Set 18, 2010 - televisione, teorie    4 Comments

Feuilleton

Ho, non da oggi, una teoria.

Avete presente quegli scrittori che nell’Ottocento pubblicavano romanzi a puntate su riviste e periodici? Non sto parlando di scalzacani qualsiasi: naturalmente c’erano anche quelli – e in grande abbondanza – ma al momento ho in mente Dickens, per esempio, e Dumas père.

Ora, pubblicare a puntate era un mestieraccio da cani, più o meno redditizio, perfetto per farsi venire la pressione alta: intanto, ogni settimana bisognava consegnare una precisa quantità di parole, e ogni episodio doveva contenere la sua dose di tensione, terminando, se possibile, con il protagonista (o un altro personaggio di rilievo) in grossi guai… E poi, non c’era spazio per i ripensamenti. Voglio dire, se il personaggio X compariva nel capitolo 3 come amorale, godereccio e nocivo per la protagonista, e poi, cinque settimane e cinque capitoli più tardi, l’autore non sapeva più che farsene di lui amorale, godereccio e nocivo… era troppo tardi, perché il capitolo 3 era già stato letto da più di un mese. E allora, se ci si chiamava Dickens si azzardavano conversioni a 180° in corso d’opera; se si era qualcun altro, si andava avanti brontolando contro il destino malvagio e gli editori aguzzini, e si finiva con lo scrivere storie più modeste del loro potenziale.

In compenso, c’era il feedback immediato, la possibilità di sentire il polso del pubblico e reagire, in un modo o nell’altro, un po’ come un buon attore di teatro risponde all’umore della sala.

Incidentalmente, questo spiega perché tanti romanzi di Dickens trabocchino di trame secondarie, personaggi minori e caratterizzazioni ondivaghe, ma non è questo il punto.

Il punto è, e finalmente veniamo alla mia teoria, che gli eredi di questi scrittori sono gli autori televisivi. Sono loro a dipanare vicende complesse, con un’infinità di personaggi e un diluvio di sviluppi, con un arco narrativo dilatato nel tempo, e più o meno flessibile al feedback del pubblico.

Un esempio? Quando gli ascolti di Murder, She Wrote (La Signora in Giallo) sono calati poco sopra un improponibile 30%, un nuovo produttore ha cominciato a spedire Jessica Fletcher a Boston e New York, a farle tenere corsi universitari di scrittura creativa e criminologia, a farle vivere la vita di una romanziera di successo, con presentazioni, conferenze, traversie editoriali, autografi, contratti da firmare… Risultato? Questa evoluzione del personaggio e del suo mondo ha ricatapultato gli ascolti di MSW sopra il 50%.

E non è a caso che cito un telefilm americano. Senza voler soffrire di esterofilia, personalmente preferisco stendere un tulle misericorde sulla produzione italiana, ma in America esiste una scuola di scrittura televisiva che qui non ci possiamo nemmeno sognare. In parte, va detto, il merito è di un pubblico molto più smaliziato, ma francamente, la pura e semplice qualità di scrittura di certi prodotti americani mi riempie d’invidia oltre ogni dire.

Vogliamo citare un Dr.House, dove tutto è al servizio della caratterizzazione e della sottilissima evoluzione di un singolo personaggio? Con contorno di dialoghi superbi, e di un’asciuttezza meravigliosa nel trattare temi etici controversi.

Oppure Grey’s Anatomy, dove ogni puntata non fa altro che sviluppare lo stesso tema sotto angolazioni diverse, con i personaggi che giocano come facce di uno stesso prisma, e il tutto riesce a rientrare con perfetta scioltezza entro l’arco narrativo.

O ancora Desperate Housewives, dove lo humor è perfido, e dove ogni azione di ogni personaggio scatena conseguenze a cascata, con i problemi che si risolvono sempre in altri problemi peggiori, e ogni apparente soluzione non fa altro che generare nuove e più grosse magagne.

Ah, saper fare tutto questo, stagione dopo stagione, in modo lucido, coerente, brillante, acuto e credibile!

Ecco perché, signori della giuria, si sostiene qui che gli eredi di Dickens e Dumas sono oggi non tanto i romanzieri, quanto gli autori televisivi – e bisogna riconoscerlo: gli Americani lo fanno meglio. Vostro Onore, ho terminato…

…er, no. Mi sa tanto che ho sbagliato telefilm.

Feuilletonultima modifica: 2010-09-18T08:31:00+02:00da laclarina
Reposta per primo quest’articolo

4 Commenti

  • Ciao Clarina, concordo sul fatto che le serie americane siano scritte meglio di quelle italiane,oltretutto qui in Italia si tende a copiare e fictionalizzare troppo… cioè, in Italia esistono i telefilm o solo le fiction, talvolta pessime eredi dello sceneggiato di un tempo? E’ mai possibile che non si riesca ad avere un’idea originale e dei personaggi ben caratterizzati, diversi dai soliti stereotipi, come il dottore buono e santo/cattivo e trafficante d’organi, l’avvocatessa delle oneste cause perse/ delle disoneste cause vinte, il poliziotto figo/Vito Catozzo?
    Concordo anche sul fatto che gli autori televisivi possano essere eredi degli “scrittori a puntate”, un mestiere difficile, perchè secondo me le serie, per raggiungere una compiutezza stilistica, dovrebbero concludersi e non trascinarsi sotto le pressioni di sponsor e produttori… non si fa un buon servizio a personaggi, che talvolta diventano grotteschi, e nemmeno alle “storie”, che io comincio a percepire come “finte”… per davvero!
    Citi J.B. Fletcher… un mito per me! Io adoro le prime serie, le ultime le trovo troppo ripetitive… però Angela Lansbury è sempre fantastica!!!
    Buon fine settimana,
    Della

  • Ciao, Della!
    Anch’io adoro la signora Fletcher. Ogni estate aspetto con ansia le repliche – e le riguardo fedelmente da vent’anni!
    Ho una particolare predilezione per il Dr. Hazlitt e, in generale, per le puntate ambientate a Cabot Cove.

  • Ho scoperto le serie americane con Star Trek Voyager. In quel periodo leggevo un libretto di Nigel Warburton che propone dei problemi etici e le soluzioni delle varie scuole filosofiche. Quella lettura mi avrà anche reso più sensibile, però avevo la netta sensazione che *ad ogni puntata* gli autori tirassero fuori simili problemi etici e che i vari personaggi impersonassero le varie possibili soluzioni.
    Stessa sensazione con Private practice, altra serie non male.

  • Condivido in pieno la sensazione: molte serie americane sono concepite così, in campo medico e non. Per esempio, Law & Order (parlo per la serie originale, perché le altre non le ho mai viste) affronta regolarmente temi di etica giuridica, mentre il fantastico (e purtroppo sparito dai palinsesti) The West Wing esplorava la costituzione e le massime istituzioni americane. Persino il pur non sottilissimo NCIS fa spesso operazioni di questo genere nel campo del margine di manovra delle agenzie governative, del rapporto tra sicurezza generale e diritti individuali et caetera similia. Di sicuro ci sono anche molte serie puramente ricreative, ma non è difficile trovarne una che abbia un minimo di pensiero alla base.