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Nov 7, 2010 - musica    2 Comments

L’Uccellino della Radio

Oh che cos’ho trovato! L’Uccellino della Radio, canzone del 1940 di Nizza, Morbelli e Filippini – cantata da Silvana Fioresi. Ah, i tempi eroici della radio… non è deliziosa? Una volta o l’altra scriverò qualcosa in materia.

La stazione radio stamattina
vive in una grande agitazion
per un grave fatto s’indovina
sono tutti in apprension

Ingegneri, tecnici ed attori
stanno muti a udir l’annunciator
che fa appello ai radioscoltatori
con la voce scossa dal tremor

Della radio l’usignol
stamattina ha preso il vol
al suo libero cielo ha voluto ritornar

Nella gabbia a fili d’or
rimaneva a malincuor
tutti i passeri udendo di fuori cinguettar

Una passeretta lo chiamò
gli disse “ci-ci-ci”
all’amore non puoi dir di no
e l’uccellin fuggì

Non lo state ad aspettar
non vorrà più ritornar
nel suo volo d’amore d’azzurro verso il sol
l’uccellino della radio ha preso il vol

Forse in una scuola l’uccellino
sopra un davanzale si posò
chino sopra un compito un bambino
al suo canto si voltò

Cinguettò in un modo che i piccini
subito guardarono di fuor
oh poter cacciare i maggiolini
correre nei prati tutti in fior

Della radio l’usignol
stamattina ha preso il vol
al suo libero cielo ha voluto ritornar

Nella gabbia a fili d’or
rimaneva a malincuor
tutti i passeri udendo di fuori cinguettar

Una passeretta lo chiamò
gli disse “ci-ci-ci”
all’amore non puoi dir di no
e l’uccellin fuggì

Non lo state ad aspettar
non vorrà più ritornar
nel suo volo d’amore d’azzurro verso il sol
l’uccellino della radio ha preso il vol.

Buona domenica a tutti!

Ott 31, 2010 - cinema, musica    2 Comments

This Is Halloween

E poi ci sono i film – a non finire, dal truculento al buffo, passando per le serie: polizieschi, ospedalieri, legal-procedurali, vita di famiglia… non c’è serie che non abbia la sua puntata incentrata su Halloween.

Naturalmente i cartoni animati non fanno eccezione. Un tempo credevo che i film in stop motion non mi piacessero, poi ho scoperto Tim Burton. E sì, so che il titolo del film è natalizio, ma… andiamo!

E di certo la musica di Danny Elfman Aiuta non poco, vero?

Buona domenica e buon ponticello!

Ott 17, 2010 - cinema, musica    Commenti disabilitati su Lawrence d’Arabia

Lawrence d’Arabia

Credo che, di tutta la musica di Maurice Jarre, la colonna sonora di Lawrence of Arabia sia quello che preferisco.

E Lawrence è uno dei pochi casi in cui preferisco il film al libro da cui è tratto, La Rivolta nel Deserto. Raccontano la stessa storia, ma il libro è reso di difficile digestione dalla voce narrante. Non so che farci: Lawrence, vanaglorioso, egocentrico e petulante, mi irrita nel profondo. Sia il libro che il film mi sono stati inflitti in dosi massicce per tutta l’infanzia e parte dell’adolescenza… oddìo, anche più tardi, se vogliamo, visto che all’Università non ho trovato di meglio che portare a un esame tutto un lungo studio su tattica, strategia e motivazioni politiche nella rivolta in questione…

Comunque, mentre non toccherei volentieri il libro con un palo da barca, non ho sviluppato nessuna avversione al film, anzi. Ho cercato con un certo impegno la scena in cui Lawrence arriva al campo del Principe Feisal ma non ho trovato nulla. Per cui, musica – e tutto sommato ci sono dentro tutti i reggimenti beduini al galoppo, tutte le bandiere al vento e tutti gli assalti che servono. 

