Lug 14, 2010 - guardando la storia    15 Comments

Liberté, Egalité et Fraternité

prise_de_la_bastille.jpgQuattordici di Luglio, Allons Enfants eccetera eccetera. Mi si dice da secoli che “una volta o l’altra lo passeremo a Parigi perché…” ma si vede che nemmeno quest’anno è quella volta o l’altra. Non dico che non mi piacerebbe, sulla base di come tutta la faccenda è descritta nell’incantevole Quando Hitler Rubò Il Coniglio Rosa, dal che mi s’individua come un dissennato esemplare di quella specie di persone che prendono le loro aspettative dai libri. Non sempre è una buona idea, ma non divaghiamo.

Confessione: il motivo per cui posso convivere con il fatto di non avere mai trascorso un Quattordici prison.jpgLuglio a Parigi è che, tutto sommato, nel corso degli anni (e delle letture) ho sviluppato una simpatia piuttosto limitata per la Rivoluzione Francese. C’è la Storia di per sé, c’è l’Andrea Chenier (anche se tutto sommato Carlo Gerard ha la sua dose di ruvida grandezza*), e c’è che leggendo A Tale Of Two Cities o The Scarlet Pimpernel una non si fa la migliore opinione possibile dei sanculotti e delle tricoteuses. Tuttavia, siccome nemmeno l’Ancien Régime brilla per simpatia, ho mantenuto un discreto distacco in proposito fino a una quindicina di anni fa.

Cholet.jpgPoi una quindicina di anni fa, su Il Giornale, lessi una serie di articoli sulle Guerre di Vandea. Folgorazione. Ammesso che ne sapessi qualcosa prima, non poteva essere più del singolo e asciutto paragrafo in cui il mio libro di storia del Liceo liquidava le Guerres come un brutale, fanatico e fallito tentativo di reazione monarchico-clericale nell’arretrato Ovest. Figuratevi la mia sorpresa nel leggere di un’epopea di grandi dimensioni: una fiumana di contadini-soldati con le falci, comandata da signorotti di campagna, piccoli proprietari e figli di notai che tiene testa all’esercito rivoluzionario per anni, e poi va incontro a un destino estremamente tragico… Il mio genere all’ennesima potenza! 

Ne volevo sapere di più. Prima scoperta: non era facile. In Italia non c’era praticamente nulla di pubblicato, e all’epoca ero del tutto digiuna delle meraviglie della Rete. Non potevo far altro che frugare per casa, biblioteche e librerie, racimolando Quatre-Vingt-Treize, Les Chouans, Les Blancs et les Bleus e la traduzione degli atti di un convegno**. Pareva non esserci altro, e suppongo che sia stato per questo che, l’estate successiva, a Parigi, anziché su un treno per Rouen salii su un treno per Nantes. Chiariamo: all’epoca stavo decidendo di voler scrivere per davvero, e di volermi dare ai romanzi storici. L’idea era una vicenda napoleonica, e dieci giorni in giro per Parigi e la Normandia a documentarmi sul mio protagonista, ufficiale della Campagna d’Italia e stanziato a Governolo per un certo periodo.

Solo che poi… presenti gl’impulsi? Non è che li segua spesso, ma fatto sta che i miei dieci giorni li prigionieri.jpgpassai girando come una trottola per la Vandea, visitando musei locali, cittadine, campi di battaglia, castelli natali dell’uno o dell’altro generale, isole, zone costiere, abbazie e biblioteche. Per non parlare delle librerie! Tornai a casa con una tonnellata di libri e di fotocopie e un’Idea, e nel corso dei tre anni successivi scrissi il primo volume della mia trilogia vandeana.

Il Giglio e la Falce comincia con l’inizio dell’insurrezione vandeana nel marzo del 1793, segue la chiamata alle armi dei contadini, le difficoltà, le battaglie, le vittorie e le sconfitte dei Bianchi fino alla Virée de Galerne, il tragico passaggio oltre la Loira, e fino alla pace del 1795. E’ un libro dissennatamente colossale (poco meno di 250000 parole, ed è solo il primo volume!), e non so di preciso se troverò mai qualcuno disposto a pubblicarlo, ma una cosa è certa: mentre lo scrivevo ho sviluppato una radicata predilezione per i Bianchi, che sono gente di poco buon senso, di vario valore, di molti meriti e altrettanti difetti, e di tragica sfortuna. E questo è il motivo principale per cui tutto sommato il Quattordici Luglio non suscita in me un entusiasmo selvaggio.

