Garibaldi Il Samurai E Il Buon Re Riccardo

Ieri ho scandalizzato un anziano signore.Garibaldi, stevenson, riccardo cuor di leone, riccardo III, giovanni senzaterra, filippo II

È un indigeno, una brava persona che conosco in via molto superficiale e che, avendo udito parlare di Aninha, mi piomba qui per discuterne, rimanendo molto deluso nel sapere che si tratta non di un romanzo, ma di un lavoro teatrale – e nemmeno pubblicato.

“Però può venire a vederlo a teatro a Ostiglia l’otto marzo,” gli dico.

Lui tentenna un po’ – non è un gran frequentatore di teatri, mi spiega. Però… “Potrei anche venire. Sa, fa piacere vedere giovani che si occupano di Garibaldi come si deve. Mica come le pubblicità squallide e vergognose dei telefonini.

E io scoppio a ridere, e gli faccio notare che la campagna TIM è una delle più spassose e ironiche degli ultimi anni… Grave errore tattico.

L’Anziano Signore mi fulmina con lo sguardo e assume un colorito lievemente apoplettico.

“Ma come? Ma no! Dov’è il rispetto? Dov’è l’Unità d’Italia? E Garibaldi è un eroe – queste sono cose su cui non si scherza! Non lo sa che i Giapponesi quando parlano di Garibaldi si alzano in piedi?” E nel dirlo mima un Giapponese che si alza in piedi. “Perché per loro è un samurai, un eroe del dovere, dedito al servizio dell’imperatore… solo che invece dell’imperatore lui aveva l’Italia!”

E io potrei starmene zitta, a questo punto – e invece no.

“Ma sa,” e – sciagurata! – scrollo anche una spalla nel modo più dismissive, “il fatto è che Garibaldi non era una brava persona.”

Apriti cielo e spalancati terra! Ma come? Sono così ingenua da credere che uno possa fare l’Italia senza essere un po’ spregiudicato?

Spiego che capisco benissimo la spregiudicatezza, tanto che in fatto di Risorgimento la mia simpatia va tutta a Cavour…Ma Garibaldi aveva cominciato la carriera come disertore e ladro di bestiame (e mogli altrui), la finì abbandonando al pubblico disprezzo amici che lo avevano seguito e servito per tutta la vita, aveva idee politche allo stato gassoso e, se era un brillante guerrigliero, la sua competenza militare si esauriva lì…

E potrei continuare, ma l’Anziano Signore, con un’ultima occhiata di disgusto, gira sui tacchi, m’informa che proprio non siamo d’accordo, e se ne va convinto che sia una revisionista della specie più bieca.

Oh, non è che non lo capisca del tutto: prima della conflagrazione, parlando dei miei libri, avevo nominato Annibale, e lui aveva reagito “Ah, gli ozi di Capua…” e la mia simpatia nei suoi confronti era franata a valle. Non è mai divertente sentir denigrare l’oggetto del proprio hero worship, vero?

Resta tuttavia il fatto che per molti Anziani Signori (e non solo) Garibaldi è ancora, e sempre sarà, in sella al cavallo bianco impennato in cima al monumento, là dove lo hanno issato decenni di oleografia risorgimentale, sussidiari scolastici e diffusa convinzione.

E non è solo questione di Garibaldi, naturalmente. La storia è piena di gente santificata o demonizzata da una combinazione di propaganda, ballate popolari, letteratura e circostanze – per non parlare dell’atavica, incoercibile umana fame di eroi e di malvagi.

