Festivaletteratura 4 – Bruno Gambarotta

Questo post è per Alessandro Forlani, che di Da Ponte è un serio ammiratore e si sarebbe divertito, credo, alla conferenza di Gambarotta – salvo forse per l’aria condizionata assassina.

festivaletteratura, bruno gambarotta, lorenzo da ponteGambarotta racconta con brio ironico, e la storia di Da Ponte si presta bene. Personaggio da romanzo, questo Ebreo veneto convertito a quattordici anni insieme alla famiglia, prete controvoglia, libertino seriale, viaggiatore sull’onda di processi e debiti, scandalizzatore di professione, poeta di corte, librettista, delatore, imprenditore di scarsa lungimiranza, fuggitivo transoceanico, droghiere, professore d’Italiano, promotore dell’opera italiana, memorialista…

Non si è fatto mancare molto, in vita sua, il buon Da Ponte, reinventandosi più volte con ammirevole faccia tosta.

Per dire, arriva a Vienna con l’intento di diventare librettista, e Salieri lo presenta all’imperatore melomane.

“E quanti drammi ha composto finora, Herr Da Ponte?” chiede Giuseppe II.
“Maestà, nessuno,” è la risposta – al che l’imperatore fa un gran sorriso.
“Bene, bene, bene. Vuol dire che avremo una musa vergine.”

E bisogna dire che Giuseppe avesse buon occhio, perché la musa vergine se la cavò benissimo e, quando Mozart arrivò a Vienna, cercando un librettista scelse subito il famoso e occupatissimo Da Ponte.

E qui si sfata l’idea diffusa di Da Ponte come appendice viennese di Mozart. In realtà, all’inizio, Mozart è un musicista squattrinato, cacciato a calci dall’entourage dell’Arcivescovo Colloredo per aver voluto restare a Vienna. È lui a corteggiare il librettista celebre, che dapprincipio è troppo preso per occuparsi di lui. Mozart diffida dell’amabile Italiano e lo teme in combutta con Salieri. Il sodalizio che produce Le Nozze di Figaro, Don Giovanni e Così Fan Tutte non è un sodalizio affatto. È una collaborazione prodigiosa e un po’ diffidente, per nulla aiutata dalla foschia linguistica che separa i due: l’uno non parla bene il Tedesco, l’altro mastica poco l’Italiano…

Nondimeno, ne escono tre capolavori – per quanto il successo delle Nozze sia lento a venire: troppo complessa e intricata, troppo rivoluzionaria, troppo lunga per la cena di Sua Maestà Imperiale… L’opera di Da Ponte e Mozart rompe con la tradizione in tutti i sensi, e i melomani viennesi son perplessi per una trama che va seguita con attenzione, recitativi rilevanti, idee rivoluzionarie in forma giocosa – nonostante Da Ponte abbia smussato gli spigoli più taglienti di Beaumarchais.

Ma poi c’è Praga, e c’è il Don Giovanni, e c’è il recupero viennese con il gioco elegante e cinico del Così

E qui il povero Da Ponte esce dal radar della percezione generale, dopo esserci passato solo come rovescio della medaglia mozartiana. Il che è profondamente ingiusto, a pensarci bene, perché la collaborazione era paritaria, perché l’audacia c’era da entrambi i lati, perché forse Da Ponte non millanta quando rivendica l’idea del Don Giovanni. Non sarebbe stata la prima volta che faceva calcolo sullo scandalo: non si era forse fatto un nome a Venezia facendo sobbalzare tutta un’Accademia con l’invettiva antinobiliare à la Rousseau? 

E poi non è come se Da Ponte scomparisse nell’uscire dal cerchio della luce di Mozart. In tutta probabilità avrebbe continuato la sua brillante carriera a corte, se solo al successore di Giuseppe II fosse piaciuta un pochino l’opera… Ma essendo Leopoldo quel che era, il Nostro passò ad altri successi a Londra, salvo poi fuggirsene per non finire a Marshalsea per debiti. E sull’altro lato della Tinozza, è vero, cominciò da droghiere a Philadelphia, ma poi finì padre della cultura italiana a New York: la prima cattedra di Letteratura Italiana al Columbia College, la prima biblioteca italiana, il primo teatro d’opera… festivaletteratura, bruno gambarotta, lorenzo da ponte

