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Nov 30, 2012 - commercials, pessima gente    10 Comments

Il Tuo Sogno È Possibile

È un po’ che non parliamo di pubblicità, vero?

D’altra parte, è un po’ che non vedo passare campagne su cui valga la pena di scrivere qualcosa. È il periodo. I tempi essendo quelli che sono, le aziende investono meno in pubblicità, riciclano vecchie campagne, sfruttano molto più a lungo quelle che hanno e, sospetto, quando ne commissionano una nuova ricorrono ad agenzie meno costose.  

Impera, naturalmente, il ricatto morale: nulla è superfluo o voluttuario se ci sono di mezzo i figli. Ho visto oggi per la prima volta la pubblicità di un antipiretico/antinfiammatorio – che a dire il vero poi così voluttuario non parrebbe, ma ai Ragazzi del Marketing è parso più sicuro impostare la campagna come quella del Voltaren. Ricordate? Questa volta si afferma che raffreddore e influenza non ti permettono di occuparti di Loro come dovresti. Ma prendi, oh prendi Influmed “e torni a fare il papà”.

I padri così così sopportano stoicamente l’influenza. Un buon padre prende Influmed.

Yes, yes, I know. È ricatto morale tanto bieco quanto maldestro, è usare l’artiglieria pesante per sfondare una porta aperta – e per di più è copiata pari pari dalla campagna del Voltaren… Ma parliamo invece di manipolazione come si deve – spudorata e sottile al tempo stesso.

pubblicità, porscheVi è capitato di vedere la paginata della Porsche?

È uscita la settimana scorsa su un certo numero di quotidiani nazionali*, fatta apposta per attirare l’attenzione e incuriosire, con l’automobile incorniciata dal testo a caratteri colorati – e nemmeno leggibilissimissimi, se proprio vogliamo. E si comincia a leggere, e presto si nota che è qualcosa di diverso dal consueto…

Vogliamo dargli un’occhiata? Vediamo un po’…

Il tuo sogno è possibile,

E fin qui nulla di particolarmente originale. Ne abbiamo visti un sacco, di questi: profumi, abbigliamento, viaggi, gioielli, altre automobili… l’idea del sogno accessibile è vecchia come il commercio – semmai potremmo sollevare un sopracciglio considerando il grado di accessibilità di una Porsche, ma attenzione…

…non ucciderlo, è la cosa più importante per te.

Ed ecco che, a metà della prima riga, siamo già usciti dal territorio consueto con questo tono più che un po’ melodrammatico. Sottotesto: se uccidi il sogno che è la cosa più importante per te, O Consumatore, è come se uccidessi un pochino te stesso – quanto meno quella parte di te che sogna. Ouch.

Non farti frenare dalle tasse sul lusso.

Ma non sentirtici male, O Consumatore, chè la colpa non è tua, non sei tu il sognicida. È questo governo cupo e ferreo, che non vuole lasciarti spazio. Che soffoca la tua individualità, punisce la tua intraprendenza, che impila sensi di colpa sulla tua gioia di vivere. Ma tu, O Consumatore, non lasciarglielo fare.

Se ti fermano per un controllo lasciali fare. Se sei in regola, andranno a controllare quelli che non lo sono.

Ecco, io guido una Ka trilustre e non lo so – ma mi si dice che, alla guida di un’auto di lusso, le probabilità di essere fermati per controlli siano molto più alte. Di nuovo, è questo Grande Fratello tetro e gretto che dà per scontato che, se puoi permetterti una Porsche, tu sia un ladro – e allora ti punisce e ti vessa. Ma tu non badarci, O Consumatore.

Se la tua fantasia sono io, non reprimerla.

Altra chiamata all’azione, e per la prima volta ci accorgiamo che l’automobile – anzi, scusate, l’Automobile parla in prima persona. È, O Consumatore, una faccenda personale: tu – sì, proprio tu! Ribellati a questa mentalità, non uccidere il sogno, non reprimere la fantasia. Non lasciarti imporre azioni negative. Uccidere, reprimere: bad for you

La vita va vissuta con passione, altrimenti cosa ci rimane?

Anche la passione è una di quelle parole onnipresenti in pubblicità – dal gelato all’automobile, dal sugo per la pasta al gioiello componibile, passando per i liquori e la biancheria intima… Ma badate bene, perché dietro la buona vecchia passione è nascosta la bordata vera e propria: altrimenti cosa ci rimane? In questo mondo triste, traballante e un po’ squallido, O Consumatore, non abbiamo altro. È una questione di vita o di morte – interiore. 

Il 50% di quello che spendi per me va allo Stato che dovrebbe stimolare a possedermi e a esserti riconoscente perché, comprandomi, contribuisci con coraggio allo sviluppo di cui tutti parlano.

