Che Cosa Non È Un Romanzo Storico?

hnrmay09cover.jpgC’era una volta, un paio di anni fa, una lettrice (ed ex collaboratrice, se ho ben capito) di Historical Novels Review, che scrisse alla rivista una lettera furibonda, sollevando la questione di che cosa fosse di preciso un romanzo storico – e di che cosa invece non lo fosse affatto. Il romanzo storico è un genere ben definito, sosteneva la signora in questione, al quale non appartengono romanzi rosa in costume, fantasy a sfondo storico, viaggi nel tempo, ucronie e via dicendo.

HNR, rivista angloamericana specializzata, seguiva e segue una politica molto aperta in materia, e rispose alla lettrice sostenendo che negli ultimi anni la definizione del genere si era allargata a comprendere un certo numero di sottogeneri, la cui natura varia selvaggiamente. Fenomeno difficile da ignorare – ma soprattutto, si chiedeva il redattore nella risposta, era saggio e lungimirante volerlo ignorare?

Non è un caso che la discussione sia nata in ambito anglosassone, nel contesto di un mercato editoriale molto più segmentato del nostro, ma l’argomento è interessante. Al di là della politica editoriale di HNR, è assolutamente vero che il romanzo storico, come genere, si è ramificato in modo notevole, negli ultimi otto o dieci anni.

È lontana l’arcadia candida e un po’ strettina in cui Sir Walter Scott, Dumas e Manzoni, con i loro seguaci, imitatori ed epigoni, esaurivano più o meno il panorama. C’era l’ambientazione in secoli passati, c’era una guerra/battaglia/pestilenza/cospirazione/sollevazione armata, c’era una maggiore o minore libertà rispetto alle fonti, c’era un malvagio destinato alla sconfitta, c’era una giovane coppia destinata all’altare, et voilà: romanzo storico.

Per molto tempo, l’unica distinzione era stata quella tra romanzi storici e romanzi storici per fanciulli – alle volte con risultati bizzarri: sapete tutti che questo è a pet peeve of mine, ma davvero: chi può voler considerare Il Signore di Ballantrae di Stevenson un romanzo per fanciulli?).

Arcadia, come dicevo: adesso si può contare facilmente una decina di sottogeneri.

1. Romanzo rosa storico. Oppure romanzo storico rosa, a scelta. E sì, lo so: tutti pensiamo subito a qualche Harmony in cui personaggi dalla mentalità e dal comportamento contemporanei indossano costumi di un’epoca a scelta, e questo è quanto. Ad ovest della Manica, in realtà, si trovano commercializzati come historical romance dei romanzi di caratura molto superiore (per qualità di scrittura e accuratezza di ambientazione), che da noi sfuggirebbero alla classificazione “rosa”, ma in cui l’elemento sentimentale ha un’importanza prevalente.

2. Fantasy storico. Probabilmente, il caso più famoso è il bellissimo Jonathan Strange & il Signor Norrel, di Susanna Clarke, che ipotizza l’impiego della magia a fini militari nel corso delle guerre napoleoniche. Personalmente, trovo irresistibile l’idea dei maghi dell’esercito inglese impegnati a spostare colline, strade, fiumi e villaggi della Spagna per confondere le idee ai Francesi! Ad ogni modo, si tratta di trame che associano elementi fantastici agli avvenimenti storici, oppure creano mondi immaginari basati su un periodo storico. Se vogliamo, il Calvino de Il Cavaliere Inesistente ricade in questo genere. All’interno del quale, in teoria, bisognerebbe distinguere…

3. Horror storico, il cui punto di forza sono gli onnipresenti vampiri, calati in un’epoca a scelta*. Pensate a Intervista con il Vampiro di Anne Rice – ma non dimenticherei nemmeno licantropi, zombie e streghe. 