Per dire, il nome di Riccardo Cuor di Leone che immagine evoca in noi tutti? Quella di un cavaliere in armatura risplendente, elmo coronato e cotta da crociato, di uno dei migliori e più amati re d’Inghilterra, di un altro cavallo bianco impennato in cima a un monumento. Una volta, nella cattedrale di Rouen, dei turisti spagnoli mi chiesero a chi appartenesse la statua coronata sul sarcofago di pietra. E quando, nel mio limitato Castigliano, ebbi spiegato che si trattava del cenotafio di Riccardo, il cui cuore si trovava nella cripta, un’onda di deliziate esclamazioni  attraversò il gruppo. “Ricardo Corazòn de Leon! Que lindo!” e mi ringraziavano, come se fosse stato merito mio…

Garibaldi, stevenson, riccardo cuor di leone, riccardo III, giovanni senzaterra, filippo IIMa in realtà, Riccardo Plantageneto passò la sua prima giovinezza a cospirare ai danni di suo padre (abbandonando i suoi fratelli al loro destino quando le cose si misero male), non imparò mai l’Inglese, passò complessivamente forse un anno della sua vita nell’isola di cui era principe e poi re – ma non per questo ebbe remore a dissanguarla per finanziare la sua ossessione: una crociata che fallì (anche a causa del suo scarso riguardo per quello che oggi chiameremmo comando congiunto) e che si concluse con la sua cattura in Austria. Pare che stesse viaggiando in ingognito e che fosse riconosciuto perché insisteva per mangiare del pollo arrosto – nulla che si trovasse con facilità sulla tavola di una locanda. Leopoldo d’Austria non aveva buoni motivi per tenerlo prigioniero se non molta bile, ma chiese un esorbitante riscatto per la sua liberazione, riscatto pagato per lo più dai suoi sudditi. Se non bastasse, pur avendo sposato Berengaria di Navarra, la più bella principessa del suo tempo, la tenne sempre lontana da sé e confinata qua o là – sempre lontana dall’Inghilterra. E questo era il Buon Re Riccardo delle ballate.

Inclino a credere che Riccardo debba in origine la sua buona fama, paradossalmente, al fatto di essere sempre stato lontano dall’Inghilterra. Altri erano lasciati indietro a raccogliere le tasse e barcamenarsi in tempi complicati, e di sicuro non mancarono mai di cercare il proprio interesse. Ergo, costoro erano malvagi, e oh, se solo il Buon Re Riccardo fosse tornato a casa dai suoi affezionati sudditi! Che a Riccardo non importasse granché dei suoi sudditi, e che le tasse e l’instabilità fossero dovute in buona parte alla sua crociata e alla sua assenza, erano considerazioni secondarie – e del tutto ininfluenti agli occhi dei trovatori contemporanei e dei romanzieri ottocenteschi – come quell’efficacissimo rovinatore di reputazioni che era Scott.

Garibaldi, stevenson, riccardo cuor di leone, riccardo III, giovanni senzaterra, filippo IIPer contro, un paio di Riccardi più in qua, Riccardo Terzo ce lo immaginiamo tutti gobbo e malvagissimo – sull’onda della forza combinata di Shakespeare e Thomas More. Potenza della propaganda Tudor! Poi in realtà, in anni più recenti questo Richard ha beneficiato di un’ondata di popolarità sentimental-letteraria, a partire da Josephine Tey, dalla Ricardian Society e da tutta una popolazione di biografi e romanzieri, fino ad arrivare all’estremo opposto. Per quanto mi piaccia Richard, non sopporto i romanzi che lo dipingono come una mite e gentile vittima delle circostanze – well on his way to sainthood. Garibaldi, stevenson, riccardo cuor di leone, riccardo III, giovanni senzaterra, filippo II

Nessuno sembra avere fatto sforzi comparabili per Giovanni Senzaterra, il fratello e successore del Cuor di Leone. O meglio: qualche biografo ha fatto notare come, checché ne dicesse il solito Walter Scott, Giovanni sia stato quanto meno un buon legislatore, un riformatore e un buon generale, penalizzato dall’aver ereditato debiti enormi, molto marasma interno e una collezione di guerre costose. Sul versante narrativo, tuttavia, nulla. Non so voi (e sarei grata di eventuali segnalazioni), ma non mi viene in mente un singolo romanzo in cui John Lackland compaia altro che meschino, arrogante, codardo e generalmente spregevole. Naturalmente c’è il teatro, ma per trovare un ritratto positivo di Giovanni bisogna tornare all’era Tudor. C’è anche, semi-dimenticato, un King John di Shakespeare – che definirei tiepido nella migliore delle ipotesi.

