Apr 19, 2013 - anglomaniac, grillopensante    2 Comments

The T2C Project – Tempo Di Bilanci

E così mercoledì pomeriggio, dopo sei mesi di episodi settimanali, abbiamo archiviato Le Due Città alla UTE di Mantova.

E com’è andata? vi chiederete voi.

Mah, non straordinariamente bene, temo – ma parliamone.

Se vi ricordate, qualche dubbio sull’opportunità di scegliere proprio questo romanzo lo nutrivo. A quanto pare, non avevo tutti i torti.

Per cominciare, se contavo che, a titolo di motivazione per uscire di casa nel tardo pomeriggio, la curiosità nei confronti di un romanzo meno conosciuto potesse valere come il piacere di sentir rileggere qualcosa di già letto e arcinoto, mi sbagliavo di grosso.

All’inizio, a ottobre, le letture settimanali di T2C contavano un buon numero di partecipanti, che poi hanno cominciato a disperdersi e calare fino a ridursi a quattro o cinque prima di Natale. Un po’ mogi, avevamo deciso di “sospendere” tutto – il che era un modo carino per dire “abbandonare”. Era un pomeriggio piovoso (uno dei tanti, but more of that later), e noi cinque ci eravamo chiusi in biblioteca a celebrare un funeralino per il ciclo di letture. E quando siamo usciti in direzione aula magna per annunciare la sospensione, il primo della fila si è fermato di colpo. Io sono andata a sbattere contro di lui e, siccome Stelio è alto, non vedevo che cosa lo avesse bloccato sul posto.

“C’è gente,” mi ha detto.

E io ho ripetuto “c’è gente” alla persona che nel frattempo era venuta a sbattere contro di me, e via così, e quando siamo emersi tutti nell’aula magna abbiamo visto che “gente” significava una ventina di persone. Il che, in uno di quei semi-finali che solo nelle commedie americane, ha salvato le letture – ma il nostro pubblico non si è più allargato, e da gennaio in qua abbiamo letto per dodici, quindici o venti persone al massimo, a seconda delle giornate.

Vero è che abbiamo dovuto combattere con gli interessantissimi concerti dei Mercoledì del Conservatorio, e con il Club del Cinema, e con qualche conferenza, e poi con il tempo. Ah, il tempo. Voi non avete idea: ogni benedetto mercoledì pomeriggio, fino a un paio di settimane fa, il clima è peggiorato con micidiale puntualità giusto in tempo per scoraggiare qualsiasi zelo dickensiano. Non so se fosse lo spirito di Dickens, in un malguidato tentativo di fornire atmosfera, ma fatto sta ed è che abbiamo avuto nebbia fitta, pioggia, neve, nevischio, vento e gelo in ogni possibile combinazione. Dal punto di vista meteo, non ci siamo fatti mancare proprio nulla e, contando anche aprile, abbiamo avuto quattro mercoledì non troppo orribili su ventitre.

Ma a parte le circostanze esterne, c’è stato modo di interrogare un certo numero di transfughi, e le risposte alla domanda “Perché non vieni/e più?” sono state varie e istruttive:

– Perché il romanzo non mi piace.

– Perché mi piacerebbe anche, ma faccio fatica a seguire.

– Perché con tutti quei nomi stranieri non mi raccapezzo.

– Perché ho perso uno o più episodi e ritornando non riuscivo a riprendere il filo.

– Perché è una storia che non conosco.

Prima di scandalizzarvi, considerate che stiamo parlando dell’Università della Terza età, e quindi l’età media del pubblico non era precisamente adolescenziale.

E poi, come curatrice, ho fatto almeno due errori fondamentali. Tre. Be’, due più uno.

In primo luogo, la traduzione 1911 di Silvio Spaventa Filippi non è quel che ci vuole per riconciliare un pubblico moderno con Dickens, che già di suo era soprannominato Mr. Popular Sentiment ai suoi tempi – figuratevi oggidì, e in una traduzione che calca sciaguratamente la mano su ogni tratto sentimentale di una scrittura già alquanto gonfia, raggiungendo qua e là vertici ai limiti del purpureo.* A mia discolpa posso soltanto dire che, all’apertura del progetto, non c’era granché d’altro a disposizione. Un’altra traduzione più moderna è uscita alla fine dell’anno, quando era già tardi per chiudere la stalla: i buoi non solo erano scappati, ma avevano avuto il tempo di installarsi in Conservatorio per non muoversene più.