Mort_du_General_d%27Elbee.jpgNon che voglia negare l’importanza storica della Révolution, ma, per dirla con Isabel Archer di Ritratto di Signora,*** “in una rivoluzione, una volta che fosse bene avviata, credo che sarei una realista. E’ più facile simpatizzare con loro, e hanno occasione di comportarsi in modo così pittoresco!”

 

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* Commento a caldo di lettore casuale prima della pubblicazione: “Effigurarsi, Clarina! E’ un baritono…”

** Ricerca talmente complicata che, cinque o sei anni più tardi, il gentilissimo e bravissimo titolare della meravigliosa libreria Il Delfino di Pavia si ricordava ancora di me e dei miei dannatissimi atti.

*** Il che equivale a dire: per dirla con Henry James…

Liberté, Egalité et Fraternitéultima modifica: 2010-07-14T08:55:00+02:00da laclarina
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15 Commenti

  • Ma lo sai che è buffo? Io più leggevo la storia degli insorti della Vandea (ce n’è da leggere, in inglese) più pensavo che Parigi fosse stata fin troppo tenera con loro 🙂

  • Ciao, coram populo, volevo invitarti ad aderire a Bottegadilettura (sempre che la cosa risulti di tuo interesse).
    Ho molto apprezzato il tuo salace commento in calce all’ultima lettura postata da Paolo Cacciolati. Se ti interessa, non avendo altro modo di reperirla io, puoi mandarmi una mail all’indirizzo che ti appare sopra.
    Grazie
    ciao
    Cletus

  • Hai valutato la pubblicazione con Amazon e/o simplicissimus?
    Sai com’è, il boom degli ereaders sta per esplodere e c’è poca roba in italiano.

  • @Davide: immagino che tutto stia nell’intendersi sul concetto di “tenera” 🙂
    No, seriamente: anch’io ho letto parecchio – una volta scovato il materiale – in Inglese e in Francese, dell’una e dell’altra parte, e la morale mi sembra essere quella consueta: torti, ragioni e scarse tenerezze non stanno mai da una parte sola. Nel 1795 Parigi aveva tutto l’interesse a chiudere il fronte e lasciarsi dietro meno risentimenti che fosse possibile, ma nel frattempo i Blu ne avevano fatte di cotte e di crude (come del resto i Bianchi). E’ solo che, narrativamente parlando, c’è sempre una parte con cui è più facile simpatizzare…

  • @Cletus: oh, ma con molto piacere! Non sono sicura che l’indirizzo mi appaia, sopra o altrove, ma la mia mail è prezzaventochiara@alice.it.
    Grazie della proposta e a presto!

  • @Renzo: curioso che tu mi dica questo. Sto valutando eccome, e sono in procinto di postare in proposito, riportando tra l’altro un interessantissimo articolo di Randy Ingermanson. Finora a bloccarmi sono due particolari: la necessità di una seria revisione per suddividere il MonsterNovel in due o tre parti (che spasso! Una trilogia nella trilogia…) e il dubbio se il mercato italiano sia già maturo a sufficienza per sperimentare così. Fossimo negli Stati Uniti, comincerei domani. Anzi, oggi pomeriggio. 🙂

  • “Narrativamente parlando, c’è sempre una parte con cui è più facile simpatizzare”. Sì, ciò si deve a quella che James Hillman chiama la “nobile malinconia degli sconfitti” (ne parla diffusamente in uno dei suoi libri, non so se “La vana fuga dagli dei” o “Un terribile amore per la guerra”).

    Comunque non stavo facendo il conto di torti e ragioni (conto che secondo me, in guerra – e più che mai in una guerra civile -, lascia il tempo che trova: con il senno di poi, peraltro, e non essendo noi coinvolti in quel conflitto, a che serve?). Bensì asserivo che il governo di Parigi avrebbe potuto adottare, per reprimere l’insurrezione vandeana, tattiche di stampo sillano o cromwelliano (spopolare sistematicamente le campagne, devastare le colture e uccidere il bestiame per affamare le popolazioni, fare liste di proscrizione di tutti i notabili…). La storia dimostra che tattiche del genere, nel caso delle ribellioni che nascono nelle aree rurali, pagano (mentre è più complesso il caso di sommosse che coinvolgano almeno in parte i ceti urbani). Dopotutto, diceva Lucio Cornelio Silla, la terra – dopo che hai ammazzato quelli che la occupano – puoi sempre darla ai veterani della tua parte. Il governo di Parigi, invece, non adottò questi metodi: non, perlomeno, come approccio sistematico.

