra d’aver letto un po’ di tempo fa) l’astuta Rowling si sia tenuta stretta i suoi diritti d’autore?
    Tu ne sai qualcosa al riguardo?
    Sonia

  • Vorrei sapere se allo schizzinoso birignao della scrittrice è seguita la restituzione dei diritti d’autore…
    In alcuni casi è accaduto con conseguente disconoscimento dell’opera cinematografica (Se il libro è veramente valido le disfatte cinematografiche sono garantite e anche le loro perdite!)
    Giovannino Guareschi é stato uno degli autori che più si è dolùto dell’essere rivisto e corretto e per giunta non mi risulta neppure che nei titoli dei film seriali di Don Camillo e Peppone ci fosse la famosa frase “liberamente tratto”, Le liti col regista sia sulla scelta degli interpreti che sulle variazioni di luoghi, nomi dei protagonisti e fine dei racconti sono aneddoti di storia ma anche il questo caso non mi risulta restituzione di alcuna somma dei diritti o ingiunzione ad usare altri nomi per i protagonisti. Allora questi scrittori sono duri e puri o vogliono mostrare un pò di puzza sotto al naso?

  • @ Sonia: hmm… non so. Fino ai primi tre film, concordo con te. Dal quarto in poi, hanno cominciato a (dover) sfrondare così tanto la trama che la logica narrativa ne soffre alquanto, secondo me. Magari è un’impressione. In compenso è impressionante la cura con cui i film ricostruiscono il mondo creato dalla Rowlings nel minimo dettaglio.

    @ Lanonresponsabile: restituire i diritti? E perché mai? Semmai dovrebbero pagarla un po’ di più, perché una cosa è certa: pubblicitariamente parlando, per il distributore italiano, una polemica simile vale 100 volte il peso dell’autrice in oro! 🙂
    E a dire il vero, credo che non sia questione di durezza&purezza, e nemmeno di puzza sotto il naso: già l’interpretazione “sbagliata” di un singolo lettore può essere alquanto sconvolgente, figurarsi un adattamento cinematografico infedele! Non è umano protestare che “questo non è affatto quel che avevo scritto”?

  • Proprio in questi giorni ho scambiato un saggio di Bauman per il riccio, tramite anobii. Leggerò. (A proposito di hype, in questi giorni sul blog della lipperini una animatissima discussione sui monnezzoni)

    Mi viene in mente il caso “Io sono leggenda”. Mai visto niente di simile. Il senso, il finale e il carattere del personaggio di R. Matheson sono LETTERALMENTE capovolti. Altro che sfoltire la trama.

    Infine, a rischio di litigare definitivamente 😉 devo confessare che Colazione da Tiffany film mi ha marchiato tanto a fondo da -ehm- insomma, mi ha deluso il finale del romanzo, ecco.

  • @ Renzo: fammi sapere del Riccio, quando avrai letto. “Io Sono Leggenda” è uno di quei casi… e poi uno scrittore non deve avere travasi di bile? Quanto a Colazione da Tiffany, non credo che litigheremo, per questa volta. Vedi post 7 gennaio.

  • segnalo en passant che myazaki è ricordato in positivo per aver fatto la stessa cosa con “the incredible tide”, romanzetto precursore si di distopie di decenni a venire, ma universalmente considerato mal scritto e povero, che è diventato “Conan, il Ragazzo del Futuro”. e se dev’essere questo il risultato, mi va anche bene che l’autore dell’opera originale sia dimenticato…

  • @Netalex: mah, dipende… non conosco The INcredible Tide, e quindi non sono in grado di esprimermi, ma il Castello è un’ottima storia, ben scritta, completa, significativa. E vederla stravolta, aperta in due, girata a 45° e ricucita su un tema e un significato che DWJ non aveva inteso nemmeno da lontano… Non puoi negare che non è più Howl’s Moving Castle. Sono i personaggi del romanzo che fanno tutt’altro in un mondo diverso da quello del libro. E allora, torno a domandarmi: perché non creare tutto da zero e fare una storia originale?