Mag 20, 2013 - Anno Verdiano, musica    12 Comments

Librettitudini Verdiane: Un Giorno Di Regno

giuseppe verdi, felice romani, un giorno di regno, teatro alla scalaRicordate Oberto? Ebbene, Oberto fu un considerevole successo, tale da valere al suo autore un contratto per altre tre opere.

La prima doveva essere, dopo la storiellona medieval-veneta dell’Oberto, una storiellona medieval-scozzese chiamata Il Proscritto. Non è che a Verdi il libretto piacesse alla follia, ma ebbe modo di rimpiangerlo quando, del tutto fuori dal blu, il direttore della Scala Brtolomeo Merelli se ne uscì con un contrordine e quattro alternative: dopo tutto, pensandoci bene, voleva un’opera buffa. E casualmente aveva sottomano quattro libretti buffi del celeberrimo Felice Romani. 

Ora, dovete capire: Verdi, uomo d’umore poco lieto per natura, si era fatto addirittura lugubre dopo avere perduto due bambini piccoli e la giovane moglie in rapida successione. L’idea di scrivere un’opera buffa non lo allettava nemmeno da lontano, e dei libretti non ce n’era uno che gli piacesse… E tuttavia, la Scala era la Scala, il contratto era un contratto, e i tempi erano strettini anzichenò. Nella necessità di scegliere il meno peggio, il povero Verdi si rassegnò a Un Giorno di Regno – ovvero Il Finto Stanislao che, già dal titolo, si rivelava per un relitto di un’altra epoca.* 

E in effetti, UGdR il buon Romani ce l’aveva pronto dal 1818 e, lui che era stato il librettista di Rossini, Donizetti e Mayr tra molti altri, non si disturbò certo a rinfrescarlo per questo compositore semisconosciuto. Potete immaginare che l’opera non nascesse proprio sotto i migliori auspici. Lontano dal suo genere e assai poco in vena, Verdi la compose distrattamente, rifacendosi a Rossini e Donizetti a piene mani. Il risultato, discontinuo dal punto di vista musicale e zoppicante sul lato drammatico, debuttò alla Scala agli inizi di settembre del ’40, con un cast svogliato, un’orchestra incerta e un pubblico scettico.

E che storia si ritrovò davanti questo pubblico scettico?

Vediamo un po: quando il sipario si alza, ci ritroviamo ad ascoltare un coro che rapsodizza sulle nozze imminenti al castello… dite che suona familiare?

No, fermi – aspettate. Non è di nuovo l’Oberto. Vero: è un’altra faccenda di matrimoni imminenti, mentite spoglie, giuramenti traditi, innamorati divisi, regnanti longanimi e paraninfi, padri decisi a vendicare in duello l’onore delle figliuole rifiutate… solo che qui è tutto in chiave buffa e, per quanto gli ingredienti possano sembrare gli stessi, le cose non sono quel che sembrano.

Per esempio, il coro di camerieri e vassalli è di animo più prosaico, e si compiace dei doppi sponsali in vista sì della gloria del casato, ma ancora di più per le mance che i servitori possono aspettarsi e l’abbondanza culinaria in arrivo.

Perché, vedete, al bretone Barone di Kelbar non par vero di maritare la figlia Giulietta al ricchissimo Tesoriere reale e, nel contempo, la nipote vedova al Conte d’Ivrea, comandante della piazza di Brest – il tutto sotto la benevola egida di Stanislao, re di Polonia in esilio. giuseppe verdi, felice romani, un giorno di regno, teatro alla scala

Ma noi sappiamo dal sottotitolo che qualcosa non va proprio come il Barone crede – e in effetti, al primo aside, il baritono quasi eponimo provvede ad informarci** di essere in realtà uno scapestrato giovane ufficiale, incaricato di lasciar credere a tutti che il Re di Polonia se ne stia quieto e inoffensivo in Bretagna. In realtà, Stanislao è segretamente in viaggio per Varsavia per reclamare il suo trono, ma questo nessuno lo deve sapere, e così il finto Re/Cavalier Belfiore deve mantenere la finzione ad ogni costo. 

I guai cominciano subito, nella forma della seconda sposa imminente: si dà il caso che la nipote del Barone sia la Marchesa del Poggio, l’innamorata di Belfiore. Il nostro eroe si affretta a scrivere a corte, chiedendo di essere rimosso dall’incarico, se possibile, prima che la Marchesa arrivi e lo scopra… Ma è raro che all’opera qualcuno arrivi a scrivere una lettera in pace, e infatti enter Edoardo di Sanval che è: a)un giovane ufficiale squattrinato; b)l’innamorato di Giulietta; c)il nipote del Tesoriere. 

Stanislao poteva non sapere chi fosse la nipote del suo ospite ma, senza che nessuno glielo dica, è informatissimo dei tristi casi di Edoardo, di cui sposa la causa senza un filo di esitazione. E quando il nostro tenorino chiede di poter seguire il Re in Polonia per annegare nel sangue e nell’alloro le sue pene d’amore, Belfiore lo prende come scudiero, e risolve privatamente di approfittare del suo giorno di regno per far trionfare l’amore sul vile calcolo mercenario.

