Nov 21, 2012 - considerazioni sparse    11 Comments

Domare Gli Implumi

Allora, per prima cosa fate un salto su strategie evolutive* e leggetevi questo post. E poi passate dal Blog di Siminore, e leggete quest’altro post.

Fatto? Anche i commenti?

E allora parliamone.

Perché la mia prima reazione nel leggere il post di Davide è stata: oh sì. Tristemente sì. È capitato anche a me. I gruppetti di gente seduta di tre quarti**, i bisbigli, le facce annoiate/ostili/superiori, il silenzio tombale in cui cadono i vostri attempts at humour e le vostre domande…  

E dico gruppetti, badate. La dinamica in un’aula scolastica è diversa da quella di una platea. Tra i banchi si vedono piuttosto distintamente crocchi, alleanze, gerarchie – ed è una faccenda del tutto diversa dal singolo fanciullo annoiato. Perché i crocchi vengono dalla necessità di dimostrare che si è troppo cool per degnare di un briciolo di attenzione l’anziana signora che parla di… oh, di qualsiasi cosa, importa davvero poco.

Perché sì, signori: il fatto è che per questi ragazzini siamo vecchi. Ho quasi quarant’anni, probabilmente sono più stagionata delle loro madri e, quando avevo la loro età, la mia idea di soglia della vecchiaia si era appena spostata dai diciotto ai venticinque.

E questo è un altro ostacolo da aggiungere alle dinamiche del branco. Un po’ di tempo fa mi è capitato di trovarmi a cena con alcuni insegnanti in scuole diverse, e tutti lamentavano il momento in cui anche la classe più deliziosa, curiosa e interessata decide come un sol fanciullo di chiudersi in un guscio. Diventano cinici, fanno a gara a chi è più disinteressato e a chi fa di meno – e le ragazzine sono peggio dei ragazzini, gemeva un’insegnante di Lettere che ho visto all’opera e ho constatato essere molto in gamba. Una volta non era così

E che posso dire? È vero.

Esperienza dello scorso anno: HSH ha messo in scena il mio Somnium per sei classi tra quinte elementari e prime medie, e allo spettacolo era abbinata una serie di incontri sul passaggio dalle fonti storiche al testo teatrale e dal testo allo spettacolo. No, non scuotete la testa: è molto meno dreary di quanto possa suonare. E in effetti le quinte elementari hanno partecipato con un entusiasmo gratificante oltre ogni misura, facendo ricerche di loro iniziativa, sommergendomi di domande, provando a scrivere piccole scene a partire da aneddoti storici e fornendo un Annibale bambino per lo spettacolo… Poi si passava alle prime e lo stesso progetto incontrava silenzi, blank eyes e file di bambine che si osservavano le doppie punte.

Salvo poi il singolo fanciullo (o fanciulla) che viene a cercarti quasi di nascosto durante l’intervallo per chiederti il titolo di un libro che hai citato, o un particolare storico o teatrale, o com’è scrivere un libro… Ed è chiaro che in classe non poteva – ma proprio non poteva.

Dopodiché non è sempre così – e anzi, ho lavorato con un certo numero di incantevoli terze medie, ma c’è quel momento in cui smettono di fidarsi degli adulti, e da lì la storia può prendere varie direzioni.

Ad ogni modo, tenete conto del fatto che una conferenza e un laboratorio che dura settimane o mesi non sono assolutamente la stessa cosa. La conferenza/incontro/singola lezione è rischiosissima: o li catturi o non li catturi – e se non intendono farsi catturare, se sono particolarmente maleducati, se gli insegnanti non si sforzano almeno un po’, è una battaglia persa in partenza e pressoché*** impossibile da recuperare nel giro di un’ora.

Ma con un po’ di tempo a disposizione, le cose possono cambiare. A un certo punto dite o fate qualcosa che li incuriosisce. O si lasciano prendere dal fascino del teatro, della scrittura o – qualche volta – della storia. E allora cominciano a chiamarvi “Profe, profe…” a farvi domande a raffica, a salutarvi se v’incrociano per strada****, a fidarsi di voi, a volervi impressionare.

