Un Quarto Di Romanzo E Dieci Constatazioni A Caldo

E così ho finito.

No, non ho finito, non davvero, ma after a fashion.

Stanotte mi sono fermata appena dopo il traguardo delle 25000 parole – l’avete visto nel bollettino – per puro e semplice sonno.

E mi sono fermata a un terzo scarso della scena finale del I Atto, quella in cui succedono cose atte a precipitare il mio protagonista in problemi che passerà il resto del romanzo a risolvere – o cercare di risolvere, quanto meno.*

Ad ogni modo, ho scritto le mie 25000 parole in una settimana, come mi ero proposta di fare, il che è stato appagante, divertente e anche istruttivo.

Ho constatato una serie di cose, di cui vi metto a parte. Alcune sono più pratiche (e probabilmente più utili) di altre, e tutte sono crude, appena pescate e buttate giù alla rinfusa dopo una settimana di infreddatura, antibiotici e scarse ore di sonno.

1) Avere passato una buona quantità di tempo nel corso dell’estate a strologare l’ossatura di questa storia è stato fondamentale. Non mi sono tuffata alla cieca. Avevo parecchie pagine di appunti e cogitazioni su posti, personaggi e avvenimenti, e soprattutto un elenco di scene fondamentali. Sapevo dove stavo andando.

2) Come sono arrivata dove stavo andando è un cavallo di colore leggermente diverso. Capitano cose inattese, i personaggi prendono iniziative, delle transizioni germogliano in scene a pieno titolo… Progettare una storia non vuol dire ingabbiarcisi dentro.

3) Alla soglia dei quarant’anni, forse – e dico forse – sto imparando a non editare mentre scrivo e a non accanirmi sui dettagli in prima stesura. Benedetta sia Holly Lisle, che per mesi e mesi, durante How To Think Sideways, ci ha predicato di non preoccuparci della perfezione in prima stesura – quello è il santo graal cui dare la caccia in revisione. E dunque, quando mi sono accorta che sulla casa di un personaggio non ho le idee chiarissime, ma potrei averle consultando un libro che non possiedo ancora, ho scritto [THEY GO TO THE STUDY – MORE TO COME] tra parentesi quadre, e sono passata oltre. Quando di una scena si sono presentate due possibili versioni alternative, le ho annotate entrambe in sufficiente dettaglio, e le ho lasciate lì. Ciascuna delle due ha i suoi meriti, ma in tutta probabilità, quando sarò più avanti, mi ritroverò ad avere buone ragioni per scegliere l’una o l’altra. E quando mi sono accorta di non sapere di preciso quale fosse la locanda di posta di Greenwich, ho messo un punto di domanda tra parentesi quadre e – you guessed it – sono passata oltre. Liberatorio e produttivo.

4) Trovo che un buon metodo per impedirsi di editare mentre si scrive sia il timer. Sempre Holly Lisle: ci si danno dieci minuti e si scrive, scrive, scrive finché il timer non suona. Così non si ha tempo (o quanto meno ci si convince di non avere tempo) per cambiare “rosso” in “vermiglio”, e poi in “scarlatto” e poi di nuovo in “vermiglio”, e perché non “porpora”, dopo tutto… Non è che abbia scritto così, di dieci minuti in dieci minuti per tutta la settimana – ma soprattutto all’inizio e alla fine delle sessioni era di grande aiuto per prendere il ritmo e per non perderlo.

5) Nondimeno, a volte, aprire un libro di riferimento o cercare una fotografia su Google Images è quel che ci vuole per sbloccarsi. Son quelle volte in cui basta un particolare come una frase di un documento d’epoca o il colore di una facciata di mattoni per rimettere in carreggiata il flusso della scena.

6) Poi ci sono intoppi più brigosi. Alzi la mano chi riesce a scrivere alcunché senza impantanarsi, prima o poi, nella fase Orrore-Orrore-Non-Va-Bene-Non-Va-Bene-Affatto-Tutto-Da-Gettare-Alle-Fiamme-Cosa-Credevo-Di-Fare-Perché-Sto-Scrivendo-Questo? Alzi la mano, dicevo, e si abbia la mia invidia. È capitato, mi par di ricordare, alla volta di mercoledì. Ho abbandonato tutto per un pomeriggio, ho fatto un po’ di cime tempestose a beneficio della famiglia, ho preso una quantità invereconda di biscotti con il tè. Poi ho ripreso in mano il computer, ho deciso di andare avanti ancora un po’ e, prima di “ancora un po’” ero di nuovo in corsa. Se stia imparando a gestire questo genere di paturnie o se questo fosse solo un caso lieve, proprio non so dire.