Per la New York del primo Ottocento, Da Ponte era l’Italia. Un’Italia forse un poco ripiegata sul secolo passato, ma colta, musicale e raffinata, amabile e molto amata. E quindi è ingiusto ricordarlo soltanto nell’ombra di Mozart – e di certo il suo fantasma se ne duole. È facile immaginare un fantasma di Da Ponte, infaticabile com’era da vivo e con lo stesso gusto del momento drammatico. Ed è facile immaginare che, se ieri pomeriggio fosse stato all’aula magna dell’Università di Mantova, gli sarebbe piaciuto sentire Gambarotta occupato a rivendicare la sua fama postuma.

Festivaletteratura 4 – Bruno Gambarottaultima modifica: 2012-09-09T08:38:00+02:00da laclarina
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8 Commenti

  • Da bravo torinese, detesto Gambarotta con tutte le mie forze, senza neanche impegnarmi. Dal suo tono di voce al ritmo con cui parla, alle idee che esprime, la sua sola esistenza mi fa infuriare.
    Così, ci tenevo a dirlo.
    Buona domenica.

  • 😀 As long as you don’t expect to sound dreadfully reasonable…

    Che vuoi che ti dica? La mia esperienza di Gambarotta è limitata, ma su Da Ponte è stato molto gradevole, e – dare I confess? – a me l’accento di Torino piace…

  • Ops, ho premuto “invia” inconsultamente. Volevo ancora ammettere che le avversioni sono quel che sono e non c’è nulla da fare… Essendo una cui va il latte alle ginocchia e poi si caglia alla più innocente menzione, che so, di Richard Bach o del PP, davvero non posso sindacare. 🙂

  • Se sorvoliamo sul fatto che sia di Asti, immagino che sì, abbia un perfetto accento Torinese.
    Il fatto che la popolazione nazionale ne sia convinta rende ogni altro dato – inclusa la realtà – superfluo.
    No, mi dispiace, proprio lo penso e gli voglio male
    Ogni suo respiro è un crimine ai miei occhi.
    Il suo ruolo di falso torinese è il primo dei problemi…

  • Un falso torinese? Oh my! Immagino di peggiorare le cose se mi dichiaro affascinata dal meccanismo della falsa torinesità? Ma perché? Capisco che Torino sia Torino, ma un astigiano non può essere un Piemontese Quintessenziale?

  • In termini di accenti, scambiare un torinese per un astigiano è pressocché impossibile, più o meno come scambiare un abitante di Glasgow e uno di Cardiff.
    Per il resto, Gambarotta ha preso la macchietta del piemontese ingenuo di Macario e l’ha incarognita.
    Fondamentalmente recita una parte, che credo – e inorridisco – soddisfa le aspettative di un sacco di italiani (e persino di alcuni torinesi, cosa che me lo rende ancora più odioso).
    Attualmente da noi è una specie di barzelletta, perché dopo quarant’anni che lo si vedeva girare per Torino in tram, imbacuccato come per una spedizione antartica, ora ci sta infliggendo una serie di articoli su La Stampa nei quali ci racconta la sua esistenza di ciclista urbano di lungo corso.
    Balle, ma probabilmente ci sta scrivendo un libro.
    E sorvoliamo su quella guida turistica diretta al mercato giapponese, curata del personaggio, in cui la Basilica di Superga veniva confusa con il Monte dei Cappuccini (ti invito a usare google per confrontare questi due landmark torinesi).
    Naaaa… lo detesto.
    È un bluff.

  • Ok, accetto l’idea che Gambarotta sia il Male Assoluto in salsa piemontese – però reitero che su Da Ponte è stato molto gradevole. Si vede che anche il Male Assoluto ha le sue giornate…

  • Non è il Male Assoluto 😀
    È semplicemente una persona che io trovo estremamente irritante e falsa (falsa non nel senso di bugiarda, ma proprio di non autentica, di costruita).
    Su Da Ponte nulla da dire – non c’ero, non posso giudicare.
    Ma come dicevo, è il fatto che esista, che mi infastidisce di Gambarotta, non ciò di cui parla 😉