4. Giallo storico. Questo non ha quasi bisogno di spiegazione: delitti e indagini in qualche epoca passata. Citiamo Il Nome della Rosa di Umberto Eco, e anche le indagini di Fratello Cadfael di Ellis Peters. Persino Agatha Christie si lasciò tentare, già nel 1945, ambientando C’era una volta (Death comes as the end) nell’antico Egitto. Una variante particolarmente fortunata di questo genere vede personaggi storici all’opera come detectives – e per un esempio italiano citerò La Sposa di Annibale, di Guglielmo Colombero – ma la produzione in questo campo è molto varia – dal fratello di Shakespeare a Jane Austen, da Abigail Adams al Dr. Johnson…

5. Romanzo storico militare. Anche questo è piuttosto autoevidente: protagonisti militari e abbondanza di guerre e battaglie. Bernard Cornwell e Valerio Massimo Manfredi rientrano in questo genere. Un sottogenere è costituito dalla cosiddetta Naval Fiction. Ne abbiamo parlato di recente.

6. Multiperiod. Romanzo che alterna vicende accadute in secoli diversi, e più o meno correlate tra di loro. Mi viene in mente il (mediocre) The Intelligencer, di Leslie Silbert, i cui capitoli si dividono tra la Londra elisabettiana di Christopher Marlowe e la Washington contemporanea, con lo stesso mistero al centro. Se posso essere spudorata, il mio Lo Specchio Convesso insegue l’elusivo Ammirabile Critonio tra la Mantova cinquecentesca, la Scozia del XVII Secolo e la Londra di Dickens. Diverso da…

7. Saga familiare, che segue diverse generazioni della stessa famiglia attraverso il corso degli anni (o dei secoli). Rilevante ai nostri fini quando gli anni in questione appartengono a qualche passato, come i cicli dei Courteney e dei Ballantynes di Wilbur Smith e, più vicino a noi, La Spilla di Janesich, di Antonio Della Rocca.  

8. Viaggio nel tempo. Il nostro eroe, per un motivo qualsiasi, volutamente o per caso, si ritrova in un’epoca diversa dalla sua. I risultati possono variare dalle buffe complicazioni (il capostipite è forse Un Americano alla Corte di Re Artù, di Mark Twain), ai cavoli amari, come in Timeline, di Michael Chricton.

9. Romanzo storico per ragazzi. Citiamo R.L. Stevenson con Il Ragazzo Rapito e Lino Piccolboni con I Cannoni di Venezia, autore e titolo che, per una volta ci consentono di sorvolare sul modo in cui, negli autori italiani di questo sottogenere, l’ansia per il politically correct nuoce al rigore storico.  

10. Ucronia. Ovvero, ipotesi di storia alternativa. Il re del genere è Harry Turtledove, il cui romanzo ucronico più conosciuta in Italia forse è Per il Trono d’Inghilterra, ma c’è, per esempio, Roberto Farneti, con la saga di Occidente.

Il mercato americano distingue ancora almeno due sottogeneri: il western storico (devo spiegarlo davvero?) e il romanzo storico cristiano (a forte contenuto spirituale), che in Italia praticamente non esistono. E si possono aggiungere ancora le “psedudostorie”, come L’Isola del Giorno Dopo di Eco, o Il Viaggio dell’Elefante di Saramago, che narrano avvenimenti storici filtrati attraverso una voce autoriale moderna o a-storica.

Se non bastasse, esistono poi romanzi che mescolano vari sottogeneri. Il Teschio di Cristallo di Manda Scott (sì, quello…) è un multiperiod con forti elementi fantasy e una trama pseudogialla. Personalmente non mi azzarderei a definirlo un romanzo storico, ma è pur vero che per metà si svolge nel Cinquecento, e quindi, per dire, rientra nei criteri di HNR, che peraltro lo ha recensito, seppur senza eccessivo entusiasmo.

Insomma, il romanzo storico, come tutti i generi letterari, è in continua evoluzione, in una dialettica continua tra sperimentazione e mercato. E, tornando alla domanda iniziale, che bisogna fare di questa fioritura fuori dalle aiuole?