7) Tremilacinquecento parole al dì sono un ritmo che riesco a tenere anche mentre tossisco come una locomotiva, sotto antibiotici e con la febbre tutte le notti. E, potrei dire, anche in languida convalescenza post-antibiotici. Mi piace pensare che, in buona salute, potrei fare di meglio. Detto ciò, tenendo questo ritmo, in tre settimane potrei completare la prima stesura. Neanche male, ad averne il tempo.

8) Tra l’altro non è come se non avessi mai procrastinato. A parte il mercoledì di cui dicevo, ci sono stati momenti in cui il ritmo si è allascato parecchio – e in forme indicibilmente subdole, perché cose come questa, sono capacissime di sembrare una buona idea. O magari sono solo io…

9) Scrivener è un magnifico programma, ma per la prima stesura Q10 resta il mio prediletto. Schermo nero, caratteri color ambra**, formattazione al minimo, conteggio parole, timer interno e poco più. Niente distrazioni – il che per me funziona alla perfezione.

10) Mi mancava scrivere romanzi. La pura e semplice possibilità di spaziare, di entrare nella testa dei personaggi e restarci dentro, di giocare con i tempi e gli spazi senza preoccuparsi di come si potrà rendere tutto quanto in scena… ah. Il respiro è diverso. I ritmi sono diversi. Col che non voglio dire che alle volte non mi capiti di lasciarmi prendere la mano dai dialoghi – specie quando i miei personaggi si mettono a discutere di massimi sistemi – ma anche di questo mi occuperò in revisione. Per adesso, che parlino quanto vogliono. Dopo tutto, fa parte del gioco.

 

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* Non posso nemmeno dire che, alla peggio, morirà nel tentativo, perché… be’, non posso. Storia di fantasmi, ricordate?

** Ma mi par di ricordare che ci siano anche altre combinazioni di colori.

Un Quarto Di Romanzo E Dieci Constatazioni A Caldoultima modifica: 2012-09-24T08:10:00+02:00da laclarina
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12 Commenti

  • Mi ritrovo in tutti i punti che hai scritto.
    Devo dire che i migliori insegnanti per il punto 1 , 3 e 4 sono i miei bambini.
    Ho talmente poco tempo che non ha senso sedermi senza avere in mente da dove vengo e dove voglio andare. Ho pochissimo tempo e non posso sperimentare sulla pagina.
    Quanto al timer…sono diventata velocissima a concentrarmi.
    Non c’è tempo per l’ispirazione.
    Mentre stanno tranquilli (potrebbe essere anche solo un quarto d’ora) mi devo sedere e scrivere, punto. Poi ci si penserà.
    Purtroppo però i blocchi possono durare un po’ più a lungo del tuo mercoledì pomeriggio perchè non sempre ho la calma per affrontare il pantano…

    Comunque stanotte alle 3 mentre riaddormentavo il piccoletto che ha la tosse mi sono seduta al PC e ho visto il tuo ultimo bollettino e mi sono detta… Grande!Ce l’ha fatta!Ed è stato bello!
    Bravissima!

  • Ma come, non scrivi in TeX? E dividi un romanzo in atti?
    Che delusioni!
    🙂

  • I primi punti li conosco tutti, e ahimè, anche il sesto. Però io sono del tipo schiacciasassi, uno di quelli che prima finiscono tutto, e poi, constatato l’orrore, abbandonano la creatura (a volte dopo un tentativo di rianimazione lungo e doloroso per entrambi).
    Su tre e quattro ho ancora da lavorare, chissà che non impari anch’io a non fare il difficilino in prima stesura!

  • @Cily: grazie, Cily! L’idea che tu abbia letto il bollettino nottetempo e te ne sia compiaciuta quasi mi commuove. Davvero. È stata una bellissima settimana…

    @Simone: uh-uh. E ti dirò di più: tre atti e tre disastri, à la Randy Ingermanson.

    @Mattia: da qualche anno in qua, anch’io finisco quasi tutto quel che inizio – quanto meno la prima stesura… l’hard disk dell’Innominatino-cum-Steno è farcito di prime stesure che sarebbe bello revisionare. Ma il problema è che ultimamente iniziavo pochino in fatto di romanzi. C’è voluta questa settimana per rimettermi in sella. E adesso vediamo di continuare.

