Dic 3, 2014 - cinema, Storia&storie    3 Comments

Specchi Son Di Fedeltà…

Film e accuratezza storica? E basta, non se ne può più! Un film non è un documentario. Un film racconta storie, non la Storia. Un film ha esigenze narrative, si prende licenze – ed è giusto che sia così…

TWDE sì, scommetto che questa conversazione l’avete avuta, qualche volta… E non voglio sapere da che parte della barricata eravate. Magari siete stati, occasionalmente, da un lato e dall’altro. Io sono stata da un lato e dall’altro – perché sì, perché le esigenze narrative, le storie, le licenze e compagnia cantante.

E per quanto anacronismi*, svarioni e deviazioni prive di necessità narrativa mi diano l’orticaria, non mi rimetterei a discuterne ogni tanto, se non fosse che, regolarmente, l’uno o l’altro attore o regista sente l’impellenza di pontificare sull’accuratezza storica del suo lavoro.

L’ultimo in ordine di tempo è Russel Crowe, nella duplice veste di protagonista e regista di The Water Diviner. Ora, Gladiatore a parte, a me Russel Crowe piace davvero, e Master & Commander e A Beautiful Mind sono tra i miei film preferiti – però avrei preferito davvero che non si atteggiasse a storico revisionista, pontificando su come fosse ora di smontare la “mitologia celebrativa” che circonda la battaglia di Gallipoli, e per fortuna che finalmente è arrivato lui a farlo…

Io TWD non l’ho visto, ma a giudicare dal vespaio di reazioni dal sardonico all’indignato (associazioni di veterani australiani e neozelandesi, stampa britannica, storici di ogni dove, e persino la Historical Novel Society…), forse Crowe avrebbe potuto esercitare qualche cautela in più. Apparentemente il film, nella sua ansia revisionista e pacifista, dipinge Gallipoli come un attacco ingiustificato ai danni dell’innocente e pacifico Impero Ottomano.

Er… no. Non proprio.

Ma d’altra parte, non c’è molto di nuovo sotto il sole. Vogliamo parlare, che so, dell’Edoardo I che, in Braveheart, defenestra Piers Gaveston di persona e nel più letterale dei modi? D’altra parte, nel campo avverso, gli Scozzesi indossano il kilt alla fine del XIII Secolo, per cui…  Tutto Braveheart è un ininterrotto carosello di errori e anacronismi – così come The Patriot, e tutta la filmografia storica di Gibson, che pure ogni tanto trova il coraggio di vantare questo o quello scampolo di accuratezza… TWDTIG

Ma mai come Benedict Cumberbatch. E questo mi secca di più perché, a differenza di Gibson, anche Cumberbatch mi piace molto. E di nuovo, vorrei che non avesse speso tanta energia nel decantare l’aderenza ai fatti di The Imitation Game, il film in cui interpreta il matematico Alan Turing. Perché poi in realtà TIG è tutto fuorché accurato… A un certo punto, per dirne una, Turing rinuncia a denunciare il traditore che minaccia di denunciarlo come omosessuale… Un traditore che, badate bene, in realtà Turing non incontrò mai. E quali che fossero le esigenze narrative qui, non sarebbe stato meglio evitare di presentare il film come un accurato tentativo di riabilitare la memoria del povero Turing?

Oppure Le Crociate, in cui Ridley Scott e compagnia stravolsero tutto lo stravolgibile per amore del Messaggio – e il messaggio era, indovinate un po’, pacifista e revisionista. Revisionista nella consueta maniera holliwoodiana che consiste nel rimodellare il passato sulle aspettative e sensibilità del XXI Secolo… Salvo invocare poi contemporaneamente la licenza narrativa e l’aderenza alle fonti.**

E vogliamo dire che tal dei tempi è il costume? Che Hollywood è popolata di Bambinaie Francesi ossessionate dal politically correct? Che, e torniamo là da dove eravamo partiti, la sceneggiatura di un film ha esigenze e licenze…? Tutto vero, ma allora perché diamine non ammetterlo? Perché affannarsi invece a issare la bandiera della fedeltà storica?*** Perché sbilanciarsi in dichiarazioni intellettualmente disoneste e didatticamente dannose?

È vero, sono affermazioni che lo storico medio può smontare prima di subito e coprire di ridicolo – ma siamo sinceri: chi ha più peso agli occhi dello spettatore comune? Russel Crowe, Mel Gibson, Benedict Cumberbatch, Ridley Scott o uno storico – non importa quanto blasonato? Chi si curerà davvero delle critiche e delle smentite? Quale saggio**** avrà mai la diffusione, l’impatto e l’appeal che ha un film?