Pensandoci, è abbastanza strano. In fondo quasi tutti, prima o poi, trovano un riabilitatore. Pensate a Filippo II di Spagna, mostro di crudeltà per Otway, St. Réal, Alfieri e legioni di altra gente affascinata dalla Leyenda Negra. Poi arriva Schiller, e a Filippo cresce un’anima. Col risultato che adesso, per lo più, consideriamo Filippo II un vilain tormentato e con la sua dose di giustificazioni.

E se qualcuno intende obiettare che forse Giovanni non era simpaticissimo di suo, posso rispondere che è possibile – ma in genere non è il tipo di considerazioni che frena poeti e romanzieri. Per restare nell’ambito della Leyenda Negra, Don Carlos era uno psicopatico che si divertiva a frustare a morte i cavalli, eppure ha trovato parecchia gente disposta a ritrarlo come uno sventurato e attraente giovanotto – un nonnulla instabile forse, ma per eccesso di sensibilità e maltrattamenti ricevuti. Questi apologeti erano dapprima propagandisti protestanti e antispagnoli, cui serviva una vittima innocente e simpatica, martirizzata dal nigerrimo Filippo. E quando poi arrivarono playwrights e romanzieri, la storia era già solidificata e buona per il teatro, con i suoi Buoni e i suoi Malvagi – almeno fino a Schiller.

Un caso un po’ diverso è quello di Alan Breck Stewart, personaggio minore che più minore non si può, e decisamente poco simpatico. È vero che era un Giacobita – specie rappresentata in letteratura in varie sfumature dal fanatico pericoloso al vago e inefficace* – ma resta il fatto che persino i suoi compagni d’armi, correligionari e consanguinei lo descrivevano con scarso affetto. Poi arriva Stevenson e lo trasforma nell’irresistibile personaggio che sappiamo – e conosciamo e amiamo. A chi importa veramente che l’Alan storico fosse, a detta del suo padre adottivo, “uno sciocco violento e pericoloso”? Un altro caso di fama postuma e immeritata – molto più postuma ma altrettanto immeritata di quella di Riccardo Cuor di Leone, solo che le motivazioni di Stevenson erano molto più narrative che storiche.

D’altra parte credo che storia e storytelling si allaccino sempre inestricabilmente in questo genere di reputazioni. Riccardo III è stato sconfitto, Giovanni Senzaterra non può competere con l’aura di suo fratello, Filippo si è parzialmente salvato perché nessuno scrittore ha saputo rendere Carletto abbastanza interessante, e tutto ciò costituisce gioia e pascolo per i romanzieri storici presenti e futuri.

Templari: vittime o carnefici? I Cecil: pilastri della patria o arrampicatori? Roger de la Flor: cavaliere senza macchia e senza paura o perfido mercenario? John Dee: visionario o ciarlatano? Mehmed II: illuminato consquistatore o tiranno mezzo matto?…

Se lo chiedete a me, credo che il romanzo storico, come genere, abbia di che prosperare – con l’abbondanza di gente da riabilitare, gente da annerire, punti di vista da esplorare, idee acquisite da ribaltare. E c’è spazio di manovra per fare tutto ciò in più di un modo, tenendo conto delle sfumature di grigio oppure recuperando il buon vecchio manicheismo narrativo, perché sospetto che ci siano in giro un sacco di lettori come l’Anziano Signore – gente che vuole i suoi eroi saldamente in sella al cavallo bianco, e i malvagi ammantellati di nero e cachinnanti nell’ombra.