Arriva poi la Marchesa, che riconosce il Cavaliere (di cui, presumiamo senza che il libretto sia molto chiaro in proposito, non aveva notizie dacché aveva intrapreso la sua missione segreta) e decide di metterlo alla prova fingendo di accettare le nozze con l’anziano comandante di Brest. 

Poi, con un altro passaggio limitatamente logico, ci ritroviamo in giardino, ad ascoltare Giulietta che apre il suo cuore a beneficio di un coro di contadinelle e servette, e poi si dichiara d’umor malinconico in presenza del padre e dello sgradevole fidanzato… ma niente paura, Giulietta: giunge infatti il Re con il suo nuovo scudiero. Fingendo di richiedere l’opinione del Barone e del Tesoriere su questioni di politica polacca, Belfiore fa in modo da lasciare Edoardo in compagnia di Giulietta. Gl’innamorati cinguettano, i consiglieri consigliano – fino all’ingresso della Marchesa, che si stupisce di trovare Belfiore riverito come Re di Polonia e pieno di (finta) indifferenza nei suoi confronti. 

Cosicché, rimasta sola con Edoardo e Giulietta, la povera e frastornata Marchesa fatica alquanto a concentrarsi sui loro casi. E assicura sì il suo aiuto ai due giovani, ma è chiaro che ha altro per la testa.

Più promettente sembra il piano di Belfiore che, fingendosi colpito dall’acume politico del Tesoriere, gli offre un ministero, un titolo, terre, la mano di una principessa – tutto in Polonia, e a patto che rompa il fidanzamento con Giulietta. Il Tesoriere accetta al volo ma, inutile dirlo, il Barone è men che elettrizzato dalla rottura del cogiuseppe verdi, felice romani, un giorno di regno, teatro alla scalantratto matrimoniale. La faccenda degenererebbe in una sfida a duello, se non intervenissero Edoardo e le due donne. La Marchesa suggerisce di vendicarsi dell’affronto dando subito in sposa Giulietta a un altro – magari proprio il nipote del tesoriere che, guarda caso, è proprio sottomano… Ma ormai lo sappiamo come sono i padri di sangue blu, vero? Il Barone non intende farsi sottrarre la sua vendetta. Ci vuole l’intervento del finto sovrano per placare le acque – almeno per il tempo dell’intervallo.

L’atto secondo si apre con un coro perplesso, un Edoardo speranzoso e un Tesoriere e una Giulietta che cercano il consiglio del Re. Come convincere il Barone a dare la figlia in sposa a Edoardo – che, a parte tutto, è uno spiantato? Facilissimo, spiega Belfiore. Basterà che il Tesoriere ceda al nipote un castello e una rendita. Il sacrificio è grosso e il Tesoriere nicchia, ma poi chiude gli occhi e pensa alla Polonia -e questa faccenda sembrerebbe sistemata – se non fosse che al Barone, proibizione regia o meno, interessa assai meno delle sostanze di Edoardo che della macchia sul suo onore. Suona familiare? Però qui siamo in territorio buffo, e il Tesoriere se la cava pretendendo un duello a colpi di barile di polvere da sparo. Il Barone s’infuria, ritira la sfida e promette una buona  bastonatura – il che sarebbe un’offesa sanguinosa, ma il Tesoriere è uomo pratico: di offese, dopo tutto, non si muore…

Nel frattempo il nostro eroe ha altre gatte da pelare. La Marchesa torna a minacciare di sposare il Conte. Belfiore freme, ma non può scoprirsi. Indispettita, la Marchesa accoglie il Conte come suo sposo – sempre che Belfiore non si presenti entro un’ora…

E parrebbe proprio di no, visto che Edoardo se ne arriva per annunciare a Giulietta che il Re parte e lui, come suo scudiero, deve seguirlo. La nostra fanciulla non la prende affatto bene, e nemmeno la Marchesa… ma fa male a dubitare. Il finto Re in partenza reclama la presenza al suo fianco del Conte d’Ivrea per segretissimi motivi di stato. Quali? Non si sa, ma dopo tutto l’importante è che la Marchesa non si sposi, giusto? giuseppe verdi, felice romani, un giorno di regno, teatro alla scala

Ed è a questo punto, con operistico sense of timing, che arriva il corriere da Parigi con LA lettera. Belfiore legge, esulta, sospira di sollievo. Poi ordina, come ultimo atto del finto Re di Polonia, il matrimonio tra Edoardo e Giulietta. Il Barone accetta – che può fare? E poi, a titolo di dénouement, il nostro eroe dà lettura della missiva, svelando l’arcano, annunciando l’avvenuta incoronazione a Varsavia del vero Stanislao e, ça va sans dire, chiedendo la mano della Marchesa.

