Il Bardo & Gian Burrasca

GianB 1In una quinta elementare qui attorno avevano iniziato a leggere Il Giornalino di Gian Burrasca – con scarsa soddisfazione degli implumi, scoraggiati dal linguaggio antiquato.

Salta fuori allora che esiste una… versione? Traduzione? Retelling? Mah… diciamo che esiste Gian Burrasca in linguaggio d’oggidì. La maestra ci riprova e… buona la seconda. Gli implumi leggono Vamba tradotto, e ci trovano un gran gusto. Sipario.

Intanto, Oltretinozza, il prestigioso Oregon Shakespeare Festival commissiona a 36 autori teatrali altrettante traduzioni – their own words – di opere shakespeariane in Inglese più o meno contemporaneo… qui un finale ancora non c’è, perché il progetto PlayOn! è ancora in corso. L’idea dell’OSF è quella di mettere in scena le “traduzioni” accanto agli – e non al posto degli – originali e, come era scontato che accadesse, accademici, teatranti vari e spettatori potenziali si dividono in fazioni con una certa ferocia.

È presto per dire, e bisognerà vedere le reazioni del pubblico americano a PlayOn! – ma Gian Burrasca e il Bardo tradotti sono una faccenda interessante e allarmante al tempo stesso.

Non mi metterò a strillare allo scandalo e al sacrilegio* e la prenderò invece da un altro lato. Che la prospettiva storica sia una questione vastamente negletta non è una novità di oggi. Ogni singola “modernità” ha mostrato più interesse nel rileggere il passato alla luce di sé stessa che nel capirlo nel suo contesto. Why, Shakespeare stesso dava ai suoi antichi Romani linguaggio, mentalità e comportamenti elisabettiani. È l’umana natura – un misto di bisogno di identificazione, appropriazione culturale e spudorata pigrizia. PlayOn

Shakespeare in particolare sembra avere stimolato ogni genere di rimaneggiamenti attraverso i secoli. C’è sempre qualcuno convinto di potere o dovere dare una sistematina alle sue opere, per amore della spettacolarità, della simmetria, dell’ordine, della logica, del buon gusto, del pudore, del costume dei tempi… È, a suo modo, un segno della vitalità dello zio Will. Tutti hanno l’aria di dire “È nostro!” in modi che sono raccapriccianti dal punto di vista filologico, ma molto rivelatori e, alla fin fine, molto affascinanti.

E mi viene da pensare che l’appropriazione shakespeariana (e vambiana) del XXI secolo abbia nome “fretta”. In fondo è una cifra dei nostri tempi: tutto va afferrato e goduto subito, giusto? Subito e con il minore sforzo possibile. Che si debba sudare un pochino per godere di qualcosa fa storcere la bocca. Se bisogna aspettare, fare qualche sforzo, guadagnarsi qualcosa un po’ per volta – odds are che si perda interesse e si vada a cercare altrove. Qualcosa di più facile.

easy-buttonEcco, più facile. È questo il nocciolo allarmante di PlayOn! e del Vamba per i Fanciulli d’Oggidì: la possibilità che la facile accessibilità di queste versioni finisca per scalzare gli originali. Quanti, dopo avere visto un Riccardo III “tradotto”, dopo aver letto il Vamba ventunesimizzato, andranno a cercarsi gli originali? Potreste dirmi – lo dico anch’io – che nel caso di Gian Burrasca non è poi così grave. Vero, di per sé. Nessuno sarà spaventosamente impoverito per non avere letto la prosa originale di Vamba – ma il punto è un altro. L’implume che, dopo avere storto il naso sul linguaggio difficile, legge con soddisfazione la traduzione facile, ci avrà guadagnato qualche risata, ma avrà perso l’occasione di imparare ad accostarsi  a un linguaggio diverso dal suo. Se va bene ne avrà altre – ma il precedente gli avrà insegnato che non è necessario. Che c’è un modo più facile – e quindi perché faticare a capire che cosa dicevano nel 1912, come lo dicevano e magari perché lo dicevano in quel modo?

In qualche modo, tradurre Vamba mi sembra persino più grave che tradurre Shakespeare. Sono tentata di vederci il sintomo di qualcosa di peggio. Perché tradurre Vamba in realtà non ha altre giustificazioni. Potete difendere PlayOn! dicendo che è un tentativo di riprodurre l’immediatezza fra scena e pubblico che era l’esperienza quotidiana dei theatre-goers elisabettiani. Potete dire che l’OSF fa quello che hanno fatto Tate, Davenant, Pope, Garrick, i Lamb e i Bowdler – e sperare che passi come sono passati gli altri. Potete meditare su traduzioni in Inglese e traduzioni in altre lingue**… Potete fare un sacco di cose con le traduzioni di Shakespeare – ma Vamba? A che serve tradurre Vamba, se non ad offrire ai fanciulli una via “più facile”, sanzionata dalla scuola?

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* E qui parlo di Shakespeare, ovviamente. Non so voi, ma con la profanazione dell’opera di Vamba sento di poter convivere.

** Una delle meraviglie delle traduzioni shakespeariane di Quasimodo non è forse proprio quella certa atemporalità del linguaggio? Dovremmo considerare solo le traduzioni in Italiano cinquecentesco? Sarebbero praticabili dal punto di vista teatrale? Domande, domande, domande…

 

Il Bardo & Gian Burrascaultima modifica: 2015-11-04T11:43:31+01:00da laclarina
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2 Commenti

  • Mi hai convinto. Vamba a 7 anni era stato un viaggio nel tempo.
    Certe tendenze sono ineluttabili, però forse a scuola si va -come in palestra- non certo per sollevare il peso più leggero.

  • Immagine perfetta! Ci si va per sviluppare ed esercitare certi muscoli, per scoprirne altri che nemmeno si sapeva di avere… Se si fa sempre e solo ciò che si è già in grado di fare, a che serve? Come si cresce?