Mar 21, 2012 - grillopensante, Poesia    9 Comments

(Prima)vera Poesia

Credete di poter sopportare una reminiscenza?

Stiamo parlando di venticinque anni orsono – proprio come oggi. Mi si affibbiò un tema sulla primavera, perché allora l’11 novembre si faceva il tema su S. Martino e le castagne, a settembre si raccontavano le vacanze, il 19 marzo si parlava del papà e il 21 marzo, invariabilmente, di primavera.

Il tema che ho in mente era più avventuroso del consueto, e richiedeva di aggiungere alla prosa un po’ di poesia. Le nostre impressioni personali e i nostri sentimenti – in versi.

E la piccola Clarina – che allora le poesie credeva di scriverle, ma rigorosamente in privato e mai si sarebbe sognata di esporle a scuola – si rifiutò di prendere la faccenda sul serio. Però, siccome il tema voleva prosa&versi, anziché sdilinquirsi sui fiori e le rondini, fece dell’ironia su allergie da pollini, piovaschi e altre amenità stagionali – prima in prosa e poi in quelli che le piaceva considerare ottonari.

Poi intendiamoci – non è che non mi sdilinquissi su fiori e rondinelle, anzi. Avevo una vena altamente sentimentale, nella mia infanzia. Però la tenevo per me e per i membri più anziani della famiglia, quelli che non mancavano mai d’impressionarsi e di dire cose come “che bambina!” o “che testolina d’oro!” Piccola potevo essere, ma ero già una spudorata pescatrice di complimenti – e bisogna dire che sulla bontà della mia vena altamente sentimentale nutrissi già qualche dubbio.

Ad ogni modo, la filastrocca. Non credo fosse nulla di che, però ricordo che ero molto soddisfatta dei miei ottonari in rima baciata, e del fatto che fosse ironica. Mia nonna mi aveva recentemente introdotta al Giusti, you know

Ma temo di dover dire che non andò molto bene. L’insegnante non apprezzò. Disse che non prendevo sul serio la faccenda in particolare e la scuola in generale. Non era rispettoso nei confronti suoi e dei miei compagni che avevano scritto poesie “vere”.

Quest’ultima rampogna mi indignò da non dirsi: la maggior parte delle poesie “vere” consisteva nell’andare a capo a strani intervalli e, nella migliore delle ipotesi, nell’occasionale sole rimato con le viole. Io avevo fatto gli ottonari, dannazione, ed erano tutti rimati, e avevo fatto dell’ironia! Perché la mia non era una poesia “vera”?

Fastforward all’anno scorso e a un piccolo premio letterario locale dove, per una serie di circostanze bizzarre, mi ritrovo in giuria. Ci sono sezioni separate per prosa e poesia, e io provo a dire che per la seconda non sono competente, ma niente da fare, e mi ritrovo a giudicare anche lì. Consapevole dei miei limiti, me ne sto zitta abbastanza a lungo mentre il limitato numero di componimenti meritevoli viene scremato e s’individuano i vincitori. Passato quello, però si viene alle menzioni e, tra le valanghe di gente che va a capo a strani intervalli, si sdilinquisce sulla primavera e il suo primo amore e rima cielo e fiori di melo, compare una faccenda bizzarra, un notturno con uno schema di rime sofisticate e tutta una serie di rimandi ottocenteschi. E mi punge vaghezza di dire che meriterebbe una menzione.

“Ma non è originale! Questo verso è copiato da Leopardi!”

“Ma quest’altro è manzoniano.”

“Ma quest’altro è dannunziano…”

Dico che sì. Appunto. Non è plagio – più o meno consapevole. Sono echi inseriti apposta, è una specie di pastiche fatto con una certa consapevolezza tecnica…

E  c’è questa signora che mi guarda con aria gelida e dice che non capisce bene. “Lei la giudica  meritevole, questa cosa del tutto formale?”

E un’altra signora chiosa che non si tratta di “vera poesia”, e io mi sento di nuovo sui banchi di scuola – però adesso sono attrezzata e mi lancio in una disquisizione su come la forma sia sostanza, e su come a differenziare la poesia dalla prosa sia la tecnica più che i fior di melo e la disposizione random delle parole sulla pagina… E cito il rigore tecnico dei grandi poeti, e mi rifiuto di ammettere che casualità e sentimento frullati insieme producano poesia.

Alla fin fine il notturno finisce menzionato, ma le due signore mi portano ancora rancore – un po’ come io ne porto un filo all’insegnante dopo un quarto di secolo…

Lo so, lo so: è partita come una reminiscenza ed è finita in un rant – ma mi irrita nel profondo questa diffusa convinzione che per scrivere poesia basti aprirsi le coronarie e spargerne il contenuto a manciate sulla pagina – badando di andare a capo spesso.

(Prima)vera Poesiaultima modifica: 2012-03-21T08:10:00+01:00da laclarina
Reposta per primo quest’articolo

9 Commenti

  • Evviva!
    Non potrei essere più d’accordo.
    La poesia è eminentemente padroneggiare la tecnica che permette di inserire bei contenuti in una forma rigida. È un esercizio.

    Secondo me esiste tutta una schiera di sedicenti poeti che scrive un pensiero più o meno criptico e poi manda a capo con Word premendo invio a casaccio.