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* Una volta di più, Sir Walter Scott aveva messo mano alla faccenda…

Garibaldi Il Samurai E Il Buon Re Riccardoultima modifica: 2012-02-22T08:10:00+01:00da laclarina
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9 Commenti

  • Tempo fa ho letto un bel romanzo (le bozze di) in cui si intecciavano le vicende di Garibardo (un rubagalline siculo che si spacciava per Garibaldi) e il vero Garibaldi. La cosa divertente era che Garibardo finiva eroe per caso rimettendoci le penne, mentre il vero ordinava il massacro di Bronte.

    Il nostro essere “senza né santi né eroi” è un fenomeno sociale, non più un eccezione. Inutile cercare solidarietà tra i più vecchi 😉

  • A quanto pare, invece, non siamo proprio senza eroi – vedi l’indignazione dell’AS. E a dire il vero, è stato proprio un po’ malvagio da parte mia scandalizzarlo così. Malvagio ma divertente… 🙂

  • (Prima di tutto: questo post mi ha dato un’idea per un racconto – se e quando lo scriverò, verrai citata come istigatrice)

    Il problema del pretendere un comportamento conforme al nostro da individui appartenuti a società e culture radicalmente diverse è annoso e terribile.
    Gli americani cassano Mark Twain perché si esprimeva in termini che _oggi_ non sono più considerati accettabili; una derelitta dichiara online di non poter fare la sua tesi di laurea sui classici del fantastico perché popolati di personaggi esecrabili, fitti di un linguaggio politicamente scorretto e sommamente irrispettosi delle quote rosa.
    Da qui, la forchetta dannata – edulcorare il background degli eroi istituzionali, o scivolare nell’altro paradosso, quello di considerare tutto il passato popolato solo ed esclusivamente di individui esecrabili, condannandone le azioni tout court per quel mancato conformarsi ai nostri standard.
    “Perché anche Abramo Lincoln possedeva schiavi gné gné gné…”
    Un ottimo sistema per ergersi sempre e comunque a Crown of Creation.
    Si tratta di situazioni dalle quali difficilmente si esce senza brevi e concitati attimi di violenza (verbale, se non fisica).

    Poi, avendo io perpetrato narrativa in cui Garibaldi agiva su Marte con Sandokan come sidekick, non posso probabilmente esprimere giudizi – salvo un giudizio sommamente pietoso nei confronti di coloro che mi fecero notare che le mie storie contraddicevano la realtà storica.

  • Aspetto il racconto, allora… 🙂

    Un risvolto narrativo della situazione che descrivi, uno che detesto oltre ogni ragionevolezza, è la Sindrome della Bambinaia Francese – così nominata un libro della Pitzorno che è esemplare. In un romanzo storico, l’eroina (più raramente l’eroe) “anticonvenzionale” è dotata di pensieri e sensibilità contemporanei. E naturalmente è un angelo di bontà – mentre tutti gli altri, con pensieri e sensibilità period, sono malvagi, ottusi, gretti, crudeli, stupidi… e via ad nauseam. La disonestà intellettuale della cosa mi manda il latte alle ginocchia e poi lo fa cagliare.

  • Non conoscevo la definizione della Bambinaia.
    Si tratta di esotismo molto molto semplice – la forma senza la sostanza.
    E in una certa misura, è anche comprensibile – come narratore voglio creare un legame fra lettore e protagonista, quindi devo inserire elementi comuni.
    Il problema è quando si esagera, o quando si spinge un’agenda ideologica, o quando manca semplicemente la capacità di immaginare la diversità.
    Senza contare la tendenza tutta nostrana di voler comunque dare un colore politico anche ad eventi risalenti ad un passato in cui la politica si faceva con fiaccole e forconi.

    Lo si sente anche a livello accademico – io vorrei entrare nel cervello di chiunque sia a gestire l’insegnamento dell’antropologia a Torino, ad esempio… ogni valutazione viene filtrata da criteri contemporanei.

    Poi, ok, sarebbe bello avere un pubblico che sappia distinguere tra narrativa e saggistica, e che non pretenda dall’una il rigore dell’altra.
    Come narratore posso inventarmi quel che mi pare – poi al limite metto una postilla spiegando dove ho deviato, e consigliando magari un saggio o due ai più curiosi.