E non si tratta di corteggiarli, sapete? Sono una persona estremamente impaziente, non ho nessuna simpatia preconcetta per gli implumi come categoria e non faccio mistero della mia preferenza per gli esemplari svegli. Se dovessi corteggiare terze medie, starei fresca. È solo che, con un po’ di tempo per studiarli, di solito si trova il modo di ottenere la loro attenzione e, ripeto, la loro fiducia. Di convincerli che non sono terribilmente simpatica, ma vale la pena di starmi a sentire.

Ci vuole tempo, non sempre funziona con tutta la classe – anzi, diciamo pure che non sempre funziona, period. Quando funziona, un branco di implumi motivati è capace di cose sorprendenti. Può essere uno spettacolo intero o un po’ di occhi tondi e brillanti di fronte alla scoperta che la storia non è poi così morta e polverosa.

Per contro l’occasione singola… che posso dire? Mi terrorizza abbastanza, perché il disinteresse, il branco, il cinismo in erba, la maleducazione, l’immaginazione rattrappita, l’incapacità di astrarre ci sono. E non è divertente sbatterci contro. 

E voi? Pensieri? Idee? Impressioni? Esperienze? Come ve la cavate con gli implumi?

 

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* Nota per il Dr. Dee: ho imparato a non metterle, le maiuscole, but it so very much goes against the grain

** Ai  fanciulli tendo a parlare nelle scuole, quando voltare la sedia non è un’opzione, e così c’è la variante Trequarti.

*** Sì, va bene, ci sono storie di miracoli compiuti in corsa, di folgorazioni collettive, di colpi di reni e catture prodigiose. In genere succedono nei film americani.

**** E più tardi, nell’istante in cui il sipario calerà e il laboratorio sarà finito, le ragazzine faranno a gara nel darvi del tu e chiamarvi per nome, mentre i ragazzini continueranno a chiamarvi Profe fino alla fine dei giorni…

Domare Gli Implumiultima modifica: 2012-11-21T08:10:00+01:00da laclarina
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11 Commenti

  • (It is supposed to.)

    Concordo sul fatto che col tempo la diga la si riesce a sfondare – io tuttavia faccio soprattutto conferenze, di solito ai ragazzi parlo di dinosauri, e il disinteresse è comunque ostentato. Per lo meno, mostrando ossa di bestie morte, non si sentono le battutine sceme sulla faccia degli autori di cui si sta parlando (ma il povero Darwin qualche scemenza perché ha la barba se la becca di sicuro).
    Ma il punto nodale, naturalmente, sono gli adulti, non i ragazzi.
    Se l’insegnante ostenta indifferenza, sbuffa e fa le facce mentre io riassumo una trama, e se ne sta al centro del capannello delle ragazzotte che chiacchierano e disturbano, implicitamente autorizzandole e proteggendole, io posso farci ben poco.
    Da cui la mia domanda – perché invitarmi, perché accettare l’argomento della conferenza, perché partecipare…?

    Poi c’è la faccenda della ribellione giovanile – per cui se un quattordicenne si comporta in maniera inqualificabile non è semplicemente un piccolo buzzurro, ma si sta ribellando, fa bene, è da ammirare.
    Mi fa venire in mente la dinamica dei “piccoli mandarini” nella Cina del controllo demografico – quando una nazione comincia a invecchiare e le nuove generazioni si riducono in numero, si attribuiscono ai giovani qualità e meriti che sono molto spesso assolutamente immaginari.
    Penso ai “nativi digitali” – che di computer capiscono ben poco, ma sono ormai lo spauracchio degli insegnanti – penso a questi piccoli orribili e superficiali, assolutamente conformisti ma percepiti come una generazione di ribelli.

  • Io seguo ormai da quattro anni un gruppetto di semiplumi (parliamo di studenti ginnasiali e liceali) a cui insegno un po’ di tecnica narrativa. Ho un ottimo rapporto con loro, ma si tratta di un campione inadatto all’analisi, perché composto da individui che lungo tutto l’anno scolastico sacrificano due ore settimanali per andare a sentire uno che parla di focalizzazioni e punti di vista. E per scrivere, atto solitamente inviso ai più.
    Insomma, la mia classe non fa testo, perché si tratta già di una selezione di individui interessati.
    È diverso quando i ragazzi sono meno motivati. La strategia che ho sempre adottato per conferenze e supplenze varie è quella di far loro domande, costringendoli a intervenire. Certo, più ampia è la platea, più è difficile portare il pubblico al proprio livello.
    Forse il trucco, se di trucco si tratta, sta nel non presentarsi come un professore che fa lezione frontale, perché quello è automaticamente etichettato come barboso. E visto che, come hai giustamente notato, “vecchio” è chiunque abbia più di vent’anni, ai loro occhi si fa presto a vestire i panni del professore. Nei limiti del possibile, bisogna cercare di essere (o almeno sembrare) un interlocutore, di stimolare il giudizio critico, e quindi motivare un approccio attivo e costruttivo alla discussione.
    Ciò non toglie che certa gente è impermeabile a tutto, e andrebbe allontanata.

