Ott 21, 2016 - teatro    Commenti disabilitati su Campogalliani70 – Adolfo Vaini (II parte)

Campogalliani70 – Adolfo Vaini (II parte)

Rieccoci qui con Campogalliani70. E riprendiamo la nostra chiacchierata con Adolfo Vaini che, quando ci siamo interrotti, ci stava dicendo di ritenersi soddisfatto della sua carriera…

Carriera  impegnativa, perché voi sarete anche una compagnia amatoriale, ma lavorate a livelli da professionisti – come risultati e come impegno. Come si organizza la vita quotidiana attorno a questo livello di impegno?

Untitled 16Ho la fortuna di essere libero professionista. Io non lavoro otto ore in miniera, e quindi anche se lavoro mezza giornata, il resto è dedicato al teatro, allo studio delle parti e poi alle prove qui, la sera. Le due cose non s’intralciano. Quando studiavo, al Liceo, e andavamo in trasferta e tornavamo alle due di notte, poi la mattina a scuola dormivo sui banchi, letteralmente – e non potevo dire a mio padre: sto a casa perché sono andato a recitare. Mi uccideva. Ma non ho mai pensato di smettere perché facevo fatica a scuola. Ho sospeso per un anno, quando ho finito la quarta ginnasio con un quattro e due cinque in pagella,  e mio padre mi ha detto: quest’anno tu non reciti. Ho saltato quell’anno – soffrendo moltissimo – però poi ho ripreso ad andare bene a scuola, e sono tornato a recitare.  E a dire il vero io avrei voluto fare il professionista, però i miei non volevano. Ho di dire che potevo fare Scienze politiche – mezza giornata di scuola e metà di università – ma ero osteggiato in modo radicale…. e d’altra parte ai miei tempi il pezzo di carta era importantissimo. Allora ho scelto Medicina e ho abbandonato l’idea. E dire che gli anni Settanta sarebbero stati il periodo d’oro, se avevi qualità, sia in teatro che nel doppiaggio. Adesso sarei non dico un nome, ma uno di quelli consolidati, perché era un momento favorevolissimo. Adesso c’è la pletora: tutti vogliono fare i professionisti, basta che siano appena bravini, ed è un disastro. Troppi non hanno le qualità. Qui da noi, tra le centinaia di allievi che abbiamo avuto, conto due persone a cui avrei consigliato di provarci. Il fatto è che essere bravi non basta, e pochi hanno le qualità e il carattere. Ci vuole un sacco di pelo sullo stomaco e un sacco di determinazione, perché se si perde un ingaggio non si mangia per due mesi. Quando mi chiedono consiglio, mi viene sempre da dire di non provare la via del professionismo. Poi non lo faccio, perché al loro posto io ci proverei – ma vanno incontro a grandi delusioni. C’è posto per pochi. A parte tutto il resto, mancano i fondi e si fanno produzioni piccole e con poche persone. E poi c’è da dire che adesso dalle scuole escono tutti un po’ uguali. Sento gli attori, e sembrano tutti fatti con lo stampino…

Ah, bravissimo: gli allievi. Parliamo della scuola di teatro, di cui tu sei presidente. Com’è strutturata? Che cosa ha di speciale?Untitled 15