    (Io ho una ammirazione sfegatata e profonda per Silla: sì, lo so che è assai politically uncorrect come personaggio, ma lo trovo geniale… tant’è che mi sono fatto mettere su pergamena una iscrizione della sua sala da convivio e l’ho esposta in casa)

  • Capisco. Però, considerando l’incredibile quantità di invenduto che producono per primi i grandissimi editori, considerando che l’autore becca (se è fortunatissimo) il 10% e vende (se è fortunato e non è abbandonato dall’editore) 3000 – 4000 copie, qual’è il vantaggio di pubblicare con un editore tradizionale, se sei un esordiente?

    Allora meglio pubblicare con Amazon e fare tanta autopromozione: reading, blog, social network, concorsi etc.

  • @renzo, pubblicare con un editore tradizionale ti consente di ottenere recensioni, contatti, collaborazioni: tutte cose che ti consentono, anche vendendo 3-4000 copie (ma anche meno), di guadagnare poi sull’indotto di ciò che scrivi (articoli per quotidiani e magazine, partecipazione e conferenze, eventi, etc.). I diritti d’autore sono solo una parte del tutto: spesso, la parte più modesta.

  • @Davide: in realtà qualcosa di sillano fu fatto nella prima metà del 1794. Le Colonnes Infernales di Turreau avevano proprio questo genere di ordini – sterminare i controrivoluzionari, distruggere villaggi e raccolti e complessivamente spopolare la regione (che era già un po’ svuotata di suo, considerando i 60-80000 che erano passati oltre Loira). Nelle città come Nantes e Angers, in compenso, le liste di proscrizione portarono alle noyades, a fucilazioni di massa e a un gran lavoro per la ghigliottina. D’altronde si era in pieno Terrore. Poi l’applicazione delle misure non fu terribilmente sistematica, gli stessi repubblicani della regione e alcuni comandanti si ribellarono, e le dispute interne alla Convenzione portarono all’abbandono di questa nuova “politica per la Vandea”.
    Oh, e anche a me è sempre piaciuto Silla.

  • @Renzo: sì, non è tanto la questione delle vendito, dopo tutto. A quanto leggo, negli Stati Uniti comincia ad affermarsi il principio secondo cui, se pubblichi da te e ottieni dei numeri, ciò costituisce un titolo di merito per ottenere l’attenzione di un editore vero e proprio, con tutto quel che ne consegue. Ma qui?

  • Di Silla mi ha sempre colpito l’abbandono volontario del potere. Credo si tratti di un caso quasi unico nella storia (il solo altro esempio che mi viene in mente è Diocleziano: il quale non solo rinunziò alla porpora, ma si rifiutò di riprenderla quando vennero a offrirgliela una seconda volta). E poi il mix (per me, irresistibile) di spietatezza e intelligenza, cultura umanistica e disincanto, sfiducia nel genere umano e comprensione delle leve che governano i rapporti di potere. Certo, oggi i suoi metodi ci appaiono troppo spicci: ma bisogna considerare che corrono, tra noi e lui, più di duemila anni, e che la sensibilità è cambiata. D’altronde Ottaviano, che tanto viene lodato nei corsi scolastici come fondatore dell’Impero, era un individuo se possibile ancor più cinico di Silla, e lo era fino da giovanissimo (se ti capita, val la pena di leggere i saggi su Ottaviano scritti da Luciano Canfora).

  • Qui daresti ai tuoi affezionati lettori la possibilità di leggere un’opera che, vista la sconsiderata lunghezza, appare ad un editore tradizionale un investimento sconsiderato 😉

  • @davide:

    Ne sapete più di me sicuramente visto che scrivete e pubblicate, ma mi chiedo se quell’indotto di cui parli sia “da contratto” per tutti o invece non dipenda in buona dose dalle capacità autopromozionali dell’autore stesso e, in questo caso, chissà se il suddetto non riuscirebbe ad esercitarle comunque, anche senza avere le spalle coperte dall’editore.

    Certo, pontificare sulla pelle altrui è facile 😉

  • @Davide: ho letto Canfora. Ottaviano era estremamente spregiudicato – altrimenti non avrebbe compiuto ciò che ha compiuto. Che poi venga ricordato in termini tanto positivi, al contrario di Silla… oh, sono tentata di attribuire il diverso trattamento anche all’abile marketing di se stesso che l’ormai Augusto Ottaviano curò fino alla fine. Silla non si preoccupò di nulla del genere, ostentò sempre il suo disincanto e la sua sfiducia nel genere umano e si ritirò bruscamente, lasciando questo senso d’incompiutezza…

    @Renzo: 🙂