E che poi, diciamocelo, O Consumatore: che diavolo vogliono da te e da me? Comprarmi è un atto di coraggio, di fiducia nel futuro, un contributo a quello sviluppo di cui tutti parlano – e per il quale si fa così poco. E in cambio, lo Stato vuole farti passare per irresponsabile capriccioso – manco ti stessi comprando un set di rubinetti d’oro massiccio tempestati di rubini! Invece io sono

Essenziale, tecnologica, e moderna;

Sono una scelta intelligente. Una scelta di classe. Il meglio che ci sia. E tu lo sai bene, perché…

…con me hai vissuto i safari africani, le 24 ore di Le Mans e le tue serate a teatro.

Nella realtà o nell’immaginazione, non importa. Perché io, O Consumatore, lo so che hai gusti raffinati: viaggi, sport esclusivo, cultura… 

Il mio design è senza tempo e già futuro,

Ah, già: sono anche un investimento a lungo termine. Non sarò un modello sorpassato nel giro di un anno. Che cavolo, io…

…sono amata perché vivo la realtà senza l’eccentricità della moda.

Sono stabile. Sono duratura. Sono amata. Sono riconosciuta. Sono un modo di vita, non una moda. Oh, e chiariamo bene un’altra cosa.

Non sono veloce. Se si rispettano i limiti.

Magari vorranno considerarti un criminale in potenza solo perché puoi disporre delle mie fantastiche prestazioni, ma quel che conta è la tua scelta individuale di non infrangere i limiti. Perché tu sei responsabile – checché ne dica chi vuol fare di ogni erba un fascio. Ma è tutta facile e astiosa demagogia, perché in realtà…

A questa Italia ferma servono i cavalli che io ho e che devi avere anche tu.

Te lo ripeto, O Consumatore: la mia energia e la tua audacia sono la ricetta giusta.

I sogni non sono un lusso.

No, perbacco. I sogni sono un diritto. Io sono un sogno. Ergo, possedermi è un diritto. E te lo ripeto ancora: a dispetto di tutto quel che ti dicono, di tutti le coperte bagnate che cercano di gettarti adosso tassandoti, vessandoti, demonizzandoti e spingendoti in mezzo alla massa, tu ricorda sempre questo:

Il tuo sogno è possibile!

Punto esclamativo.

Il tuo sogno è possibile.

Tosta, don’t you think? Spudorata, finto-candida, mirata con molta cura, modellata su sentimenti diffusi, ferocetta a tratti, manipolativa oltre ogni dire, finemente travestita da cri de coeur, rischiosa in potenza, con tanto sottotesto da verniciarci un ponte – e tanto fuori dal coro da farsi notare di sicuro.

Essendo i tempi quelli che sono, non ho proprio idea di quanto terreno possa trovare un discorso del genere, ma, parlando in termini di scrittura e nient’altro, era ora che si vedesse una campagna con qualche barlume di audacia e di cattiveria.

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* Solo carta stampata – da leggersi e meditarsi.

Gen 30, 2012 - commercials    5 Comments

Ricatto Morale Applicato – La Nuova Frontiera

Qualche mese fa – forse ve ne ricorderete – parlavamo di pubblicità, ricatto morale e famiglia, per dire che di questi tempi occorre contrabbandare i bisogni indotti, e quella vasta fascia di consumatori che sono anche genitori costituisce un pubblico dall’alto tasso di ricattabilità.

Si direbbe che, con l’anno nuovo, i pubblicitari abbiano scoperto un campo nuovo e assai più vasto: l’orgoglio nazionale. Ora, non è che il ricorso alla buona vecchia Italia sia del tutto inedito in pubblicità, ma di solito (a parte gli spot d’occasione del 150° o quelli molto sporadici delle Forze Armate) la si butta sulla genuina unicità del made in Italy, alimentare o meno – come ancora fa, salvandosi con una dose d’ironia, la campagna della Proraso. Avete presente, no? “Copiarci non è impossibile: è inutile.”

Da qualche settimana, invece, sono emersi gli spot che si prendono sul serio.

Unicredit ci presenta una protagonista dall’aria di ragazza della porta accanto che, vedendo in cima a un’asta una bandiera italiana impigliata su se stessa, si toglie scarpe e cappelluccio* e si arrampica a molti metri di altezza. Una volta su, naturalmente, libera la bandiera permettendole di garrire al vento in tutta la sua gloria, e ridiscende a raccogliere il plauso della folla. Folla, badateci, costituita da giovani coppie, manager col telefonino, studenti con gli occhiali, anziane signore, giovanotti in bicicletta… anche se, per una volta, mi pare che non ci siano bambini. “Se sentite il bisogno di azioni concrete,” proclama la Voce Fuori Campo, “partecipate all’aumento di capitale Unicredit.” Fade to primo piano della nostra eroina, che guarda avanti e in alto, con un sorriso colmo di orgogliosa fiducia.