Ecco, a me sembra che la fioritura sia qui per restare, e che volerla ignorare sia un genere di esercizio singolarmente futile – oltre che miope. A che serve rinchiudere un genere letterario in un quadratino? A mio timido avviso il discrimine è altrove, tra il tentativo di ritrarre in modo onesto e plausibile i modi, gli usi e la mentalità di un’epoca e le collezioni di anacronismi psicologici in crinolina – ma anche questa è una valutazione d’altro tipo, che non può funzionare come criterio pratico per la delimitazione del genere…

E allora trovo ragionevole la definizione di HNR:

Per essere considerato storico ai nostri fini, un romanzo deve essere stato scritto almeno 50 anni dopo gli eventi narrati, o da qualcuno che non era vivo all’epoca in cui gli eventi si sono svolti, e quindi le conosce soltanto attraverso la ricerca.

E la distanza di cinquant’anni può essere arbitraria, ma in fondo è tutto quel che serve: al di là di quel limite c’è spazio per tutte le evoluzioni, gli esperimenti, le ibridazioni e le ipotesi che possono mantenere vivo il genere. 

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*Non credo che sia stato tradotto in Italiano, ma esiste un ciclo di romanzi che ritraggono il Barone Rosso e i suoi piloti come una squadriglia di supervampiri… giuro!

 

 

Che Cosa Non È Un Romanzo Storico?ultima modifica: 2012-08-20T08:10:00+02:00da laclarina
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11 Commenti

  • DIAVOLO! SARA’ ANCHE MIOPE NON VOLERNE TENER CONTO, MA OGNI LIMITE HA UNA PAZIENZA, MI VERREBBE DA DIRE PRENDENDO A PRESTITO IL GRANDE DE CURTIS. IO NON HO CERTO ALCUNA AUTORITA’ IN MATERIA E NON SONO NEMMENO UN LETTORE PARTICOLARMENTE RAFFINATO, MA DI QUESTO PASSO METTI LA BANDA BASSOTTI TRAVESTITA DA ATHOS PORTOS ED ARAMIS ED OTTERRAI UN NUOVO SOTTOGENERE DI ROMANZO STORICO. NO, A COSTO DI DOVERLO AL LIMITE CONSIDERARE RETRO’ O ADDIRITTURA ESAURITO, IO STAREI SECONDO I CANONI TRADIZIONALI.

  • Giusto, avevo dimenticato la parodia! E’ un sottogenere anche quello, e non parlo solo delle (adorabili, secondo me) parodie disneyane, ma anche di antecedenti più “titolati”, come per esempio Mark Twain (“Un Americano alla corte di Re Artù”) e Italo Calvino (“Il Cavaliere Inesistente”). Il che tuttavia ci porta ad un’altra questione: come vedi, i sottogeneri non sono necessariamente sviluppi recenti. E allora quali sono i “canoni tradizionali”? Che cosa vogliamo escludere? In base a quali criteri? E che fare di quell’ampia fetta di mercato e autori coinvolta nei sottogeneri? Perché è inutile negarlo: la letteratura non nasce in un vacuum, è il prodotto di una dialettica della domanda e dell’offerta, anche se non puramente monetaria…
    E poi, c’è una cosa che mi colpisce: sei sicuro di volerlo considerare “addirittura esaurito”? Un genere esaurito è come le lingue morte, qualcosa che si studia ma non si pratica… non vale la pena magari di cercare nuove strade e tenerlo vivo? Ovviamente, i romanzi tradizionali esisteranno sempre, ed occuperanno una posizione centrale. Si tratta soltanto di sperimentare *anche* nuovi accostamenti.