Buona domenica a tutti.

Ott 11, 2010 - grillopensante, musica    Commenti disabilitati su Genealogia Ideale

Genealogia Ideale

VitaniMontesanti.jpgMagnifico concerto d’organo sabato pomeriggio a Governolo. Per il secondo appuntamento della rassegna La Voce del Montesanti 2010, l’organista Umberto Forni ha proposto un programma concepito per essere una storia. Una storia a più di un livello: una fetta di storia della musica, una storia dello strumento su cui si eseguiva e uno scorcio di Storia.

“Un viaggio che parte dalle Fiandre e attraversa la Germania per giungere in Italia nell’arco di due secoli”, l’ha definito il maestro Forni.

La partenza era il Fiammingo barocco Sweelinck, nato nei Sessanta del Cinquecento, maestro indiretto del pure barocco Buxtehude, che era sì danese, ma suonava e componeva a Lubecca e influenzò Bach, a sua volta maestro di Kellner. Kellner, nato nel 1736, non era più barocco: fondeva rococo, neoclassicismo e stile galante, scriveva deliziosi piccoli preludi che sembrano usciti da un carillon e corali trattati come arie d’opera… L’anello di congiunzione, nella genealogia ideale di Forni, tra la severità dei nordici e lo stile cantabile degl’Italiani che per generazioni, dal secondo Settecento in poi, scrissero musica sacra nello stesso linguaggio che si usava a teatro: Gherardeschi, Padre Davide da Bergamo, Vincenzo Petrali (che, a quanto pare, incantava chiese intere di amanti della musica per concerti lunghi tre giorni).

Il programma è stato pensato per mettere in risalto tutti i colori e tutti i registri dell’organo Vitani-Montesanti, dalle canne seicentesche del Vitani  (ma pare che tra le altre ce ne sia una quattrocentesca) al Clarone e ai Campanelli, gli ultimi registri previsti dai Montesanti per l’organo quando, prima di essere acquistato da Governolo, si trovava nella Chiesa di Sant’Andrea a Mantova. L’idea di uno strumento che si costruisce per gradi, per strati, per innovazioni e per aggiunte nel corso di tre o quattro secoli è affascinante, così come quella di un concerto mirato a mostrare che cosa succedeva musicalmente mentre lo strumento veniva fatto germogliare su sé stesso – uno di quei cantieri perenni che s’innalzano attraverso le generazioni e i secoli, come le grandi cattedrali medievali, a maggior gloria di Dio, o dell’umano ingegno, o di entrambi.

Concerti come quello di sabato, e strumenti come il Vitani-Montesanti, trasmettono un meraviglioso senso di vitalità e continuità dell’arte. La musica, la storia, il pensiero, la pittura, la scienza sono vivi fintanto che conoscono questo continuo moto di studio, elaborazione e innovazione. La vita è nel movimento, sembrava dire il programma del maestro Forni, e questa musica è viva, con i compositori per mente e cuore, gli organari e gli esecutori per arti, e le idee per circolazione sanguigna.

 

Ott 10, 2010 - cinema, musica    2 Comments

Via Col Vento

Non sono sicura, ma mi pare che sia stato Wilde a dire che una donna è capace di tutto purché abbia lo scenario adatto. Questa donna, francamente, preferirebbe la musica adatta, e quindi ecco a voi il Tema di Tara, da Via Col Vento, perché oltre ad essere la colonna sonora de Il Film, è anche tremendamente adatto, con questo tripudio di sweeping strings, al pomeriggio autunnale.

Fuoco nel camino, libro abbandonato sulla poltrona, tazza di tè, finestra che guarda sul giardino, foglie gialle che turbinano nel vento… musica!