E poi c’è la Fiat, e la Fiat tira fuori i grossi calibri. Nel suo minuto e mezzo c’è proprio tutto: dal marmo di Carrara agli astronauti, dal desiderio di riscatto alla famiglia, da Pulcinella alla catena di montaggio, dalla disoccupazione alla vecchia piazza, dalla bandiera, a Pomigliano d’Arco, allo scatto d’orgoglio – perché non siamo solo quelli della pastasciutta, che diamine! C’è anche un testo fatto di slogan: “noi possiamo scegliere quale Italia essere”, “questo momento è quello di ripartire”, “il talento, la passione, la creatività”, “la voglia di costruire una cosa ben fatta”, “le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo” e, per finire, “questa è l’Italia che piace.”

Entrambi gli spot hanno una musica tra l’epico e il tambureggiante, un’attenzione al “volto italiano” e una Voce Fuori Campo il cui tono non sfigurerebbe in un film americano. Avete presente quando tutto sembra perduto e il generale/presidente/re/capovillaggio/primo ministro/capo dei ribelli fa il suo messaggio alla Nazione? Ecco.

E hanno in comune anche la morale ricattatoria: il momento è difficile per tutti, e occorre rimboccarsi le maniche? Ebbene, noi ve ne offriamo la possibilità: partecipando alla nostra ricapitalizzazione o comprando la nostra automobile, farete la vostra parte per rimettere in carreggiata la nostra beneamata Italia. Sottinteso: e dunque noi non ci limitiamo ad essere una banca o a vendere ruote – noi offriamo pezzetti di riscatto patriottico, ripresa, solidità, fiducia nel futuro. Come potete dirci di no?

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* Ma non lo zaino – che pure è la prima cosa che penserei a togliermi prima di dare la scalata a un palo, forse anche prima delle scarpe… Non che abbia mai scalato pali, but still. D’altra parte, lo zaino è lì per un motivo: non vi stiamo invitando, o potenziali ricapitalizzatori, a un picnic – bensì a fare uno sforzo, ad accollarvi una responsabilità. Venite con noi, portandovi le vostre difficoltà. Le scarpe, invece… Provate a badare a quanti spot mostrano gente a piedi nudi per simboleggiare spensieratezza, semplicità, serietà d’intenti, libertà fisica o di spirito… Avete presente la gente che, nel Cinque, Sei o Settecento, si faceva ritrarre con un guanto calzato e l’altro in mano in segno di affabilità? Le cose cambiano nel corso dei secoli, ma fino a un certo punto. Le funzioni simboliche fino a un punto ancor minore.

Nov 18, 2011 - commercials    4 Comments

Il Detersivo Ai Tempi Della Crisi

I tempi, si sa, sono quelli che sono, e la domanda diventa: come fa chi vende beni e servizi non essenziali a smerciarli quando le vacche sono magre?

Indurre un bisogno non basta più: quando il consumatore è costretto a scegliere tra bisogni diversi, è molto probabile che il bisogno indotto se la veda brutta. E allora? Occorre mascherare il bisogno indotto e, se non si può cancellare la sua non essenzialità, bisogna dotarlo di una tra due cose: una legittimazione o una componente di ricatto emotivo.

E indovinate qual’è la leva in grado di legittimare qualunque cosa e/o ricattare chiunque? Ma la famiglia, ovviamente!

La tattica non è nuova. Tutti ricordiamo la campagna del Voltaren, in cui si dimostrava che farsi passare contratture, distorsioni, reumatismi e doloretti vari non è questione di self-indulgence, e nemmeno di uso inneccessario di antidolorifici, bensì di far felici i propri bambini. Un buon padre, era l’implicito e ricattatorio messaggio, usa Voltaren.

Ebbene, badate a come, in tempo di crisi la faccenda proliferi, fiorisca e prosperi in campi anche assai più voluttuari dell’antidolorifico.

