Feb 18, 2013 - lostintranslation    5 Comments

Traducendo

Alfonso Traina – IL Traina: se avete mai studiato Latino, sapete di chi parlo. Filologo, traduttore, virgilianista, accademico dei Lincei, accademico virgiliano…

Alla richiesta di dire due parole à l’impromptu all’apertura dell’anno accademico dell’Accademia Virgiliana, prima dice di no, perché non vuole far prosa dopo tutta questa musica e poesia… Poi però si lascia trascinare a commentare un po’ la sua traduzione delle Bucoliche di Virgilio.

E poi non è vero, perché alla fin fine il professor Traina non parla della sua traduzione, se non per dimostrare gioie e crucci del traduttore dal Latino. Il traduttore di poesia latina, in particolare. 

E comincia con un nodo apparentemente semplice nel quarto verso della I Egloga:

Nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra…

Lentus. Ah, quel lentus! dice Traina. Perché il fatto si è che le parole non vogliono quasi mai dire una cosa sola. E lentus vuol dire lento, pigro, tranquillod ha senso che il povero Melibeo, costretto a lasciare le sue terr, compari la propria forzata urgenza e la calma con cui Titiro invece se ne sta a zufolare allombra di un faggio. Ma basta? Tutto sommato, messa così, è un’osservazione piuttosto blanda: io corrovia e tu te ne stai qui tranquillo a goderti il fresco… Ma, dice Traina, c’è la possibilità di vederci qualcosa di più: lentus ha anche una connotazione negativa di indolenza, di indifferenza. Lento a reagire. Lento a capire. Ben poco toccato dai drammi altrui. Ed ecco che le parole di Melibeo diventano all’improvviso amare: io scappo, tanti come me scappano, e tu te ne stai a zufolare al fresco – come se nulla fosse. E come rendere il dato di fatto e l’ombra di sconsolato rimprovero in un aggettivo solo Il professor Traina ha scelto di tradurre lentus con placido. Che è come dire indisturbato, che è come dire quasi indifferente. Che è come dire che a Melibeo non dispiacerebbe un po’ di partecipazione in più, tante grazie. E già questo è affascinante, ma non è come se la vita del traduttore di poesia latina si esaurisse nella caccia alle iridescenze semantiche: dove vogliamo mettere le gioie di tradurre versi da una lingua che funziona con una metrica diversa? Una possibilità è quella di riprodurre il ritmo – ed è quello che ha fatto il professor Traina, secondo il quale non si dà poesia senza la combinazione di significato e significante: non è solo questione di concetto e contenuto, ma dell’espressione di concetto e contenuto attraverso una forma specifica e coerente. In poesia (e non solo) la forma è sostanza.

Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi,

Traina è stato tentato di tradurre tegmen con cupola. Tegmen, dopo tutto, significa volta, riparo, protezione, tetto… La tentazione di vederci un altro riferimento al tetto che Melibeo non ha più è davvero forte. Peccato che ritmicamente non vada bene con il ritmo del verso. Ora chiedo perdono, ma ho fatto la schiocchezza di non annotare subito il verso tradotto e non ho la traduzione sotto mano. Sarà l’età che avanza, non sono sicurissima di quello che sto per citare, ma la versione trainiana del verso suonava più o meno così:

Titiro, tu recline sotto la grande qualcosa di un faggio…

E al posto di quel qualcosa, alas, la cupola non ci sta. Provatea leggere ad alta voce: Titiro, tu recline sotto la grande

Titiro, tu recline sotto la grande corona di un faggio…

E l’albero è tornato ad essere solo un albero, anziché l’ombra di un tetto perduto e un lampo di rimpianto. Peccato, a dire il vero: e questo post nasce principalmente dal desiderio di conservare per iscritto quell’albero/tetto che è andato perduto nella traduzione. Ma questo è stato un caso in cui il ritmo l’ha avuta vinta per l’implausibilità di un’alternativa bruttina. Non sempre va a finire così. Il mestiere del traduttore consiste nel ricercare un equilibro di forma, sostanza ed efficacia. La malinconia del traduttore sta nel fatto che non sempre è possibile – e allora si fanno scelte che qualche volta sono solo pratiche e qualche volta sono dolorose.

Sentirlo dire da Alfonso Traina è stato istruttivo, confortante e bello. __________________________________________

* Sì, magari un librettista d’opera l’avrebbe fatto. È uno dei motivi per cui non leggiamo molto Virgilio tradotto da librettisti d’opera.

Traducendoultima modifica: 2013-02-18T08:10:00+01:00da laclarina
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5 Commenti

  • Ah, che nostalgia del latino! Però ho sempre detestato la poesia, come in fondo mi è indifferente in qualunque lingua.
    Ricordo che io ero della scuola di pensiero degli “attualizzatori”: tradurre in italiano contemporaneo, come se l’autore avesse scritto pochi minuti fa.
    Ed ero già Simenoniano: usavo vocaboli quotidiani, senza ricorrere ad espressioni auliche o arcaiche. Di fatto, fingevo che il latino fosse una lingua come il francese o l’inglese, dunque pronta all’uso.
    E poi mi piaceva il latino tardo, quello cristiano e medioevale.

    No, mi spiace per i mantovani, ma Virgilio mi ha sempre indisposto.

  • Ah, be’, se è per questo posso confessare che tra i quindici e i diciannove anni Virgilio l’ho detestato non poco. C’è voluto Seamus Heaney – e c’è voluto Di Uomini & Poeti – perché lo riscoprissi, e comunque non è il mio poeta preferito nemmeno adesso.

  • io ho sempre amato il latino e il greco e ho avuto la fortuna di avere due insegnanti che mi hanno insegnato a fare proprio quel tipo di traduzioni “a senso”, mai letterali. E forse proprio allora ho iniziato ad amare la parola e la scrittura. Ancora oggi i piacerebbe ritrovare quei testi, specie in greco, e ho sullo scaffale vicino il computer una grammativa e un vocabolario di greco, sempre pronti ad un eventuale mia ridiscesa nella pugna linguistica!

  • Ciao Clarina! Bellissima parola “tegmen”, peccato che gli studenti delle superiori di solito non si preoccupino minimamente di riflettere sulle parole… nemmeno io lo facevo, purtroppo, quando la mia preoccupazione principale erano le interrogazioni! A questo proposito, non credi che al liceo classico bisognerebbe introdurre i ragazzi alla filologia? Forse esemplificare i problemi inerenti la tradizione di un testo aiuterebbe a valutare meglio il peso di una singola parola nelle traduzioni…
    Un saluto, Della

  • @Temistocle: uh, sì. La mia passione in fatto di traduzione erano gli storici. Livio, Tacito, Polibio, Tucidide, Senofonte… Il fido Rocci siede ancora in posizione d’onore nella sezione dizionari, e ogni tanto mi dico quanto mi piacerebbe riprendere in mano un po’ di Greco (che il Latino, tutto sommato, si legge ancora a prima vista…). Poi naturalmente non c’è mai tempo, ma chissà, magari un giorno.

    @Della: detta così, la filologia sembra un’ottima idea, ma non credo che sarebbe facile inserirla nei programmi. Forse basterebbe che gli insegnanti stimolassero gli studenti a pensare quando traducono, anziché accontentarsi della dannata prima accezione che trovano. Ricordo ancora con sgomento misto a ilarità il fanciullo che tradusse “qui faucibus sine organo canunt” come “quelli che cantano con le fauci senza organo.” Ouch.