Sì, sono il presidente – quello che taglia i nastri e mangia le torte… Non ho diretta esperienza di altre scuole, a parte uno stage di una settimana che Diego [Fusari] e io abbiamo fatto in Toscana. Noi ricalchiamo il curriculum delle scuole italiane classiche – come il Piccolo di Milano o lo Stabile di Genova. Facciamo teatro impostato sulla parola: recitazione, mimica, dizione, respirazione… le cose classiche – a differenza di altre scuole che si concentrano di più sulla gestualità e sull’improvvisazione. Ecco, il famoso corso in Toscana era un lavoro di ricerca e improvvisazione su un Riccardo III completamente stravolto. È servito ad arricchirci, è stato un’esperienza nuova – ma noi facciamo altro. Come all’Accademia, solo che invece di otto ore al giorno, noi ne facciamo due alla settimana. Mentre è sempre stato sottinteso che i migliori sarebbero stati inseriti nella compagnia, adesso è un principio base della scuola: chi ha le qualità entra. E non è solo questione di recitazione: abbiamo introdotto qualcosa che si fa di rado: l’insegnamento degli aspetti tecnici. Fonica, luci, costumi… Ed è una cosa utile per dilettanti e professionisti. Conosco un professionista che non solo recita, ma ha imparato a fare l’addetto alle luci e alla fonica – e di conseguenza lavora sempre, anche di questi tempi in cui c’è lavoro per pochi. E poi non tutti possono essere prim’attori. Chi è scarsino può dedicarsi anche ad altre cose, e alcuni si sono appassionati al lavoro dietro le quinte e continuano a frequentare facendo i tecnici. Un suggeritore, qualche fonico… e di questo siamo molto contenti. Poi è chiaro che, per entrare nella compagnia, serve la capacità d’impegnarsi quanto noi. Quelli che vengono ogni tanto, che non hanno tempo, che devono andare al mare… tanti saluti! E ti dico una cosa: la maggior parte di quelli che rinunciano a una parte lo fanno perché non sono disposti a impegnarsi, oppure per una certa presunzione. Non voglio dire che è una cosa di oggigiorno – perché poi sembro vecchio – ma vogliono subito delle parti importanti. E invece la gavetta si deve fare. Si comincia dalla particina e poi, se si merita, si va su. Per carità, il teatro è anche così. Chi dice che recita per  fare cultura… bah. Sì, c’è anche quello, ma si va sul palco per narcisismo e vanità. Io, per lo meno, sono fatto così. Però serve anche l’umiltà di imparare – però l’umiltà non è sempre facile.

Secondo te le cose sono diverse nel mondo anglosassone?

Untitled 17Ah, sai – là fanno sul serio. Là è una religione, il teatro. Ci mettono dentro il meglio di tutto: soldi, impegno… – e vanno avanti quelli davvero bravi. Forse è un segno di una civiltà diversa, e il risultato è che anche nelle parti piccole sono tutti bravissimi. È raro vedere un cane che recita, là. Per me il teatro londinese è il massimo. Il mio sogno sarebbe dire “Il pranzo è servito” su un palcoscenico a Londra. Mi accontenterei di una battuta così, qualcosa che possa imparare in un Inglese decente.  Sarebbe la gioia più grande della mia vita.

Che dire? Ti auguro che possa succedere.

Grazie, cara. E adesso non mi chiedi il mio ricordo preferito della mia vita teatrale?

Ma sì che te lo chiedo: qual è il tuo ricordo preferito…?

Per essere sinceri, non è una parte o un momento sul palcoscenico. Il mio ricordo più bello è diagbynight una sera tardi, ad Agrigento. L’indomani recitavamo davanti alla casa di Pirandello, in Contrada Caos, e c’era un caldo bestiale. Di montare le scene di giorno non se ne parlava nemmeno. Così ci siamo andati dopo cena – e sai com’è la Sicilia… Diciamo che avevamo ben mangiato e ben bevuto, e nessuno aveva voglia di tornare in albergo. Dev’essere stata l’unica volta in vita mia in cui ho aiutato a montare le scene… Ero piuttosto allegro, e mi ricordo che giravo per il palco con la livella, controllando di qua e di là e chiedendo “È a bolla?” a nessuno in particolare – in questa notte siciliana calda e bellissima, nei posti di Pirandello, con l’idea di recitare lì il giorno dopo… Ecco, quello è davvero un ricordo meraviglioso.

E su questa immagine dell’attore ebbro d’arte, dello spirito di Pirandello e di buon vino siculo che si aggira nella notte brandendo una livella, ci congediamo per questa settimana. Campogalliani70 ritorna mercoledì prossimo.

 

Campogalliani70 – Adolfo Vaini (II parte)ultima modifica: 2016-10-21T08:06:09+02:00da laclarina
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