C’è la pay tv, che costa così poco quando è per “una famiglia”, e può essere acquistata nella combinazione che si preferisce, “per esempio documentari e cartoni animati.” Naturalmente ci sono anche possibilità più adulte, ma nel frattempo lo spot ha aggirato la tentazione del senso di colpa: se lo si fa per i bambini…

C’è il dispenser elettronico per il sapone liquido, arnese del tutto inessenziale, il cui spot comincia invocando la fondamentale importanza della salute dei ragazzi, che “passa anche per le mani.”Ah be’, se è per la salute dei ragazzi, allora…

E c’è lo smacchiatore (un perboato glorificato, mi dice la mia mamma), che usa questa tecnica persuasiva con stupefacente spudoratezza – ricatto allo stato più puro. Badate ben:

“Non rinunciare a un abbraccio per paura delle macchie!” E lo vedete com’è felice il bambino, quando può abbracciare il suo immacolato padre con le mani sporche di cioccolato? Ma suvvia, O Consumatori! È così evidente: bisogna essere cattivi padri per respingere un bambino in questo modo – ma d’altra parte, le macchie sono un problema… ed ecco che arriva Omino Bianco* a salvare camicia e cavoli. Ergo, un buon padre e la moglie di un buon padre usano Omino Bianco.

Confesso di avere guardato e riguardato i venti secondi e qualcosa dello spot in cerca di qualche traccia di salvifica ironia, ma temo di non averne trovata veruna. Questo significa che la Unilever cerca davvero di ricattare chiunque conduca il carrello della spesa con la chiave dei piezz’e core? Oh, help and deliver

E parlando di gente che manca di ironia, può darsi che mi sia sfuggito qualcosa e accetterò molto volentieri segnalazioni in proposito, ma dove sono, in questa circostanza, i cattolici che si scandalizzavano tanto per l’ironicissima – questa sì – campagna Renault?

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* Solo io da piccola ero molto perplessa per il fatto che, pur indossando una camicina bianchissima, l’Omino era chiaramente nero?

Ott 3, 2011 - commercials    2 Comments

Il Profumo Dei Sogni

Da un po’ non parlavamo di pubblicità, vero?

Meditavo sul fatto che le campagne pubblicitarie dei profumi tendono ad appartenere a due categorie: lo chic sognante e il richiamo sessuale (dal malizioso all’esplicito) – con occasionali combinazioni delle due cose.

Non scandalizzatevi, per favore, se dico che potremmo considerarli due sottogeneri narrativi. La pubblictà è storytelling allo stato puro: personaggi, qualcosa che i personaggi vogliono ma non possono avere, e La Soluzione, costituita dall’oggetto della pubblicità. Quel che cambia è dove viene situata l’identificazione del lettore… ops, volevo dire “del consumatore”.

Per restare in ambito di profumi, il genere Erotica va abbastanza diritto: quali che siano i crucci momentanei della bellissima donna o del bellissimo uomo del momento, la spettatrice e lo spettatore non devono tanto identificarsi in loro, quanto supporre che il profumo in questione li doterebbe di almeno un po’ dello stesso sex appeal (o, in alternativa, li metterebbe idealmente nella stessa lega di gente siffatta). La storia, oltre ad essere semplice, è una delle due più vecchie del mondo.

Sul versante chic-sognante, le cose sono un pochino più sottili, perché si aggiungono all’equazione raffinatezza, luoghi esotici, romanticismo, irrealtà… Il profumo è ancora più miracoloso: una fata madrina à la Cendrillon, che promette una specie di Bellezza in Astratto, tanto diversa dalla quotidianità quanto la si può immaginare.

C’è una campagna di Chanel che spinge su questo tasto  in modo quasi meta-pubblicitario: pensiamo a due spot che hanno per protagoniste altrettante bellissime dive, ciascuna diretta dallo stesso regista del suo film più celebre.

Nicole Kidman con Baz Luhrmann:

E Audrey Tautou con Jean-Pierre Jeunet:

Anche se forse questo lo trovo più efficace nella versione short:

Ad ogni modo, l’idea di fondo è la stessa: una storia d’amore sfiorato in circostanze fuori dall’ordinario – storia non del tutto correlata al prodotto, che appare solo in discreti cenni qua e là prima di essere nominato alla fine. C’è sempre un pizzico di leggenda (la celeberrima attrice in fuga, l’Orient Express), e tutti aspirano a qualcosa che forse non possono avere. L’essenza del messaggio non è “Chanel N° 5 ti fa ottenere qualcosa di specifico”, bensì “Chanel N° 5 porta con sé un alone di classe e di romantica eccezionalità”.

