Gen 18, 2010 - Oggi Tecnica, scrittura    Commenti disabilitati su Il Medico di Se Stesso, ovvero La Scrittura da Dentro II

Il Medico di Se Stesso, ovvero La Scrittura da Dentro II

E oggi, parte II di La Scrittura da Dentro alla Libera Università del Gonzaghese. So che sembra un annuncio, ma aspettatevi una confessione personale prima della fine.

La settimana scorsa si è parlato di trama e struttura, e adesso è il momento di mettere in scena.

Servono posti, serve gente, servono arredi di scena, costumi e musica, per cui oggi ci si occupa di personaggi, ambientazione, descrizioni e dialoghi, il tutto all’insegna di quello che è forse il più ripetuto assioma della scrittura creativa: show, don’t tell.

Non è curioso dover mostrare e non dire in una forma d’arte che, alla fin fine, consiste tutta nel dire? Ma è il modo in cui si dice, il punto di vista che si sceglie, la voce che si adotta, gli aggettivi che si usano, la forza dei verbi… Le parole hanno colore, peso e forma, certe combinazioni di parole hanno un effetto, altre non riescono ad averlo, altre ancora ne hanno di imprevisti. E’ tutta un’intricata questione di effetti e di scelte: ogni scelta ha un effetto, e ogni effetto va calcolato, almeno un po’.

“Ma questo varrà forse per la scrittura strumentale!” ha obiettato la settimana scorsa un partecipante al corso.

Ebbene, indovinate un po’: tutta la scrittura narrativa è strumentale. Se non volessimo ottenere un effetto con le parole che scriviamo, non ci disturberemmo a scriverle affatto. Persino quando è solo l’effetto di vedere sulla carta le proprie emozioni solo per sé stessi – e forse sarò cinica, ma credo che non siano in molti a scrivere senza l’intento di far leggere a qualcun altro – persino allora si tratta di usare degli strumenti (alfabeto, grammatica, sintassi, stile) per un fine (nel caso specifico, riprodurre un’emozione). E nella maggior parte dei casi, quando il procedimento coinvolge un lettore, la necessità di rendere ciò che si scrive logicamente ed emotivamente decifrabile comporta un uso di causa ed effetto molto più complesso e consapevole.

Parlo con dolorosa cognizione di causa: in un momento di follia ho deciso di revisionare un romanzo che ho scritto una decina di anni fa, quando non avevo ancora cominciato a studiare scrittura, quando credevo che bastasse avere una buona storia e delle adeguate conoscenze storiche per cavarne un romanzo…

Ohi ohi, gente!

Non mi ricordavo di essere mai stata tanto acerba: la storia c’è e non è male; i personaggi ci sono, e di qualcuno di loro sono soddisfatta;  qualche dialogo non è poi troppo disastroso. Fine. Il resto… mi piacerebbe poter dire che il resto è silenzio, ma di fatto: il resto è disastro. Conflitto, spessore, profondità, colori, consistenze, tridimensionalità, ombre… dov’è tutto ciò? E ripensandoci, ricordo che avevo in mente queste cose, che intendevo metterle sulla carta. Why, ogni tanto ce n’è persino qualche traccia, sepolta tra i cumuli di detto, detto, detto, detto. Perché sapevo che cosa volevo fare, ma non sapevo come farlo.

E nemmeno mi accorgevo di non saperlo fare, a giudicare dal fatto che in un primo momento ho mandato questo semolino a qualche casa editrice. Ossignore.

E però adesso, una volta superati lo shock (Ma è tutto insipido! Orrore, orror!), l’incredulità (Come, come, come ho potuto partorire ciò?), il panico (Urge ricerca attività alternativa… chissà come me la caverei con l’uncinetto?) e la momentanea depressione (E’ finita, sono distrutta, ho fallito, e no, grazie, non voglio una tazza di cioccolata calda con i biscotti *cue Chopin, Marcia Funebre*), ho colto una cosa importante. Ho colto che in questi dieci anni ho imparato a:

– riconoscere gli articoli dell’assortimento di lacune, mancanze, orroretti, peccati veniali e capitali, parole blande, opere insignificanti e omissioni di ogni genere che ho commesso a piene mani in quel romanzo;

– individuare la cura per ciascuno (o almeno la maggior parte) di essi.

– porre rimedio, a costo di riscrivere l’intero dannato romanzo da cima a fondo!

Non è divertente rimuginare su quanto poco sapessi dieci anni fa. Lo è di più giungere alla conclusione che da allora ho imparato molto, e sto ancora imparando, e potrò sempre imparare ancora. Ma la cosa migliore di tutte è mettere a frutto quello che ho imparato per rimodellare quel che avevo messo insieme a tentoni e a istinto, e farne una storia avvincente, narrata in modo efficace, vivido, ricco.

Perché adesso ho gli strumenti per ottenere gli effetti che volevo fin dall’inizio.

Il Medico di Se Stesso, ovvero La Scrittura da Dentro IIultima modifica: 2010-01-18T09:10:00+01:00da laclarina
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