Ed ecco che l’Impero Ottomano vittima innocente, Gaveston defenestrato, Turing favoreggiatore e il pacifico Saladino entrano nella percezione collettiva. Ecco che si vaccina lo spettatore medio contro qualsiasi senso di prospettiva storica. Ecco che si creano delle mitologie – ironicamente proprio quello contro cui si scaglia Crowe…

E tutto perché questi signori, anziché spiegare che loro raccontano storie, si affannano con tanto zelo a voler (ri)scrivere la Storia.

 

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* In cima a tutti gli anacronismi psicologici. Non fatemi nemmeno cominciare in fatto di anacronismi psicologici, perché sennò non ne usciamo più. Uh. L’ho detto. Adesso mi sento meglio.

** Lo sceneggiatore William Monahan. Nel corso della stessa intervista. Nel giro di un paio di minuti. Evviva.

*** A me verrebbe anche da chiedermi: perché non raccontare piuttosto una storia fittizia, popolata di gente fittizia e costruita attorno al dannatissimo Messaggio? Ma me lo chiedo qui sotto, in nota e a bassa voce, sennò mi si dice che sono irragionevole nel mio rigore…

**** O, se è per questo e con rare eccezioni, quale romanzo storico? Il che, a mio timido avviso, rende il film inaccurato sesquipedalmente più dannoso del romanzo storico inaccurato.

Specchi Son Di Fedeltà…ultima modifica: 2014-12-03T08:04:10+01:00da laclarina
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3 Commenti

  • La mia personale rule of thumb sarebbe abbastanza semplice: l’accuratezza storica si può buttare a mare se intralcia l’effetto di intrattenimento, non la si può buttare a mare per motivi ideologici.
    Il che significa che è sempre male quando “il messaggio” prevale sull’accuratezza storica.
    D’altra parte, se io decidessi di scrivere una storia diversa, “liberamente tratta” da fatti storici, con personaggi, luoghi e situazioni diverse costruite a partire da un modello storico ma per servire il messaggio, è vero, sarebbe perfettamente lecito – ma qualche insopportabile pedante verrebbe a chiedermi “ma per scrivere un romanzo che alla fine è poi solo la Guerra delle Due Rose coi nomi cambiati, e coi draghi e gli zombie, perché non scrivere un romanzo sulla Guerra delle Due Rose e basta?”
    Non si possono accontentare tutti.
    E non mettiamoci neanche a discutere di quelle creature infelici che casserebbero con commenti taglienti e battutelle infuocate un film come Zulu perché il modello di fucile impiegato dagli inglesi non è quello corretto.
    Certa gente andrebbe interdetta dall’accedere alla narrativa – tanto, non sono in grado di capirne le dinamiche.

  • E tuttavia questa volta io ce l’ho specificamente con quelli che, per qualsiasi motivo buttino a mare l’accuratezza storica, poi se ne vanno attorno sbandierando le loro esaustive ricerche, gli esperti che si sono tirati dietro, e in generale proprio l’accuratezza che hanno gettato a mare…
    E questo, abbi pazienza, questo lo considero più che un po’ criminale.

  • Ho tutta la pazienza che vuoi.
    E quello è marketing.
    È come il classico “basato su una storia vera” – è una fanfaluca che si racconta per abbindolare i gonzi.
    “Wow, è tutto vero, è accuratamente documentato… è molto meglio!”

    Non succede solo con la storia – un noto regista pochi anni or sono sbandierò in lungo e in largo la documentazione scientifica e il parterre di consulenti accademici del suo progetto, e poi buttò tutta la consulenza a mare e fece un film di fantascienza che non conteneva più scienza del retro di un pacchetto di corn flakes… forse meno.
    E vogliamo parlare di Contact? No, meglio di no…
    Sulla storia, c’è ahimé poco da fare – bisogna attirare il pubblico con il brivido della “storia vera”, e poi fargli vedere la storia come piace… o si presume piaccia all’utente medio: gente come noi, in strani costumi, ad affrontare e sconfiggere quegli orrori inspiegabili (la monarchia, la schiavitù, la guerra di conquista, l’oppressione di chi capita) che gli idioti, all’epoca, accettavano come fatto normale e non si capisce perché.
    È tutto frutto del considerare il pubblico come composto da idioti.
    Non che il pubblico faccia molto, ahimé, per smentire questa teoria.