Qualcosa di simile accadeva con uno spot di qualche anno fa, di cui non sono riuscita a trovare traccia. Forse qualcuno se ne ricorda: un uomo e una donna, belli, gelidi e perfetti, sedevano in una stanza algida, in silenzio sotto un orologio ticchettante. Arrivava un secondo uomo dall’aria trasandata-chic, accolto con sorpresa dalla coppia. Seguiva il racconto dei viaggi di lui – per immagini in toni di seppia: lo si vedeva felice in un’Asia di fantasia, insieme a una deliziosa fanciulla locale. Poi lei moriva in qualche modo, e il suo corpo veniva affidato alle acque su una zattera in fiamme* tra il virile strazio di lui. Brusco ritorno all’algida stanza bianca, e alla lacrima che luccicava sulla guancia della padrona di casa… Non credo che lo spot appartenesse a Chanel, ma il principio era lo stesso, reso in modo ancor più radicale: la romantica eccezionalità era qualcosa che andava ben oltre ricchezza e bellezza – e se comprendeva un tocco di tragedia, tant mieux. Ancora più eccezionale, ancora più romantico. Quest’ultima era un’idea più narrativa che pubblicitaria, se vogliamo – e in effetti non è che la si sia rivista molto in giro.

Ma restano la componente narrativa e l’identificazione obliqua, nonché le aspettative sublimate. O Donna** che entri in profumeria per comprare Chanel N°5, sappi che in quella boccetta, tu porti a casa non un’essenza profumata, e nemmeno un banale elisir d’amore (o sesso), bensì un Sogno.

Particolarmente irresistibile, don’t you think?

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* Rito che avevo sempre associato più ai Vikinghi che a una qualsiasi parte d’Asia, ma era indubbiamente pittoresco a vedersi.

** Notate che il concetto di Consumatrice qui è eluso con eleganza o almeno spinto dietro un paravento per mezzo delle scarse e discrete apparizioni del prodotto all’interno della storia.

 

 

 

 

 

Giu 29, 2011 - commercials    5 Comments

Chi E’ Che Beve Il Sidro?

Paesaggio lontano, montagna inaccessibile, musica simil-epica…

Film?

Frotte di gente armata di arco – in improbabili tenute dark nella piana polverosa. Altra musica simil-epica.

Film fantasy? Produzione europea?

Zoom lontano-lontano, su territori verdeggianti e castello turrito – no, wait: castello turrito con giardino murato. E dentro le mura ferrate… un meleto. Un meleto?

What is this? Cornelia Funke?

Nella piana polverosa, all’ombra delle bandiere al vento, gli arcieri fittamente schierati alzano gli archi e… la nuvola di frecce parte in direzione Lontano-Lontano. 

Er… chi ha scritto ciò?

Torniamo al frutteto giusto in tempo per l’arrivo della nuvola di frecce, che non coglie nessuno (d’altronde difensori non se ne vedono), ma in compenso fa piazza pulita delle mele. La musica è sempre più epica.

Ah, d’accordo. Pubblicità. Ma di che? Concorrenza della Melinda? Riprendiamoci l’Alto Adige? Movimento Armato per la Diffusione delle Pere?

“Strongbow Gold,” declama la voce narrante. Sì, lo so: non sta narrando un bottone, ma il tono drammatico e il timbro ghiaioso m’impediscono di liquidarla come semplice voce fuori campo.Dopodiché, fade to un bar dove ragazzi e ragazze dall’aria modaiola ma sana bevono pinte di qualcosa di dorato che, ci viene detto, è sidro. Va bene, grazie.

Confesso di essere rimasta un nonnulla perplessa di fronte a questa pubblicità: sembrava così improbabile – finché non ho considerato il target. Che cosa è il sidro in Italia? Qualcosa che si beve nelle taverne nei romanzi fantasy e nei giochi di ruolo. Per i giovani cui il messaggio è destinato, il sidro ha semmai connotazioni fantasy – e quindi rafforziamole e giochiamoci su. Non capita spessissimo di vedere un genere letterario/cinematografico usato a fini commerciali per qualcosa di non immediatamente correlato. E’ ammesso rallegrarsene, divertircisi o scandalizzarsi a piacere. E se dubitate della mia lettura, provate a dare un’occhiata al sito della Strongbow, dove si dice che il brand è ispirato a un personaggio storico, Richard de Clare, meglio conosciuto, per l’appunto, come Strongbow: “…un potente e, spesso spietato,* signore della guerra normanno del 12° secolo.” […] “Richard certamente aveva messo la sua abilità al servizio del bene…”Ecco, qui è consentito levare gli occhi al cielo con un sospiro sconsolato.

Insomma, a parte il fatto che in realtà le cose erano un tantino più complicate**, Legale Malvagio, anyone?

 

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* L’uso fantasioso delle virgole non è una mia idea. Come suol dirsi: sic.

** In realtà Richard era un barone litigioso, intrigante e acquisitivo, forse più sottile della media – il tipo che si schiera con chi gli promette la mano di una principessa, ma lo fa solo con il permesso del re – e in definitiva non gli andò poi così bene come dicono quellki del sidro. Leggete qui per farvi un’idea.

