Sul Crinale Tra Due Lingue

LocVirgdArco12Quando ho letto questo post su Karavansara, mi sono ricordata della prima, infelicissima stesura di Di Uomini E Poeti.

Sapevo che genere di storia stavo scrivendo, sapevo dove volevo andare a parare, e avevo le idee chiare sul tipo di tono che mi serviva. Solo che non funzionava, non funzionava e non funzionava a nessun patto. La storia più o meno c’era, ma i dialoghi… oh, i dialoghi. Gonfi, rigidi, un tantino arcaici- e così maledettamente seri…

Li provavo ad alta voce, e mi veniva da piangere. Li immaginavo con le voci degli attori, ed era una cosa da sbattere la testa contro il muro.

Infelicità completa.

Anche perché non è come se, in teatro, i dialoghi fossero qualcosa su cui si può sorvolare. Eppure, lo ripeto: avevo perfettamente chiaro il tono che ci voleva – a mezza via tra Robert Bolt e George Bernard Shaw, quella specie di naturalezza amarognola, con le voci ben distinte e, qua e là un lampo di ironia…

E dunque immaginate la Clarina che fissa corrucciata lo schermo, si morde il labbro inferiore e comincia a pensare di avere commesso un errore maiuscolo nell’accettare questa commissione – finché…

Folgorazione!

“E se lo scrivessi in Inglese?”

E adesso figuratevi la Clarina che scrive indefessa e sollevata. Nel giro di un giorno e una notte, la prima stesura era finita – e funzionava molto, molto, molto meglio, e i dialoghi scorrevano, e le voci, e il tono, e tutto era come doveva essere.

Peccato che per metà fosse nella lingua sbagliata, e peccato ancor più maiuscolo che a funzionare fosse soltanto la metà scritta nella lingua sbagliata. Cominciava proprio a sembrare che la mia folgorazione non fosse stata poi delle più brillanti… Ma alla fin fine non c’era molto da fare, se non ricominciare daccapo e riscrivere anche la prima parte – in Inglese. Non tradurre, badate, ma riscrivere – col risultato di ritrovarsi con una stesura e mezza, tutta nella lingua sbagliata. E poi la traduzione, perché non incomprensibilmente committente e compagnia si aspettavano un atto unico in Italiano. E poi le stesure successive. E poi le prove, e poi il debutto, e poi la pubblicazione, e poi il resto più o meno lo sapete.

E però…

Nonostante tutto, il finale di questa storia non è, temo, terribilmente incoraggiante. Almeno da un punto di vista linguistico. Perché resta il fatto che la versione inglese continua a piacermi più di quella tradotta, e il tono che andava così bene in originale, nella traduzione ha perso smalto. I dialoghi son tornati a irrigidirsi un po’, l’ironia è evaporata un nonnulla… è come se non riuscissi a scrivere di Virgilio e di Eneide in Italiano senza ritrovarmi addosso una patina di arcaismo e seriosità.

Scrivere il play in Inglese è stato di qualche soddisfazione. Scriverlo in Inglese e poi tradurlo in Italiano è stato un esercizio un nonnulla frustrante e, in definitiva, di incompleta utilità. Certo, le cose sono migliorate attraverso i passaggi – ma non quanto avrei voluto, e comunque ho mandato in scena una traduzione.

Che devo dire? Da un lato, non è da oggi che voglio rimettere mano a Di Uomini E Poeti – e presto o tardi lo farò. Dall’altro, comincio a pensare che abitare writing-wise sul crinale tra due lingue non sia la più confortevole né la meno frustrante delle soluzioni.

 

 

 

 

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Sul Crinale Tra Due Lingueultima modifica: 2014-04-25T08:01:28+02:00da laclarina
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4 Commenti

  • Non so se sia poi così male, vivere su quel crinale.
    Diciamo che forse bisogna rendersi conto che ci son cose che si possono fare su un versante, e cose che si posson fare solo sull’altro.
    Accettare che è il nostro cervello che cambia marcia, a seconda della lingua.
    La storia alla quale accennavo nel mio post (grazie del link!) ora uscirà sia in italiano, su una antologia, che in inglese, a puntate – riscritta, non tradotta.
    Sono due storie diverse – quella in inglese è perfettamente in linea col resto della serie, ci si incastra a pennello.
    Quella in italiano è diversa – più lenta e ponderosa, con dei personaggi vagamente differenti, che parlano (e chissà, forse pensano) in maniera diversa.
    Ma poiché in italiano la serie non esiste, va bene così.

  • “Va bene così”? Sicuro? Dubito che la lentezza e ponderosità della storia in Italiano ti piacciano alla follia…
    Proprio il fatto di non poter fare qualcosa in Italiano – di non riuscirci – di non riuscirci più: questo mi appare scomodo e non del tutto gradevole.
    Why, l’Italiano sta diventando “l’altra lingua.”
    Non va bene così. Non va bene affatto.

  • “Va bene così” proprio perché è una riscrittura, non una traduzione.
    Non è la stesa storia mal tradotta – è una storia straordinariamente simile, che ha una sua economia ed è a suo modo compiuta.
    La natura dei personaggi è salva – ed era ciò che mi interessava maggiormente, che non venissero trasformati in qualcosa di diverso.
    Certo l’esperienza mi ha portato a capire come – fatti salvi i personaggi, in italiano dovrò sempre raccontare storie diverse da quelle che racconto in inglese.
    In inglese posso raccontare – credo – qualunque storia.
    In italiano ci sono storie che non funzionerebbero.
    È interessante.
    Sul “non riuscirci più” – io forse non ci riuscivo comunque.
    È _anche_ per questo che scrivo in inglese.
    (il fatto di leggere prevalentemente in inglese, crodo, influisce pesantemente – si comincia a ragionare per moduli e strutture della lingua che si freqiuenta maggiormente)

  • What can I say? Tanto di cappello e un filo d’invidia per il modo in cui ti ci trovi a tuo agio…
    Per me è un problema.
    Quanto meno, ancora un problema – perché non c’è nulla da fare: la versione italiana di 2P mi piace meno di quella inglese. Non è quel che volevo, e non sono certa che, per quanto ci rimetta mano, lo sarà mai.
    L’ambidestrismo è, in linea generale, una bella cosa – ma ci sono giorni in cui nessuna mano è quella giusta…