In secondo luogo, se dovessi rifarlo, non impiegherei due mesi ad accorgermi che il concetto di “lettura integrale” non è poi scolpito nel marmo, e che qua e là si può – e anzi, si deve – sfrondare. Se dovessi rifarlo, capitozzerei energicamente il Libro Primo, per concentrarmi sul secondo e sul terzo, che sono molto più interessanti e densi.

E adesso mi chiedo se il terzo errore, probabilmente quello fatale, non sia stato proprio la scelta de Le Due Città. Perché io posso nutrire tutta la predilezione del creato per questo romanzo, ma devo ammettere che è così inglese in concezione, così poco conosciuto, così intricato (seppur relativamente lineare per essere Dickens)… È inutile: alle letture della UTE si va per ritrovare le vecchie letture scolastiche, non per scoprire qualcosa di nuovo. Se il dubbio c’era – e c’era – adesso ne abbiamo avuto conferma. A ottobre sapevo bene di avere cambiato le regole del gioco, e mi domandavo: funzionerà?

La risposta, alas, sembra essere: non troppo.

dopodiché, devo dire che non dimeno l’avventura ha avuto la sua parte di soddisfazioni. I fedelissimi si sono appassionati davvero – così come i bravissimi lettori dell’Accademia Campogalliani, ed è stato bello vedere qualche scettico convertito a Dickens, qualche membro del pubblico occupato a fare proselitismo in famiglia, qualche signora con gli occhi lustri sul finale… E, bear with me, per due volte ho dovuto (con un certo batticuore) sostituire Francesca Campogalliani e cimentarmi nella lettura. Spero di non avere sfigurato troppo spaventosamente, ma di certo mi sono divertita un sacco a leggere Madame Defarge, Miss Pross e la Cucitrice – per non parlare del finale ad effetto.

Dopodiché mi piacerebbe poter dire che è stato istruttivo, che la prossima volta farò di meglio, che adesso ho le idee molto più chiare… ma non so troppo bene se mai si ripresenterà l’occasione di leggere ad alta voce Le Due Città – con una traduzione migliore e dei tagli più smaliziati – ma, Dickens a parte, temo molto che la mia carriera di curatrice di letture alla UTE sia franata a valle.

 

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* E non è che non lo sapessi anche prima di iniziare, ma pensavo che, se erano sopravvissuti alla lettura del Cuore, dovevano essere vaccinati contro qualsiasi livello di saccarina…

The T2C Project – Tempo Di Bilanciultima modifica: 2013-04-19T08:05:00+02:00da laclarina
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2 Commenti

  • Le mie peraltro limitate avventure con diverse UTE sparse per il territorio mi hanno portato alla conclusione che soddisfare la platea è pressocché impossibile.
    La sensazione – ma sono io, che in questi giorni son poco caritatevole – è che il pubblico sia più interessato a confermare ciò che già conosce, e non a conoscere qualcosa di nuovo.
    L’unico modo per catturarli è essere disposti a gettare a mare il programma ed improvvisare, surfando sulla curiosità selvatica – che prima bisogna suscitare (si riesce) e poi alimentare (e lì è dura).
    In generale, un lavoro improbo, che compensa la fatica con poche soddisfazioni, morali e materiali.

  • Mah, non saprei. Fino a due anni fa le letture del mercoledì sono state popolarissime. Materia conosciuta, è vero, ma poi l’anno scorso, con i pur stranoti Pinocchio&Cuore (cui, confesso, mi sono rifiutata di partecipare…), i partecipanti sono calati. E quest’anno… well.
    Ma d’altra parte, qualche anno fa, corsi un nonnulla eterodossi come storia dell’astronomia, storia e sociologia della comunicazione e il mio Inghilterre attiravano davvero tanta gente. Per cui non so dire. Non avevo quest’impressione di semideserto intellettuale – e comunque ripeto che mi riconosco una buona parte di responsabilità: ho commesso una serie di errori tattici non da poco, il Fato Crudele ha interferito alla grande, e probabilmente T2C itself è stato un errore strategico non da poco…