  • @Davide: ah no, chiariamo bene – non c’è nulla di ammirevole o simpatico nella (pseudo)ribellione adolescenziale. È irritante, e lo è ancora di più perché è tacitamente incoraggiato, e il fanciullo diventa smug, oltre che pseudoribelle. È il genere di atteggiamento che tende a dare fuoco all mia (non lunghissima) miccia.
    Ammetto di avere usato tattiche di sfondamento di fronte a questa maniera…
    Però devo dire che sono fortunata nell’avere, in generale, avuto a che fare con insegnanti motivati e interessati, e questo fa un’enorme differenza, non foss’altro che nella completa e ufficiale mancanza di simpatia per i James Dean Wannabe…

  • @Mattia: che poi a volte, anche le domande…
    Terza media, pessimi inizi, insegnante di lettere dalla mia parte, insegnante di sostegno no. Le domande incontrano poca o nulla reazione il primo giorno, poca il secondo, e poi le cose migliorano, seppur lentissimamente e parzialmente.
    E poi un giorno tre fanciullette sedute nell’ultimo banco si lamentano con l’insegnante di sostegno: si annoiano, non partecipano…
    E l’insegnante di sostegno mi guarda con aria di sfida.
    “No, dica qualcosa, che cosa risponde a questo?”
    “Rispondo: Partecipate, ragazze. Chi di voi mi dà qualche idea sul punto che stiamo discutendo?”
    Silenzio delle fanciulle. Silenzio dell’insegnante di sostegno.
    Eh…

  • L’ostilità dei docenti è uno scoglio difficilissimo da superare, se non proprio insormontabile, ma lì il problema è il contesto in cui si tiene il nostro intervento/lezione/quello che è. Anche a me sono capitati insegnanti infastiditi, magari perché portavo loro via trenta secondi di lezione per informare i ragazzi sul primo incontro annuale del corso. E se i ragazzi vedono che l’insegnante è disinteressato o addirittura irritato, hanno il semaforo verde per ignorare qualsiasi cosa tu dica (purtroppo non vale il contrario!).
    La generalizzazione del mio commento precedente parte dai presupposti ottimali: location adeguata, strutture funzionanti (avere una lavagna a disposizione non è sempre scontato), docenti quantomeno tolleranti.
    Poi, appunto, è una generalizzazione: l’approccio seminariale non è garanzia di successo, ma credo che a parità di condizioni stimoli l’interesse più di una lezione frontale.
    Io poi, quando sulle facce dei presenti scorgo principalmente noia o sonno, mi chiedo sempre se non sia colpa mia. Anche noi “performers” abbiamo giornate sì e giornate no, e capita che abbiamo preparato una lezione meglio o peggio. Insomma, ci possono essere mille motivi per cui una lezione non decolla, e uno dei fattori in gioco siamo noi. Io esigo tirannicamente l’attenzione quando parlo, ma anche se nessuno chiacchiera può capitare che le menti siano altrove (e si vede, eccome!). Ecco, in quelle occasioni ho cercato di cambiare il modo in cui avevo impostato la lezione, o di renderla nuova e interessante anche per me che l’avevo ripetuta allo sfinimento e la conoscevo a menadito. Di solito ho avuto subito buoni risultati.