Ho letto da qualche parte che, all’anteprima del film, questa musica non era ancora pronta e il produttore David O. Selznick ripiegò sulla colonna sonora de Il Prigioniero di Zenda (edizione 1937). Fu un trionfo lo stesso, anche perché il libro della Mitchell era popolarissimo, e il film molto atteso – ma mi pungerebbe la curiosità di vederlo con la musica di Newman, quella dell’anteprima, giusto per avere un’idea dell’effetto che doveva fare.

Oh pazienza. E ad ogni modo, domani è un’altro giorno. Per ora, buona domenica a tutti!

Set 12, 2010 - musica    2 Comments

Il Concerto di Aranjuez

Rieccomi a casa, ma ho già nostalgia di Madrid, e allora ho pensato…

 

Paco de Lucia e la Orquesta de Cadoques interpretano il Concierto de Aranjuez, di Joaquìn Rodrigo, creato Marchese dei Giardini di Aranjuez per questa musica. Rodrigo era cieco dall’età di tre anni, ciò che non gli ha impedito di comporre musica, insegnare e avere un’intensa vita artistica. Chiudo annotando che era nato a Sagunto, la città di confine che finì con l’essere il casus belli della II Guerra Punica.

L’ho detto  che ho nostalgia di Madrid?

Buona domenica a tutti!

Set 2, 2010 - musica, teatro    8 Comments

I Promessi Sposi – Opera Moderna

promessi_sposi_2010.jpgIeri sera ho visto la registrazione della prima de I Promessi Sposi – Opera Moderna, andata in scena il 18 giugno scorso a San Siro. Ero curiosa e devo dire che non sono rimasta delusa: sembra che finalmente (con appena qualche decennio di ritardo) anche noi arriviamo all’idea che i grandi romanzi possono essere messi in musica – e lo facciamo in uno stile ricco e vivo, un po’ Lloyd Webber e un po’ Commedia dell’Arte.

Lo spettacolo è molto bello a vedersi, con un assaggio iniziale di teatro-nel-teatro, costumi raffinati, luci suggestive, coreografie piene di espressività ed energia e imponenti scene che ruotano per i cambi a vista, funzionali e belle al tempo stesso (chi ha visto Les Miserables riconoscerà qualche somiglianza). Coro e corpo di ballo sono ottimi ed entusiasti, e gl’interpreti variano dal competente al notevole – con qualche punta d’implausibilità: Don Abbondio echeggia un po’ troppo l’interpretazione di Sordi, Don Rodrigo grida più di quanto canti, Agnese ed Egidio appaiono fuori parte, Lucia paga un po’ l’emozione della prima, l’Innominato è il migliore in scena. La regia è serrata e ricca di belle intuizioni che sfruttano al massimo i vasti mezzi a disposizione. Tornerò sull’inizio metateatrale che presenta i personaggi in uno spaccato di prove, e poi citerò in particolare l’incubo di Don Abbondio, Verrà un giorno e la scena che mescola Addio Monti con la sera al villaggio del Capitolo VII. Qualche piccolo eccesso di zelo pedagogico (Lucia in azzurro pallido – quasi un’Alice lombarda – e l’entusiastico uso della macchina del fumo) e gli occasionali scivoloni (i pipistrelli dell’Innominato) si perdonano volentieri di fronte ai bellissimi quadri d’insieme e alla generale ottima qualità della produzione.

La musica di Pippo Flora è mossa, ariosa, accattivante, un po’ ineguale e ricca di spunti. Puccini, Britten, Bernstein, Lloyd-Webber, l’Opera Buffa e il musical italiano aleggiano in un insieme che mescola canti gregoriani e chitarre elettriche, raggiungendo punte entusiasmanti nelle scene corali e rischiando di sfarsi in banalità sentimental-melodiche in qualcuno degli a solo – in particolar modo quando si tratta di Renzo e di Gertrude. Gli echi pucciniani di Lucia diventano quasi un leit motiv, ma d’altra parte tutti i temi ricorrenti sono davvero ricorrenti, in particolare quello della folla, che ricompare spesso e con poche variazioni. E’ senz’altro un elemento di coesione della partitura, ma sfiora da molto vicino il rischio di diventare ripetitivo.small_180promessisposi.jpg