Mar 21, 2011 - commercials    3 Comments

Un Messaggio E Uno Solo

E’ solo una mia impressione o ultimamente gli spot pubblicitari sono fatti al risparmio? Eterne e irrilevanti scene di gente che va all’aeroporto in motoscafo col Rondò Veneziano per colonna sonora, oppure voci narranti che elencano ad nauseam le meraviglie di serie di un’automobile, “così potrai guidare in città e fuori” oppure “perché non c’è niente di meglio che prenderti un po’ di tempo per te stessa”… Come le pubblicità dei concessionari o dei piastrellisti sulle televisioni locali, non so se abbiate presente. Posso solo supporre un ripiegamento su agenzie meno costose ma meno competenti? Gente a cui è sfuggito che “nessuno ti dice di comprare un Rolex così saprai sempre l’ora giusta”?

Poi è spuntato un nuovo spot della Volkswagen, e meno male.

Forse l’avete visto: ci sono due uomini in uniforme che leggono il giornale in una guardiola. Si sente abbaiare. “Bulldog,” dice uno dei due. “Labrador,” replica l’altro con l’aria di chi la sa lunga. Entrambi abbassano il giornale, e si vede che siamo in uno di quei parcheggi a pagamento, che i due sono guardiani o bigliettai, e che il cane accanto a una delle auto parcheggiate è effettivamente un labrador. Dopo un po’, rumore di passi. “Uomo,” dice il primo parcheggiatore. L’altro scuote la testa: “Donna.” E a giornali abbassati constatiamo che si tratta di una donna. E quindi abbiamo capito chi è la persona sveglia e/o esperta. Ma attenti, ecco il rumore di una portiera chiusa e di un motore avviato… che sarà mai?

Il parcheggiatore imbranato non esita un istante: “Volkswagen!” Il suo collega dall’orecchio fino annuisce compiaciuto: “Polo,” decreta con fare da intenditore – and sure enough, una Polo passa davanti alla guardiola.

Morale? Trenta secondi, sei parole e un messaggio molto preciso: VW è così inconfondibile che non c’è da sbagliarsi. La sua unicità balza persino all’occhio più sprovveduto e disattento. O meglio all’orecchio, e qui s’inseriscono sottilmente connotazioni di affidabilità e potenza. Ma la cosa importante è che tutte le ragioni per cui VW è così unica non sono elencate, ma solo evocate da un’unica caratteristica che le contiene tutte.

Potevano dirci in dettaglio come sono solide le portiere della Polo, come canta il motore, come è pieno di personalità l’insieme e, in conseguenza di tutto ciò, che buona macchina abbiamo di fronte. Invece scelgono di mostrarci – in modo originale – una cosa sola: che l’automobile in questione è inconfondibile. Lo è persino per il simpatico e sprovveduto posteggiatore con la pancetta – figurarsi per voi, O Consumatori, che siete gente sveglia!  

Feb 2, 2011 - commercials, lostintranslation    Commenti disabilitati su Eh?

Eh?

Avete presente la pubblicità ricattatorio-anniversariale della RAI, in cui Ofelia suggerisce da dietro le le quinte a un perplesso Amleto, un sacerdote celebra il matrimonio di una basita giovane coppia, un allenatore arringa la sua stranita squadra di pallacanestro prima della partita, una spaesata giornalista intervista un vincitore di tappa, e via così, e nessuno capisce nessuno perché tutti parlano versioni strette di qualche dialetto italiano?

Dopodiché la Voce Fuori Campo rivendica gioiosamente i meriti della Tivvù nell’avere insegnato l’Italiano agli Italiani e, in un momento dalle non so quanto volute implicazioni bibliche, parte l’Inno di Mameli, sventola il Tricolore, e la babele si dissolve, per l’entusiasmo generale. Ofelia, o chi per lei, in un serio sfoggio di tripudio, con gli occhi fuori dalla testa e un sorriso a sessantaquattro denti, leva le mani al cielo ed esclama “Che meraviglia!”, o qualcosa di equivalente. “Fratelli d’Italia.” conclude suadente la VFC, salvo poi riprendere  con “Oh, e quindi ce lo meritiamo proprio il canone, non vi pare? – o parole a quest’effetto. 

 L’idea è più carina di altre, tratta senza eccessi di retorica un angolo particolare del Centocinquantesimo e, in fairness, i meriti in questione la RAI li può anche vantare davvero – anche se ormai si tratta di meriti antichi: vorrei tanto che i telegiornalisti smettessero di dire cose come “vicino Milano” o “riappacificare” in luogo di “rappacificare”… 

Resta il fatto che ieri gente dell’altro capo della provincia – gente mantovana come me, solo 60 chilometri più a ovest – mi ha apostrofata più o meno così: “Conta n’argota!”