  • Ciao Clarina! La mia esperienza riguarda bambini dai 7 ai 13 anni, che si iscrivono volontariamente ai nostri laboratori di lettura, scrittura e disegno; sottolineo “volontariamente”, perché significa che in genere sono predisposti ad ascoltare e poi a scrivere e disegnare; di solito i genitori di questi bambini intuiscono che i loro figli potrebbero interessarsi un po’ meno al calcio e un po’ più alle storie, così assecondano questa tendenza “creativa”: eccoci in presenza della “migliore delle ipotesi”. Nelle scuole la faccenda è più complessa, perché i ragazzi si sentono meno liberi di esprimere se stessi, paradossalmente, e si sentono bloccati dalla mini giungla sociale in cui devono muoversi ogni giorno: come dare loro torto? Sono convinta però che esistano delle strategie attraverso le quali superare la diffidenza o il disinteresse, per esempio coinvolgendo i ragazzi in attività quali il disegno o la recitazione, magari in modo un po’ brutale all’inizio, costringendoli a mettersi in gioco davanti al gruppo. Confrontare i propri disegni, le proprie storie a fumetti, nel caso dei laboratori a cui collaboro, mette i ragazzi sullo stesso piano, un piano imbarazzante forse, ma allo stesso tempo li tranquillizza, li libera dalla preoccupazione della “figuraccia”, perché si è “tutti sulla stessa barca”.
    Attraverso queste attività spesso si riesce ad appassionare i ragazzi alla lettura, che non viene percepita come subita o imposta, ma è vissuta come un momento di scoperta, che offrirà materiale per creare… così succede spesso di riuscire a coinvolgere buona parte della classe. Non sempre purtroppo, ma posso testimoniare che se la letteratura viene proposta ai ragazzi in modo stimolante, piace, eccome se piace.
    Ah Clarina, qui da te trovo sempre parole che stimolano le cellule di cui parlava Poirot! Posso linkarti la pagina facebook dei nostri laboratori? Quest’anno lavoriamo su “Lo Hobbit” e mi farebbe tanto piacere una tua opinione!
    Un saluto,
    Della

  • @Mattia: Yes, well – poi naturalmente c’è quello. C’è sempre la possibilità che abbiamo sbagliato argomento, che abbiamo sbagliato impostazione, che stiamo sbagliando maniera. È ovvio che partiamo sempre con le migliori intenzioni, con l’idea di offrire loro idee interessanti, con tutta la passione che siamo capaci di dedicare all’argomento.
    Ma la possibilità che abbiamo sbagliato qualcosa è sempre in agguato.
    Talvolta, però, ci pare di avere fatto tutto per bene, e allora le facce chiuse e la fiera della doppia punta esulcerano davvero…

  • @Della: è vero – ci sono argomenti che si prestano più di altri, specialmente se c’è modo di coinvolgere praticamente i fanciulli. Se devono *fare* qualcosa è più facile che si mettano in gioco e si appassionino. Scrivere, recitare, lavorare dietro le quinte, procurare i costumi, scegliere le musiche di scena… mettili all’opera, e si svegliano all’improvviso.
    E per quanto riguarda la letteratura, ho ottenuto dei buoni risultati con laboratori sulla comparazione tra libro e relativo film, per esempio.
    Quindi sì: un lato pratico aiuta – quando l’argomento si presta e i tempi lo consentono.
    E sarei molto felice del link verso i tuoi laboratori, grazie mille.

  • Commenti molto interessanti, sebbene apertamente sbilanciati verso le discipline cosiddette umanistiche. Mi inquietano le descrizioni degli insegnanti, che sembrano alimentare la vulgata del professore fannullone ed egocentrico.
    Mi trovo molto d’accordo con l’osservazione che i sedicenni di oggi sono tutt’altro che nativi digitali. In confronto a quelli nati negli anni ’70 sono mediamente dei perfetti analfabeti: hanno una consapevolezza tecnica pari a zero, parlano dei protocolli internet con un linguaggio quasi sempre approssimativo. Temo che considerino il computer come mia nonna considerava il televisore, cioè come una scatola magica. Quando cerco di affascinare i miei studenti parlando della matematica nelle comunicazioni informatiche, mi guardano come se parlassi arabo.

    Credo infine che Chiara abbia ragione, pur partendo da presupposti fin troppo insofferenti verso i “ggiovani” 🙂
    Devi tirarli in ballo, perché altrimenti lasciano vagare la mente verso lidi più affascinanti.

  • @Simone: anch’io rimango sempre basita davanti alla vaghezza tecnologica dei supposti nativi digitali. Più spesso che no, proprio non hanno idea.

    @Della: ma bellissimo! 🙂