E adesso veniamo al testo di Guardì, sul quale – you guessed it! – si concentrano le mie perplessità. Per prima cosa, riconosco che non era facile condensare i decenni di lavoro di Don Lisander in un ragionevole numero di versi orecchiabili e scorrevoli. Dal punto di vista drammatico non ho nulla da dire: gli episodi sono ben scelti e con qualche soluzione originale (l’incubo di Don Abbondio, per esempio), il ritmo è buono, la logica narrativa ineccepibile. Detto questo, vorrei avere un centesimo per ogni volta in cui qualcuno dice Amore, Potere, Legge, Diritti e Disperato/a/i/e: non dico la cena, ma di sicuro potrei offrirvi l’aperitivo. Per dare a Lucia una voce semplice senza grossolanità, Manzoni aveva ridotto il vocabolario della fanciulla a poche centinaia di parole; Guardì sembra avere applicato il principio a tutto il suo libretto, con particolare enfasi sulla povera gente oppressa e indifesa, la malvagità congenita del potere e tutto il consueto – e non eccessivamente manzoniano -armamentario. Quando il coro di contadine lombarde si è definito “sempre in cerca di una possibile uguaglianza” ho creduto di slogarmi i bulbi oculari… L’inizio soffre alquanto di questa coloritura politica (perfettamente anacronistica per il Seicento dei personaggi e del tutto fuori registro per Manzoni) e non trae gran giovamento dagl’insistiti riferimenti al nonno Beccaria – poi delitti&pene scompaiono, la politica si stempera un po’ e rimaniamo con il lessico striminzito, le rime ripetitive e un paio di caratterizzazioni sommarie: non mi lamenterò dei morosi eponimi (e ammetto che rendere drammaticamente interessante la povera Lucia è a bit of a feat), ma ho da ridire sull’Agnese solo vagamente imparentata con quella del romanzo e la Gertrude ritratta in un tripudio di forzature sentimentali. Infine ci sono alcune cose lievemente buffe, come l’inno a Milano alla fine del primo atto: capisco l’intento di mostrare la meraviglia del giovane provinciale di fronte alla grande città, ma a furia di ecco Milano, dove la vita ti appartiene, dove tutto è bello, mi aspettavo che saltasse fuori Gaber da un momento all’altro…

i_promessi_sposi_opera_moderna.jpgAd ogni modo, non lasciatevi ingannare dalla mia incontentabilità in fatto di testi: lo spettacolo è visivamente e musicalmente bello, a tratti emozionante, magnificamente prodotto, bene interpretato, e sprizza energia, entusiasmo e qualità. Spero che avvii una stagione nuova e non cocciantiana per il musical italiano.

A proposito, l’unica nota che mi ha davvero infastidita è proprio questa insistenza nel voler definire IPS un’opera moderna – concetto ribadito dall’onnipresente Baudo in una fulminea intervista post spettacolo: “questo è un musical, ma non in senso negativo,” ha detto il Pippo nazionale, come se il musical fosse un sottogenere deviato e leggermente disdicevole, non arte vera e propria. Non da oggi penso che il musical sia l’erede naturale dell’opera lirica ottocentesca: c’è davvero bisogno di essere schizzinosi in proposito?

 

Musiche di Scena

Forse l’ho già detto, forse no – Somnium Hannibalis torna in scena a partire da settembre, e cominciamo con il XV Mercato della Centuriazione Romana di Villadose (RO), grossa e importante duegiorni di rievocazioni storiche, archeologia sperimentale, convegni e manifestazioni.

Anyway: siamo di prove di nuovo, con la complicazione aggiuntiva di un cambio radicale di musiche di scena.

