Seamus Heaney
Ogni tanto scopro un poeta e resto folgorata.
È successo anche con Seamus Heaney, straordinario poeta irlandese, premio Nobel per la Letteratura nel 1995, cantore di un’Irlanda amara, nebbiosa e verdissima, di schegge di pietra e pattuglie inglesi, di personaggi mitici reincarnati in viandanti nelle campagne, di leggende mediterranee e celtiche inestricabilmente annodate tra di loro. Ma soprattutto, Heaney canta l’anima, la coscienza e il tormento di chi non ha combattuto, di chi è rimasto a guardare con sgomento mentre IRA, orangisti e “occupanti” inglesi insanguinavano l’Irlanda. E qual è il ruolo del poeta in tutto ciò? Questo è il rovello che Heaney esplora e scava da decenni, venendo gradualmente a patti con la sua posizione di osservatore e distillatore, novello Virgilio estromesso dalla sua terra e forgiatore di versi per se stesso e per l’umanità.
Il risultato è una poesia asciutta, possente, che mescola questioni metafisiche, mito, rugiada sui campi e dettagli quotidiani.
Questa è una delle sue poesie miliari, in cui accosta scrittura e lavoro dei campi, se stesso e la sua famiglia di contadini: una diversa fatica, altrettanto scavare…
DIGGING
Solo in Inglese, abbiate pazienza. La recente full immersion nell’opera di Heaney mi ha fatto perdere ancora un po’ di fede nella traduzione letteraria – specialmente in fatto di poesia, e più di tutto una poesia densa come quella di Heaney, dove ogni parola intreccia fasci di significati. Vale la pena di fare qualche sforzo con l’originale, credete.
Ecco, domani vado a Bologna ad accogliere Seamus Heaney che arriva per ricevere sabato mattina il Premio Internazionale Virgilio. Fino a lunedì sarò la sua interprete e, se tutto va molto, molto, molto bene, assisterà anche a Di Uomini E Poeti venerdì sera. Non so dirvi quanto sia emozionata in proposito. Heaney è il più grande scrittore che abbia mai avuto il privilegio d’incontrare.
Vi farò sapere.