Soggiacendo a un improvviso impeto d’identificazione con tutti i basiti dello spot RAI, ho sollevato le sopracciglia e ho esclamato “eh?” E così ho scoperto che questi alieni dicono “conta n’argota” per significare “racconta qualcosa”, ma se invece volessero dirmi di non raccontare nulla modificherebbero l’ingiunzione in “conta n’algota”.  Gente più esperta di me nell’idioma delle mie parti – e quindi più attendibile – mi conferma nell’impressione di assoluta ostrogotaggine.

E quindi sì: per una volta, la RAI può fare la ruota a ragione e considerarsi soggetto meritevole. Sarebbe bello che, forte di questo, proseguisse sulla buona strada, invece di massacrare i congiuntivi, coltivare ogni genere di malvezzo linguistico e impoverire il vocabolario. Non sarebbe già molto, come impegno per i prossimi centocinquant’anni?

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Tra parentesi, mi diverte abbastanza il modo in cui l’utente YouTube che ha messo in rete la serie di spot intitola il video “W i nostri dialetti”…

Gen 5, 2011 - commercials    Commenti disabilitati su Partecipa Anche Te!

Partecipa Anche Te!

Questa volta non parliamo di uno spot, ma del banner di tale John Cooper Agency (agenzia pubblicitaria, se ho afferrato), che da qualche giorno compare qua e là per la Rete.

“Vuoi diventare una modella o un modello?” recita il banner. “Sogni di fare cinema o TV? Prossimo evento 2011: Miss Duomo di Milano. Partecipa anche te!”

Sic, proprio sic: partecipa anche TE.

Naturalmente, con un impatto del genere, non mi sono trattenuta dall’andare a curiosare e dal trarre le mie conclusioni, ma non siamo qui per occuparci del funzionamento delle agenzie pubblicitarie, di cui d’altronde non so nulla – le mie esperienze di agenti, felici e assai meno felici, essendo limitate al campo letterario. Quello che mi affascina oltre misura, l’avete capito, è quel perentorio e sgrammaticato “partecipa anche te!”

Ora, posso formulare due differenti ipotesi in proposito:

1) La JCA ha urgente bisogno di uno staff scolarizzato un po’ meglio.

2) Qualcuno alla JCA crede nei principi esposti a suo tempo la Fenomenologia di Mike Bongiorno e agisce di conseguenza.

Tendo a propendere per l’ipotesi n° 2: in qualche modo, mi riesce facile immaginare i creativi all’opera che discutono del linguaggio del target e di immedesimazione. Questo banner è rivolto a un pubblico di ragazze/i* molto giovani (e in buona parte lombarde/i?) di cultura media nella migliore delle ipotesi, gente che dovrebbe sentirsi più coinvolta quando apostrofata in questo modo. Nello stesso modo in cui parla.

Sospetto che i creativi della JCA tendano a un effetto del genere: “Ehi, questa gente parla come me! Questa gente è come me! Questa gente mi capisce! Di questa gente mi posso fidare!” Non che l’aspirante modella/o faccia esplicitamente questo ragionamento, ma il te dovrebbe sprigionare in lei/lui un confortante quanto inconsapevole senso di famigliarità, di gruppo, di tribù, di fiducia…

E’ come i congiuntivi sbagliati di Mike Bongiorno, come la casalinga che sbaglia i lavaggi fino alla scoperta del nuovo e miracoloso detersivo, come l’ex disoccupato che, in sintassi semplice e cattivo spelling, vende su Internet l’ultimo sistema-per-diventare-ricchi-con-l’IM, come il diluvio di accenti regionali nella pubblicità e nelle fiction e, in un parallelo meno preciso, come i manifesti “Your Country wants/needs you”, con lo Zio Sam che punta il dito verso chi legge. L’importante è che il destinatario del messaggio si senta coinvolto e capito, che si identifichi in chi parla… E secondo i creativi della JCA – così come secondo Eco e gli Internet Marketers – la Gente tende a identificarsi più volentieri con qualcuno che non va troppo per il sottile in fatto di congiuntivi, spelling e pronomi.

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* Sospetto che non dobbiamo lasciarci sviare dal titolo di Miss DdM; sospetto che, quantomeno, ci sia un equivalente titolo maschile a latere, o qualche altra cosa che giustifichi il richiamo ad aspiranti modelle e modelli.

Nov 19, 2010 - commercials    6 Comments

Buon Compleanno, Italia

Così c’è questo spot sportivo-patriottico – lo avete visto? Mi si dice che preceda le partite di calcio, ma è evidente che lo passano anche in altre circostanze.