Ora, se un dubbio potevo avere sullo spettacolo, erano proprio le musiche – molto belle, ma forse non del tutto adatte. Chiariamo: considero le “vecchie” musiche molto d’atmosfera e nella mia playlist da scrittura, ma avevano troppa orchestra per l’idea che avevo del mio spettacolo. L’idea, per capirci, era fin dapprincipio quella di una manciata di accenti di percussioni sparsi qua e là per dare rilievo ai punti salienti – e poco di più. Avrei voluto un silenzio desertico rotto da qualcosa a mezza via tra tuoni, tamburi di guerra e pulsazioni cardiache. Avrei voluto che tanto queste percussioni quanto l’eventuale musica fossero confinati ai flashback, per segnare la differenza tra lo spazio della memoria e il tempo presente. Avrei voluto suoni più asciutti, più minimali, più antichi.

Adesso probabilmente verrò accontentata: le nuove musiche di scena accostano gli accenti di percussioni dei miei sogni a non-melodie suonate su strumenti a fiato, con l’occasionale colpo di sistro o rintocco di campana. Aspro. Emozionante. Meraviglioso.

Ed è straordinario come, per il fatto di avere cambiato la musica, lo spettacolo stia assumendo un aspetto diverso. Non una forma diversa – non davvero – ma un’altra consistenza. Non che prima non fosse bello, ma adesso ha un’aria più stilizzata e più realistica insieme. La stessa scena, con un ritmo di sistri e di tamburi al posto di un orchestral sweep, perde un po’ in teatralità, ma diventa… non trovo altra parola: diventa scolpita.

In qualche modo, queste musiche nuove restituiscono allo spettacolo un certo vento secco, un certo sapore di pietre calcinate, sale e polvere, una certa luce solare impietosa, certe ombre corte che sono nel mio romanzo e credevo di avere perso con la riduzione. Invece è tutto ancora lì, ed è stato un piccolo sussulto ritrovare vento, luce e polvere nella prova di stasera. Per esempio:
 http://senzaerroridistumpa.myblog.it/media/01/00/700222508.wma

Evidentemente non ho ancora finito con questo spettacolo e le sue sorprese.

 

Ago 1, 2010 - musica    Commenti disabilitati su Tempo d’Estate

Tempo d’Estate

Se dovessi scegliere cinque minuti in tutto Gershwin, non ho il minimo dubbio: sceglierei Summertime, con quella linea melodica scura, calda e languorosa come una sera estiva… non sembra sempre di sentirci dentro il frinire dei grilli, il profumo del fieno tagliato e il cigolio di un dondolo di legno?

Sì, d’accordo, mi lascio suggestionare dalla musica più facilmente che da altre cose, ma resta il fatto che mi sono imbattuta in questa versione insolita, cantata da Peter Gabriel, e me ne sono innamorata subito:

Provate ad ascoltarla stasera al crepuscolo, oppure a buio appena fatto, con le finestre aperte e l’aria calda sul viso, e poi mi saprete dire. Buona domenica, buon agosto, buon “quel che resta dell’estate”.

 

Giu 20, 2010 - cinema, musica    Commenti disabilitati su Canta Che (Ti) Passa

Canta Che (Ti) Passa

singin_in_the_rain.jpgPioggia, pioggia, nient’altro che pioggia… Mi sembrava appropriato, in osservanza al meteo e alle mie abitudini musicali, postare un videino di Singin’ In The Rain. Non sono sicura che cantando passi, ma se pioggia deve essere, almeno balliamoci il tiptap, giusto?

No, non giusto. YouTube non collabora. Pare che ultimamente inciampi spesso in faccende di diritti, ma chiunque detenga quelli di Cantando Sotto La Pioggia non vuole che la clip sia visibile da SEdS… morale, se volete vedere Gene Kelly che canta e balla sotto la pioggia, dovrete andare qui.

Io intanto spero che smetta di piovere e che si veda qualcosa di simile alla prima estate…

Buona domenica a tutti.