Gaudio generale… o quasi. Perché a ben pensarci, il Tesoriere, il Barone e il Conte, raggirati, usati e beffati, potrebbero avere qualcosa da dire, potrebbero rimangiarsi le promesse estorte, potrebbero sfidare a duello il millantatore patentato… ma forse non è del tutto prudente – tanto più che Belfiore è appena stato ricompensato delle sue prodezze col bastone di maresciallo di Francia. E poi, che diamine, siamo all’opera! serve forse una ragione logica per concludere un’opera buffa in un diluvio di fiori d’arancio?

Facciamo l’uom di spirito… tacere converrà,

mugugnano in coro i nostri tre. Doppie nozze, esultanza generale, sipario.

E, alla prima scaligera, più fischi che applausi. Insomma, ricapitoliamo: il libretto era antiquato, la musica così così, gli interpreti approssimativi, il pubblico scontento… A quanto pare, di questa povera operina non importava un bottone a nessuno – tanto che, dopo l’accoglienza fredda incontrata dalla prima, Merelli si affrettò a disdire le cinque repliche previste, e Verdi, amareggiato e disgustato, decise che non avrebbe composto mai più…

Ma sappiamo tutti come va a finire, giusto? Merelli scioglie Verdi dal contratto, poi torna alla carica con tatto, diplomazia e un gran bel libretto – ma ne parleremo la settimana prossima. Però una cosa è certa: scottato dal Finto Stanislao, Verdi impiegherà cinquant’anni e rotti a decidersi a mettere mano di nuovo a un’opera buffa!

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* Per bizzarro che sembri, la commedia da cui Romani trasse il libretto, poggia su un granello di verità storica. Stanislao Leszczynski, Re di Polonia on and off nella prima metà del XVIII secolo, nel 1733 se ne tornò avventurosamente in patria travestito da cocchiere, nell’intento di farsi (ri)incoronare dalla Dieta. Intanto, in Francia, c’era questo ufficiale incaricato di spacciarsi per lui, così che i suoi nemici lo credessero inoffensivo e lontano… In realtà al vero-vero Stanislao non andò terribilmente bene. Niente elezione, fuga, nuovo esilio e, tanto per dire, Guerra di Successione Polacca.

** Dite la verità: voi non adorate la maniera in cui, al grido di “non sappia il ver!”, la gente ulula i suoi segreti con tutti i suoi decibel, a un metro e mezzo di distanza dalla gente che non deve sapere il ver? Ah, l’opera…

Librettitudini Verdiane: Un Giorno Di Regnoultima modifica: 2013-05-20T08:05:00+02:00da laclarina
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12 Commenti

  • ** No, la maniera in cui… mi lascia piuttosto indifferente. Non c’è paragone, per esempio, con questo Glenn Gould:
    https://www.youtube.com/watch?v=CnJhq7_Er8o

  • Sai, a volte mi vien da sospettare che tu soffra di carenza di nonsense… Che poi, guarda: capisco perfettamente che l’opera non ti piaccia. Mi domando se tu abbia mai provato ad ascoltare qualcosa di adatto con lo spirito giusto (non certo Un Giorno di Regno!), ma se non ti piace, non ti piace, and there’s no accounting for tastes. Però, perdonami, che c’entra qui Glenn Gould? È un po’ come chiedere che ore sono e sentirsi rispondere giovedì… 😉

  • È difficile che gli scienziati “duri” amino il nonsense, cioè il nemico che combattono quotidianamente 🙂

    Il mio era solo un esempio di musica ritenuta pressoché perfetta, tutto qua. Tu non hai posto una domanda oggettiva, bensì una soggettiva. Io ti ho dato una risposta soggettiva.

  • 😀 *Potrei*, potrei davvero farti osservare che la mia domanda soggettiva non aveva nulla a che fare con la musica perfetta, e nemmeno con la musica affatto, se vogliamo – bensì con un tipo di convenzione narrativa… Ma non lo faccio. You admire my restraint, don’t you?

  • In verità stavo cercando di corromperti, e di trascinarti via da quella musica decadente 😀

  • 😀 Causa persa, mi sa… Lo sai, vero, che a me anche in musica ci vogliono le storie?

  • Perbacco, Bach è pieno di storie! Non dirmi che trovi arida la sua musica!

  • No, non arida… senza storie.

  • Le opere sono come le telenovelas, è chiaro che la storia balza all’occhio. Nella musica di Bach, invece, non ci sono omini in maschera che strillano 😉

    Sto conducendo una battaglia persa, vero?

  • Telenovelas… gasp! Omini in maschera che… gasp! gasp!!
    O vulnerato cor t’afforza!
    Afflitta ho l’alma e rorido lo sguardo!
    O me tapina, o lassa, o gemebonda!
    Ed altre consimili espressioni di sofferenza…

    Oh, come mi ricordi la mia compagna di stanza a Pavia, che definiva Star Wars come “la roba dove tutti mulinano spadine verdi”…

    E sì: battaglia persa, persissima. Persissimissima. Sono incorruttibile. 🙂

  • Ma io dovevo fare un tentativo. Capisci, vero? 😀

  • Capisco in pieno. Can’t blame a fellow for trying… 🙂