    Io amo la poesia. Tantissimo. E ne leggo pure. Ma ancora adesso fatico a trovare della vera poesia nel verso sciolto, semplicemente perché, credo, la costrizione ha il potere di migliorare il contenuto (quasi sempre, poi bisogna averci anche un po’ d’orecchio, che a scalpellinare versi perché entrino in un endecasillabo non viene mai fuori niente di buono).

  • Ah, sintonia, sintonia! 🙂
    Perché non dev’esserci verso di far passare il concetto che costrizioni, strutture e forme affinano la scrittura?

  • Io che i miei temi erano irrispettosi delle consuetudini, scorretti nei confronti dei miei compagni che avevano lavorato duro e in generale contrari alle dinamiche che reggono l’Universo secondo la volontà di Esseri Supremi appartenenti al Provveditorato Cosmico agli Studi, me lo sentii dire fino alle superiori.
    E che io non ho mai avuto la spudoratezza di metter alcunché in versi.
    Eppure la mia media restava altissima.

    Il culmine giunse all’esame di maturità, quando la maledetta esaminatrice d’italiano mi disse (ed è impresso a fuoco nelle mie sinapsi) “Lei non può permettersi di usare l’italiano in questo modo, lei è uno studente, non uno scrittore.”
    Mai complimento più storto accompagnò un cinque di italiano (il primo in dieci anni, credo).

    (e d’altra parte, con l’anno successivo, cominciai a sentirmi dire che non potevo affrontare le Scienze della Terra in quel modo… cosa che culminò col docente che mi disse “Lei qui a geologia potrà solo venire a lavare i pavimenti.” *)

    Detto ciò, la poesia mi intimidisce – ma come al solito, più i frequentatori della poesia che non la poesia in se.
    Al liceo, fra amici, ci si divertiva a scambiarci battute e storielle in endecasillabi sciolti.
    Altra pratica poco apprezzata.
    Quella delle vene aperte, quella dell’Arte con la maiuscola enfatica che si pronuncia Ah!, è una piaga di proporzioni bibliche.

    (* Io gli risposi “Probabile, ma in capo a cinque anni i suoi studenti si prepareranno sui miei libri di testo.” Cosa che in effetti accadde.)

  • Sottoscrivo.
    Pensa che mi è capitato di leggere, in tempi fin troppo recenti, un saggio di un giovane poeta e/o critico letterario che diceva (senz’ombra di ironia) che a conti fatti la poesia è costituita solo dall’enjambement selvaggio, e che la metrica è una cosa barbogia e anacronistica (parafrasi mia).

  • @Davide: grandiosa rivincita! 🙂
    Devo dire che non mi sognerei mai di scrivere poesia. Quella capacità di distillazione estrema, quel commistione di rigore e sincerità, proprio non li ho. A woman must know her limits. Però ammiro molto molto, e invidio la capacità di condensare il massimo significato nel minor numero di parole – and do it beautifully. Eh…
    Dopodiché, devo dire che il mio atteggiamento nei confronti dei poeti è cambiato radicalmente incontrando Seamus Heaney. Prima non credevo granché all’aura dei poeti. Ho cambiato idea.

    @Mattia: se volessi generalizzare e salire sulla mia cassa di sapone, direi che i nostri tempi sono caratterizzati da un’isterica enfasi sulla Spontaneità e Istintualità (con la maiuscola) – e al diavolo ogni idea di rigore e disciplina. E dire che, for one thing, la poesia è rigorosissima disciplina…

  • Sapessi quante volte mi sono sentito dare dell’insensibile perché non so riconoscere l’Arte nella Spontaneità e nell’Istintualità!
    E invece c’era di sicuro molta più poesia nei tuoi ottonari di bambina (N.B.: l’ottonario è un metro estremamente sottovalutato, IMHO) che in tutte le sbrodolaggini intimistiche fatte andando a capo a casaccio (purché con tendenza antisintattica).
    Per festeggiare questa Giornata della Poesia, da bravo Difensore della Forma Sentimentalmente Arido, mi permetto di linkare questo:

    http://sudareinchiostro.it/2012/03/21/giornata-della-poesia-un-dantesco-regalo/

    Consideralo un regalo da utilizzare come vuoi.
    Sì, è in metro. Sì, è ironico (più o meno).

  • Victor Hugo affermava ” Non esiste la prosa, esiste solo il verso, più o meno lungo, più o meno articolato” – Strana affermazione per un narratore. La poesia non è solo definita dalla metrica né dimora in un semplice sfogo del cuore. Deriva dalla capacità di condensazione di pensieri, parole e significati all’interno di un ritmo personale, nonché dall’uso sapiente di una chiarezza estensiva ( contrapposta alla chiarezza intensiva della prosa) capace di evocare e creare suggestioni più che tendere a spiegazioni precise e delimitanti -[ Il mio commento è breve proprio perché scrivo poesia ]

  • @Emma: evocare, creare suggestioni – sì. La cosa che ammiro di più nella poesia è la capacità di creare immagini e significato per accostamento e sintesi. La capacità di condensare tutto il significato possibile in una manciatina di parole – e ho la sensazione che si tratti molto più di duro lavoro che di sfogo nel cuore, o sbaglio?
    Grazie di essere passata.

  • Eh beh, si , in effetti si tratta di un continuo duro lavoro, un duro lavoro avaro di soddisfazioni, ma qualcuno lo deve pur fare…! 😉