Mag 24, 2010 - grilloleggente    2 Comments

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Finito! Se piace agli dei della letteratura, ho finito L’Eleganza del Riccio.

Allora, ammetto che il finale mi ha sorpresa. Ho temuto abbastanza a lungo che la Portinaia finisse con lo sposare Monsieur Ozu, e…

C’est bien, prima di proseguire lo faccio di nuovo: se non avete letto L’EdR fermatevi qui, volete? Anche se credete di non leggerlo affatto, anche se vi rifiutate a priori di sfiorarlo anche soltanto con l’orlo della veste, questa serie di post è la prova che non si può mai dire. E qualora doveste leggerlo, credetemi, sarete lieti di avermi dato retta e di esservi fermati qui.

Detto ciò, è vero: twist in the tail. La morte di Renée è giunta inaspettata: proprio quando sembrava che la vita della Portinaia fosse destinata a cambiare, ecco che ci si mettono un impulso generoso e un furgoncino della lavanderia. Renée muore serena in quello che forse è il miglior momento possibile, sulla soglia della felice risoluzione. Ho sempre pensato, indipendentemente dal Riccio, che un passo dalla piena realizzazione sia l’apice della perfezione – e che tutto quello che viene dopo tenda ad essere una fregatura. Renée, tutto sommato, non finisce male: è finalmente in pace con sé stessa e con i suoi fantasmi, è rasserenata e raddolcita, ha scoperto di essere capace di amare e ha in mano la promessa della felicità. Risparmiarsi la quotidiana realtà da Mme Ozu, la reazione del condominio, un drastico cambiamento di abitudini a cinquantaquattro anni – o qualunque altra forma di piccola meschinità dovesse seguire il Momento Perfetto non è poi così male, almeno in via teorica. Muriel Barbery regala a Renée la Portinaia la felicità incorrotta, la promessa senza la disillusione, la vigilia senza l’indomani, e non sono cattivi doni da fare a un personaggio.

Mi è piaciuto, allora? Sono disposta a dire che dopo tutto il libro mi è piaciuto più di quanto pensassi?

Temo di no.

Per quanto apprezzi l’impianto concettuale del finale, restano un paio di fatti che me lo inacidiscono alquanto. Per cominciare, il complesso da sorella morta della Portinaia, di cui leggiamo per la prima volta – e del tutto out of the blue – a pagina 280 o giù di lì. C’è il pianto liberatorio con la IDI, apprendiamo che le spinosità di Renée si devono alla morte della sorella sedotta e abbandonata, e la cosa sembra finire lì. Venticinque pagine più tardi, abbiamo un secondo pianto liberatorio, stavolta con Monsieur Ozu in un ristorante giapponese: apparentemente, quello con la IDI non era stata sufficiente. E può darsi che sia solo questione della mia conclamata durezza d’animo, ma questa catarsi a puntate per me non funziona. Finisce con l’annacquarsi, col non essere veramente significativa nessuna delle due volte – al punto che, dopo avere letto la versione sushi, sono tornata indietro a rivedere la versione IDI, perché mi pareva di essermi persa qualcosa. Di essermi persa la rilevanza dell’intera faccenda, ad essere sincera: questa motivazione da melodramma appiccicata sopra tutto questo lungo disquisire di arte, filosofia e camelie mi fa davvero un po’ l’impressione dei cavoli a merenda.

Poi c’è tutto questo repentino affratellamento con la IDI. Possibile che si siano ignorate per dodici anni e all’improvviso vadano da sospettoso vicendevole scrutinio al gemellaggio d’anime in un paio di settimane? Tanto che la Portinaia consideri la IDI una sorta di figlia spirituale e la IDI si senta sconvolta e trasformata dalla morte della Portinaia? Anche supponendo che simili epifanie possano accadere nella realtà (e lo ammetto in via puramente teorica e con un certo scetticismo), in un libro suonerebbero meglio se fossero preparate con qualche anticipo.

E infine, com’era penosamente ovvio fin dal principio, la IDI non si suicida affatto: ha trovato nell’amicizia con la Portinaia il buon motivo per vivere. Posso dire che l’avevo detto?

Quindi, insomma, l’ho letto. L’ho letto tutto, sono partita prevenuta e strada facendo non ho trovato gran motivi per cambiare opinione. E’ senz’altro un libro astuto, ma a parte questo trovo pochi meriti da riconoscere a Mme Barbery. LEdR è una miscela di luoghi comuni, arte&filosofia in pillole, captatio benevolentiae mascherata da tutt’altro e acidità sociale, il tutto confezionato con occhio decorativo e una punta di snobismo.

Evidentemente se si deve giudicare dal successo enorme, la ricetta funziona.

Pag. 319ultima modifica: 2010-05-24T08:40:00+02:00da laclarina
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2 Commenti

  • Spero che questo non rimanga l’unico esempio di post taggabile come “recensione a qualcosa che ho letto io”.
    Istruttivo.

  • Istruttivo? Grazie! *bows her head*.
    Quanto al resto… chi può dire? Le letture prendono direzioni inattese, alle volte 🙂