C’è una piazzetta indorata dal sole, con i vecchietti che giocano a carte, le donne sedute sulla porta e, soprattutto, i ragazzini che giocano a calcio – finché il pallone (di cuoio scuro, di quelli che forse si trovano ancora in qualche soffitta) non finisce sull’albero.

Nessuno, né i ragazzini, né i giocatori di briscola, né le presunte madri, fa anche solo finta di recuperarlo, il pallone. Gioco finito. I bambini fanno per andarsene sconsolati – tranne uno. Quell’uno ha sentito qualcosa nell’aria, quattro note fischiettate… e lui risponde fischiettando a sua volta, e guarda caso, la melodia è l’Inno di Mameli.

Mentre la banda del paese (che, si vede, guarda caso passava di lì in uniforme) attacca a sua volta l’inno, altri bambini si uniscono al primo e, quando la camera li inquadra da dietro, i numeri delle loro magliette formano due date. 1861 e 2011, ça va sans dire.

Ma il meglio deve ancora arrivare, nella forma di un drappello di Garibaldini a cavallo che caracollano entro la piazza, recuperano il pallone e lo restituiscono ai ragazzini festanti. Proprio in quel momento le Frecce Tricolori sorvolano in formazione. Luce vieppiù dorata, tripudio generale, il ragazzino dai capelli rossi augura “Buon compleanno, Italia!”, e la voce fuori campo declama “Nata per unire”.

So cute. Carino, ben fotografato, immerso in un’atmosfera di fiaba. E oleografico. E sentimentale. E un nonnulla confuso nel messaggio.

Dunque, ricapitoliamo: c’è questo luogo irreale, un’Italia da brochure turistica, placida, estiva, pittoresca e finta, senza macchine, con quest’aria di vacanza. Il pallone è come non si usa più da decenni, la piazzetta linda come uno scenario d’opera, e i bambini giocano per strada vestiti in uniformi candide, molto chic e immacolate. E di fronte alla piccola contrarietà, che fanno gli abitanti di questa cartolina? Nulla – però fischiettano l’Inno e, come per magia, ecco gli eroi in camicia rossa che risolvono tutto (namely: riprendono il pallone da un albero). D’accordo: è una fiaba, e chi l’ha scritta s’è dovuto arrabattare a coniugare in qualche modo calcio e Unità, perché così dev’essere quest’anno…

Però è una fiaba deboluccia, che cerca di compensare la mancanza di concetto con lo zucchero e i bei colori. Perché forse sarò densa, ma il concetto quale sarebbe? che la storia è fonte d’ispirazione e sostegno nelle avversità piccole e grandi del presente? Che passato e presente sono legati in una felice continuità d’affetti? Che i piccoli crescono più felici e migliori se sono consapevoli delle loro radici? Tutte ammirevoli idee che però, una volta afflosciate su un’immagine tanto leziosa, decadono a figurine vagamente edificanti. La storiellina simbolica è troppo piccola per la bisogna e fa cilecca. E se non fa cilecca, allora c’è di che preoccuparsi.

A volte anche il senso dello Stato è questione di buona scrittura. Mi piacerebbe tanto che l’Unità si celebrasse con misura e con senso delle proporzioni, con la consapevolezza che non tutti gli ambiti si prestano alle celebrazioni ed evitando di annegare il tutto in colate di melassa retorica e di ricatto morale… Mi piacerebbe che non si tentasse di farne una cosa carina.

Questo spot, ammetterete, non è che lasci troppo ben sperare.

Ott 14, 2010 - commercials    2 Comments

Renault, Corruttori di Valori!!

Abbiamo visto valanghe di campagne pubblicitarie di auto incentrate sulla famiglia: auto spaziose per famiglie numerose, auto sicure per i bambini, auto versatili per consentire alle mamme di caricare carrozzine colossali su mini utilitarie, auto che gratificavano i genitori e facevano sognare i piccoli…

Renault ha sterzato (ancora più bruscamente della Mercedes) da questo filone con una campagna spiritosa e un nonnulla cinica. Aspettatevi di più dalla vita:

 

E Tutto il resto può aspettare:

 

Il possesso e la guida di una Renault sono gioie, altro che la maternità/paternità! L’ironia è giocata sull’esagerazione iperbolica del valore della macchina – alla stessa maniera in cui le macchine da caffè diventavano una tentazione per Dio in persona – e sulla decostruzione di una certa specie di mistica della maternità, ma anche sulla stoccatina alle pubblicità “famigliari” di cui dicevamo sopra.

Poi si trovano reazioni come questa, in cui si ulula al crollo dei valori, e allora viene da farsi qualche domanda sulla gente dalla mentalità letterale…

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