Lost in Translation

Parliamo un po’ di traduzioni, oggi, e prendiamola da lontano.

Stevenson.

Vi ho già raccontato (forse anche più di una volta, ma abbiate pazienza) del punto di Kidnapped in cui, dopo la battaglia nel castello di poppa del Covenanter, Alan abbraccia David e gli chiede: “Am I no a bonnie fighter?”

Ecco, quel “bonnie”…

Bonnie (o anche bonny) è un aggettivo molto scozzese che significa “bello, grazioso, carino, attraente, vivace, adorabile” ma anche “amato, beneamato, prediletto”, talvolta persino “pasciuto ed allegro”, ed è usato spesso come vezzeggiativo.

891753_f260.jpgPer capirci, la figlia di Rossella O’Hara e Rhett Butler, quella che nella versione italiana di Via col Vento ha nome Diletta, si chiama in realtà Bonnie – e non è un caso che il nome salti fuori da un’osservazione di Melania (che di cognome fa Hamilton, molto scozzese), secondo la quale la bambina ha gli occhi azzurri “come la nostra diletta bandiera” (Our bonny flag). Per tornare in Scozia, il principe Charles Edward Stewart, il Re in Esilio di Alan, era chiamato popolarmente e affettuosamente Bonnie Prince Charlie: il bel principe Charlie, o il caro principe Charlie, o ancor più probabilmente una commistione delle due cose. My Bonnie lies over the ocean, canzone popolare scozzese, forse fa riferimento a lui, forse no, ma il senso è di nuovo quello: chiunque sia che se ne sta oltre l’oceano, è qualcuno di amato e caro. In Old Mortality di Walter Scott c’è una nonna che chiama la nipotina “Margaret, my bonny bird”, cioè “Margaret, uccellino caro.” Nello stesso romanzo incontriamo John Graham, visconte di Dundee, eroe della Prima Sollevazione Giacobita (qui c’entra il babbo di BPC) e bell’uomo, popolarmente conosciuto come Bonnie Dundee. Fuori di Scozia lo ritroviamo in Shakespeare (“Be you blythe and bonnie” in Molto Rumor per Nulla, nel senso di gaio) e in Charlotte Bronte (in Shirley, Caroline Helstone, parlando con sé stessa, chiama suo cugino “Bonny Robert”. Robert è bello, e Caroline è segretamente innamorata di lui: fate i vostri conti).

Penso di avere reso l’idea, e di avere indotto la formulazione della seguente domanda: che ci fa un aggettivo simile applicato all’abilità di un Flora_MacDonalds_Farewell_to_Bonnie_Prince_Charlie.jpgduellatore? Ecco, il fatto è che nell’Inglese di Stevenson, che è uno Scozzese inglesizzato, la faccenda ha perfettamente senso: rende fino in fondo l’idea della spudorata, ingenua delizia che Alan prova nei confronti delle proprie capacità di spadaccino. Capacità altamente letali, come David ha appena avuto modo di notare. C’è tutto Alan, lì: una battuta di dialogo geniale, che caratterizza il personaggio, il luogo, l’epoca e la situazione in sei piccole parole. *ecstatic sigh!*

Ma se noi traduciamo, più letteralmente, come “Non sono un amore di spadaccino?” o “Non sono una delizia di spadaccino?”, la domanda di Alan assume una connotazione leziosa ed affettata che travisa il carattere del personaggio, e non esiste affatto nell’originale. Pietro Gadda Conti, traduttore per la BUR, se la cava con “Non sono un buon spadaccino?”, evitando i rischi, ma perdendo un sacco di Alan nel passaggio…

Insomma, lo so: è la quadratura del cerchio. E il motivo principale per cui nessuna traduzione è definitiva, e ogni traduzione rispecchia tanto il traduttore quanto l’autore, e vale sempre la pena, quando è possibile, di leggere anche l’originale.