    (per il racconto, ti toccherà pazientare – ma lo spunto è annotato)

  • Lo so che la narrativa non è saggistica, e lo so che serve un ponte tra il lettore e il mondo interno del romanzo… ma rappresentare la mentalità del tempo come malvagia & stupida perché differisce da quella contemporanea non può essere una buona idea narrativa, don’t you think?

    Come narratore posso inventarmi quel che mi pare, ma ho l’impressione che, se mi disturbo a scrivere un romanzo storico, potrei fare uno sforzo per offrire al lettore un ritratto onesto dell’epoca di cui parlo – e questo include il fatto che la gente pensava quel che pensava non perché era malvagia & stupida, bensì perché tal dei tempi era il costume.

    Sennò poi ti capita (come capitò a me) l’implume che ti dice in tutta serietà: “Se fossi stata un’antica Romana, io di schiavi non ne avrei voluti – punto e basta.”

    E la definizione della bambinaia, confesso, è grano macinato del mio contenitore di juta.

    E per il racconto… che vuoi che ti dica? Aspetterò… 🙂

  • Chiaramente, se ci si prende la briga di scrivere un romanzo storico, la storia dev’esserci, e quella autentica.
    Altrimenti, nulla mi impedisce di cambiare i toponimi e farlo diventare un fantasy… un bel fantasy in cui tutti vestono come ai tempi di Elisabetta e parlano come ai tempi di Elisabetta, ma nessuno se non i più turpi individui si sognerebbe mai di essere razzista, o intollerante sul piano religioso o mangiare carne anziché osservare il più assoluto vegetarianesimo.
    Ma anche così non funziona, vero?
    Perché lo sappiamo entrambi che sarebbe un pessimo fantasy.

    E d’altra parte, nel romanzo storico, non devo bastonare i miei lettori col mattarello dell’edutainment… ci devo mettere quel tanto che basta di autenticità perché il setting sia solido e l’azione giustificata, e poi andare avanti con la storia.

    È un bel grattacapo, perché temo che nei manuali tanto popolari con taluni, non c siano capitoli né sull’onestà intellettuale, né sul senso della misura, né sulla necessità di fare esattamente ciò che serve, né di più, né di meno.
    Poi i risultati si vedono – mercenari lanzichenecchi che hanno studiato ninjitsu durante la battaglia di Sekigahara, lunghi pistolotti sul ruolo del proletariato (!) nelle sommosse contadine del 1200, e lunghe mail offesissime perché una scema battuta fatta su Kit Marlowe (sempre lui!) è segno di inammissibile omofobia…

    E per chiudere, non sia mai detto ch’io faccia attendere una signora… lo metto in macchina domani, e se tutto va bene, avrò qualcosa da mostrare per il weekend.
    O spirerò, stremato, nel tentativo.
    (che diamine, cos’è la scrittura senza l’occasionale gesto eroico?!)

  • Ciao, sono rimbalzata qui da unaltro blog.
    Volevo farti i complimenti per l’articolo gustoso, in effetti temo che il *povero* Giovanni sarà sempre inflazionato dalla lettura di Robin Hood.
    Questo post mi ha ricordato lo stupore con cui mio padre (ardente lettore di Salgari da ragazzo), lessa la biografia di James Brooke scoprendo che non era un cattivo a tutto tondo, ma (sempre in prospettiva all’epoca in cui visse) un governatore illuminato.

  • @ Davide: Apprezzo molto il gesto eroico. Commossa e curiosa in pari grado, attendo.

    @Taurie: benvenuta! Ho quasi voglia di adottarla io, la causa della riabilitazione di Giovanni… Ma d’altra parte sono un caso disperato: anche da piccola, anche prima di scoprire la vera storia di Rajah Brooke, ho sempre parteggiato per lui. Mi piaceva poco, Sandokan. 🙂
    Torna a trovarmi!