  • Ottimo lavoro! Anch’io sono in una fase simile, chissà che questa volta sia quella buona.
    Ho una domanda tecnica per te, che mi sembri ferrata in materia di software distraction-free per la scrittura. Io ho cominciato a usare Focus Writer (Q10 è solo per Windows, mannaggia!), e mi trovo bene, se non fosse per una piccola questione. Come sai, il caro, vecchio e pesante Word corregge automaticamente l’apice (il simbolo ” ‘ “), sostituendolo con l’apostrofo (nella giusta direzione) quando serve. Focus Writer questo non lo fa, non ne ha la possibilità. Se si trattasse di una manciata di occorrenze lo farei anche a mano, caso per caso, ma se si tratta di un intero libro? Potrei sfruttare l’opzione “trova e sostituisci”, ma in quel caso non potrei essere sicuro della correttezza di tutte le sostituzioni (in certi casi il simbolo dev’essere rovesciato, come per l’inglese ” ‘cause “).
    Riconosco che è un problema da pignoli, ma ne va della mia serenità!

  • Dovrei stampare ed appendere questo post. Grazie e complimenti per l’obiettivo raggiunto.

  • Stiamo facendo un piccolo altarino a Holly Lisle – che lo merita certamente!

    Avendo fatto in passato un esperimento di scrittura a tappe forzate (che tra parentesi, si sta rivelando UTILISSIMO per scrivere la tesi di dottorato), conosco tutti gli intoppi e i deragliamenti.
    La mia regola, per ciò che vale, è – finisci la maledetta prima stesura.
    Non impirta quale orrore ti si pari sul cammino, tu travolgilo o aggiralo, o incorporalo nella prima stesura.
    Poi, con tutto tuo comodo, fai la revisione.
    Funzionicchia.

  • @Mattia: è un problema che mi sono posta anch’io, di quando in quando – senza mai trovare una soluzione soddisfacente. Ho sempre sperato vagamente che, copiando il testo in un processore un po’ più sofisticato, il processore facesse da sé quello che era necessario fare, una volta istruito debitamente in fatto di stile… Voglio dire, se selezioni il tuo testo, applichi la correzione automatica rilevante eccetera, inclino a sperare che quel che deve succedere succeda – ma non so per certo se Word e i suoi omologhi capovolgano apostrofi con sufficiente finezza e disinvoltura. Sperimenterò e ti saprò dire…

    @Jane: grazie – è stato molto soddisfacente. 🙂

    @Davide: oh, dalle mie parti Santa Holly si venera da anni. 🙂 E sì, to soldier on, no matter what, da funzionicchia a funziona. Poi ci sono i casi disperati, ma intanto, arrivare alla fine della prima stesura è molto meglio che torcersi le mani sui singoli aggettivi, disastrini e orroretti di una stesura incompiuta. E poi c’è sempre la revisione.

  • Alla fine mi sono arreso. Tornerò al pachidermico Word, o a Textedit. Nella conversione mi si sballavano anche tutti i caratteri particolari (vocali accentate e virgolette caporali) per problemi di codifica.
    L’ideale sarebbe scrivere in LaTeX, ma ci vuole un po’ prima di abituarsi.

  • @Mattia Il TeX è molto banale, se sei un umanista. Fa tutto da sé, i motivi per intervenire sullo stile sono davvero rari. Tutto diventa più complicato se scrivi formule, perché devi imparare la sintassi.
    Ma bisogna anche considerare le reali necessità. Se gli editori di quello che scrivi vogliono Microsoft Word, sarebbe un inutile spreco mandare le bozze in TeX.

  • @Simone
    LaTeX è banale per chi conosce il concetto di markup language e per chi ha un minimo di dimestichezza con l’informatica. Non so che umanisti frequenti, ma la maggior parte di quelli di mia conoscenza non sarebbe in grado di utilizzare nemmeno il pacchetto babel, e si troverebbe a dover trafficare con lo slash ad ogni lettera accentata.
    E se, puntando all’autopubblicazione, volessero cambiare lo stile?
    Guarda caso, in ambiente universitario, Word è da umanisti, mentre LaTeX è usato dagli studiosi di area scientifica.
    Comunque sì, l’uso di LaTeX è ridondante in un mondo in cui c’è ancora chi preferisce il formato doc. A quanto ne so, gli unici editori che richiedono bozze in .tex sono quelli che pubblicano articoli e saggi scientifici.
    Ad ogni modo, un autore che mira all’autopubblicazione farebbe bene ad investire un po’ di tempo ad imparare il funzionamento base di LaTeX: sarebbe in grado di produrre pdf di qualità grafica superiore, e anche l’occhio vuole la sua parte.

  • @Mattia: mi fai pungere vaghezza di dare almeno un’occhiatina a LaTeX – ma poi rileggo il tuo commento, e lo trovo già notevolmente ostrotecnico per le mie umanistiche possibilità… Credo di avere già detto che un amico americano mi chiama (con ragione) The TechnoIdiot. Per dire, sto ancora cercando di fare amicizia con Scrivener… mah, magari in qualche futuro.