Dopodiché, come dice lo header qua sopra, sono una traduttrice occasionale, e non mi sono mai cimentata davvero con la traduzione letteraria, però ho una passione per le espressioni apparentemente intraducibili a cui strologare una versione convincente. E’ un giochino utile e dilettevole per le lunghe attese, quando si sia dimenticato di portarsi un libro, e può durare anni, perché leggendo altro si trovano sempre altre sfumature, altri contesti, altre connotazioni, altre possibili corrispondenze, altri colori…

E posso dire che, col tempo, con la paglia e con le code alla posta, mi è maturata una nespola stevensoniana di cui non sono del tutto insoddisfatta:

“E dimmi: non sono un fior di spadaccino?”

Din, don, dan. Siccome non conosco tutte le traduzioni italiane di Kidnapped, non è impossibile che altri ci siano arrivati – magari decenni prima di me. E se devo dirla tutta, nemmeno spadaccino mi convince fino in fondo: ha la giusta intonazione guasconcella, ma forse non è come Alan definirebbe sé stesso… Magari “un fior di duellatore”?

Ci penserò. In quasi vent’anni ho sistemato a mio piacimento bonny – adesso posso procedere con fighter. Ne riparliamo attorno al 2030.


Lost in Translationultima modifica: 2013-01-19T08:10:00+01:00da laclarina
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8 Commenti

  • Vedi perché mi piace Simenon? Usava sempre le stesse parole, eppure sapeva dire tutto.

  • “Non sono dunque un combattente coi fiocchi?”

  • @Simone: mai stata una gran lettrice di Simenon, confesso. Immagino che sia un’eresia grossa, ma mi immalinconisce.

    @Davide: Ci avevo pensato, ma “combattente” mi lascia perplessa. Letterale fin che vuoi, ma un po’ generico, un po’ quadrato. I fiocchi invece non mi dispiacciono.

  • @laClarina Voi scrittori siete talmente tanti che è impossibile leggervi tutti.
    Comunque Simenon era un tipo strano: si arricchiva con i Maigret e si divertiva con i romanzi “duri”. Un po’ devo darti ragione, da buon franco-belga, era il cantore delle miserie umane. Gli anglosassoni sono meno morbosi.

  • Ma io adoro certe cose!
    Mi piace tantissimo quando una parola ha così tante sfumature, specialmente perchè grazie a Dio non c’è un insegnante a stabilire che una traduzione è meglio dell’altra. (ho sofferto molto a scuola per questa storia della traduzione esatta!)
    Quando traducevo anche dal latino mi divertivo a provare i vari significati e a volte le cose si traducevano davvero diversamente e al solito me ne andavo per la tangente.
    Una volta ho tradotto una cosa in modo sensato e corretto grammaticalmente ma completamente sbagliato e il mio insegnante si è arrabbiato perchè “beh la storia la dovevi conoscere”.
    Mmmm ma allora cosa traduco a fare se non per conoscere qualcosa che non so?

  • Oh, e aggiungo al tuo elenco di opzioni, che “bonnie”, applicato a una donna, può anche essere piuttosto offensivo…

    Came ye o’er frae France?
    Came ye down by London?
    Saw ye Geordie Whelps,
    And his bonny woman?
    Were ye at the place,
    Called the Kittle Housie?
    Saw ye Geordie’s grace,
    Riding on a Goosie?

    (sì, lo so, estremamente sconveniente, citare una simile canzonaccia in casa di una signora…)

    Sul “combattente”, sì, è di legno.
    Ma altrimenti, l’unica soluzione, sarebbe riscrivere la frase, per trasmettere il significato e il tono, e non l’esatta traduzione.

  • Oh, e condivido la malinconia generata da Simenon e dai suoi scritti.
    Frigging frog.
    😀

  • Simone! Non capita tutti i giorni che tu mi dia ragione… che sia per questo che nevica? 😀 E quanto mi piace “voi scrittori”!

    @Cily: ah, la traduzione esatta. Ti dirò, ho avuto fortuna e mi sono capitati diversi insegnanti che apprezzavano gli esperimenti. La mia Prof. di Latino chiedeva solo che, se mi scostavo troppo, mettessi una nota a pie’ di pagina con la traduzione letterale. “Fammi contenta e dimostrami che, se volessi, sapresti farlo.”

    @Davide: per questa volta ti perdoniamo la canzonaccia, va’… 🙂
    Una volta, durante un gioco di traduzione, ho proposto “Dimmi un po’, non mi batto che è una bellezza?”