  • TEMO DI NON ESSERE STATO CHIARO, MA IN ESTREMA SINTESI, SE NON L’AVEVI CAPITO, ERO E SONO PIENAMENTE D’ACCORDO CON LE TUE CONCLUSIONI, IN PARTICOLARE CIRCA IL RIGORE STORICO: SENNO’ ROMANZO STORICO DIVENTA ANCHE IL BARONE ROSSO E LA SUA SQUADRIGLIA, RITRATTI DA VAMPIRI, O COME DICEVO IO, LA BANDA BASSOTTI NELLE VESTI DEI TRE MOSCHETTIERI. TUTTO EVOLVE, D’ACCORDO, SPAZIO ALL’INVENTIVA E ALL’ORIGINALITA’, MA MI PARE OLTRE CERTI LIMITI NON SI POSSA ANDARE. ACCOSTAMENTI? BENISSIMO, MA NELL’AMBITO PERLOMENO DELLA VEROSIMIGLIANZA, SENNO’ E’ FANTASCIENZA, O FANTAPOLITICA, O APPUNTO, FANTASTORIA. POI, SE A QUALCUNO VIENE IN MENTE DI COSTRUIRE UN ROMANZO DOVE GIULIO CESARE, NAPOLEONE, MUSSOLINI E ATTILA SI RITOVANO TUTTI I VENERDI’ PER GIOCARE A CULARINO (TRE SETTE A NON PRENDERE) E LO VUOL FAR PASSARE PER “STORIA”… PUO’ FAR RIDERE, IN TUTTI I SENSI.

  • Non c’è bisogno di giurare.
    The Bloody Red Baron, di Kim Newman, è un eccellente romanzo – non buono come il precedente Anno Dracule (ambientato nel 1889), ma molto buono.
    Vista la commistione strettissima di personaggi romanzeschi e reali, non credo sia classificabile come romanzo storico, e credo che solo un malato di mente proverebbe a venderlo come tale.
    Lo stesso vale per la recente serie di romanzi iniziata quest’anno con By The Blood of Heroes (grande guerra e vampiri), o per l’ottimo The Black Hand Gang (Grande Guerra ed alieni).
    Le tassonomie strettissime, al di là del gioco intellettuale, servono essenzialmente come strumento merceologico per i professionisti dell’editoria.
    Leggendo un romanzo col Barone Rosso vampiro, se si tratti di historical fiction o meno è l’ultima delle mie preoccupazioni.

    Poi naturalmente c’è il problema – ne abbiamo già parlato – del vezzo della narrativa storica (e di chi la frequenta) di ammantasi di una gravitas fasulla, come se i romanzi storici non fossero infarciti di imprecisioni, sciocchezze, falsità ed espedienti narrativi, ma fossero stati piuttosto dettati da Clio in persona.

    E mi domando, da perpetratore di narrativa d’immaginazione – e se Cesare, Napoleone, Mussolini e Attila, giocando a carte, si scambiassero opinioni, confidernze, e reminiscenze delle proprie vicende, confrontandosi e dibattendo, parlando di donne, di cavalli, di amici e nemici, di battaglie e della noia fra l’una e l’altra, non sarebbe forse (anche) “storia”?

  • @Federico:
    Be’, bisogna vedere che cosa s’intende per verosimiglianza, ma non vedrei nulla di male in un’ucronia che fa discutere gente di secoli diversi – se devo dire la verità, mi sembra un’idea splendidamente teatrale…
    Quanto alla fantastoria, è proprio su questo che si tratta d’intendersi: ovviamente non è romanzo storico nel senso tradizionale dell’espressione, ma può considerarsi un sottogenere laterale?

  • @Davide: distinzioni e paletti hanno estremo senso dal punto di vista di HNR, che deve decide cosa recensire e cosa non recensire. Che cosa consideriamo ricadere sotto il nostro ombrello? Quali sottogeneri?

    Perché a questo punto è di questo che stiamo parlando: ramificazioni, parentele, prossimità…

    Kim Newman non scrive romanzi storici à la Scott, ma mescola ambientazione storica, elementi fantasy/paranormali e (adesso che ho un titolo sono andata a documentarmi) metaletteratura. Non sono certissima di volerne leggere due grossi volumi (vampiri… ugh!), ma direi che considero la faccenda una… shall we say un’ibridazione di un sottogenere? E capisco perché HNR l’abbia a suo tempo recensito.

    Per quanto riguarda la prosopopea della narrativa storica – mah. Si spera sempre che scrittori e lettori sviluppino un senso delle proporzioni e imparino a distinguere tra un romanzo e una tesi di laurea, ma si sa che la mia fiducia nel genere umano è limitata. Anche perché di romanzieri storici, come di ghiaccioli, ce n’è d’ogni colore… Ci sono quelli che nuotano in sciocchezze, imprecisioni e falsità, no doubt, ma si suppone che siano romanzieri storici così così. Perché un conto è la deliberata alterazione dei fatti a fini narrativi (purché non si tratti di Bambinaie Francesi, thank you very much), e un conto è non disturbarsi a ricercare il proprio periodo. In questo, lasciaci essere un filo intolleranti. 🙂

  • Ah, ma nessuno ha parlato di non documentarsi.
    Il discorso è però che una volta documentato, come autore ho il diritto di buttare a mare tutta quella parte della documentazione che non mi interessa, e rimpiazzarla con astute mistificazioni.
    È il segno del cattivo narratore?
    Non credo.
    Il cattivo narratore è chi fa tutto ciò, e si fa scoprire.

    E poi lo sai che io amo punzechiare chi frequenta la narrativa storica – un po’ per vendicarmi del ruolo di parvenù narrativo che viene riservato a me ed ai miei compari che trattiamo avventura ed immaginazione 🙂

    I paletti fissati dalla rivista confermano la mia osservazione – non si tratta di un problema del lettore, ma dei professionisti dell’editoria, che siano editori o recensori, o librai che devono decidere su quale scaffale mettere il libro.

    Di Kim Newman, consiglio vivamente Anno Dracula o forse, visto che i vampiri non ti solleticano, l’ottimo Moriarty – The Hound of the D’Urberville.
    Dove il dato storico è perfettamente documentato, ma intersecato con elementi tratti dalla letteratura.
    Non è un vero romanzo storico – mah…
    È ambito di interesse di chi legge romanzi storici – me lo auguro.

  • 😀 E allora non so che compagnie tu frequenti in fatto di romanzi storici, ma a molti di “noi” (ah! ah! ah!) va il latte alle ginocchia per mancata documentazione, o quando la mistificazione non è affatto astuta o appare gratuita o ha fini particolarmente biechi (anacronismopsicologico – *cough*). Ma in linea generale, siamo esseri umani anche “noi” (ah! ah! ah!): dateci un buon motivo narrativo e che solleveremo il nostro corruccio.
    Dopodiché c’è un altro aspetto da considerare: quando qualcuno la mistifica proprio grossa in quello che anni di ricerca ci fanno considerare il “nostro” periodo o personaggio, è possibile che ci venga un colpo di spirito territoriale e sfidiamo a duello… er, volevo dire che chiamiamo il mistificatore a difendere la sua mistificazione.
    E a dire il vero, perché l’avventuroso mistificatore non dovrebbe difendere la sua mistificazione, se ne ha voglia? E se non ne ha voglia, può sempre trincerarsi dietro la magica formula “A Novel This Is”, cosa che per contro non sempre “noi” (ah! ah! ah!) possiamo fare quando abbiamo fatto scalare a qualcuno una torre che all’epoca non era ancora stata costruita…

  • Ah, e le distinzioni fanno comodo anche a chi scrive, perché non fa male sapere in quale aiuola ti trovi all’interno del mercato cui miri – e quali paletti puoi cercare di abbattere. Meglio sapere che cosa devi abbattere, I think…

  • Quella di conoscere il mercato è una bella questione – quando scrivo, devo pensare alle categorie merceologiche, o a un ipotetico “lettore zero”?
    Sono così distanti?
    E se lo sono – come io credo – quale dei due devo privilegiare?
    Io credo che una delle ragioni dell’appiattimento di certio generi (vedi il mio recente post sull’urban fantasy) sia proprio da ricercare in autori che pensano troppo allo scaffale e troppo poco al lettore.
    Ma è una mia idea selvatica.

  • E infatti parlo di sapere quali paletti si può tentar di abbattere. E comunque c’è differenza tra l’appiattirsi sul mercato e farsi un’idea di come il mercato sia fatto, I think…