Circa un anno fa, lo sceneggiatore americano Josh Olson* (candidato all’Oscar 2005 per la migliore sceneggiatura non originale, con History of Violence) scrisse un articolo intitolato No, non leggerò il tuo dannato manoscritto, in cui raccontava di non aver potuto rifiutare di leggere la sinossi di una sceneggiatura scritta da un amico di amici (con inclusa richiesta di un parere onesto in proposito), di averlo trovato pietoso, di avere perso una notevole quantità di tempo nel tentativo di formulare con tatto una critica costruttiva – seppur non molto incoraggiante, e di avere avuto, in cambio delle sue pene, un gelido e furioso ringraziamento, male parole dietro le spalle e una rottura con gli amici comuni.
Pubblicato su un seguitissimo blog newyorkese, l’articolo sollevò un polverone, infilando più di mille commenti in pochi giorni, e scatenando un’orgia di post, contropost, interviste, reazioni, video su YouTube** e ogni possibile corollario internettiano: apparentemente tutti avevano qualcosa da dire contro Olson o in suo favore, a sostegno dei suoi tutt’altro che irragionevoli argomenti, o in biasimo alla petulante arroganza con cui li presentava.
A parte un ego grosso come un’anguria, a parte i molti e semi-isterici lai sul fatto che un’amicizia in comune non dava all’aspirante sceneggiatore il diritto di chiedere una cosa simile, a parte una notevole quantità di esagerazioni sul tempo e la sofferenza spesi nella lettura della sinossi***, a parte gli insulti all’aspirante, il punto fondamentale era che un sacco di gente tende a chiedere “pareri” di questo genere come se si trattasse di una cosa da nulla.
Capita abbastanza spesso persino a me – che pure non sono mai stata candidata all’Oscar – e non tanto nella mia qualità di scrittrice, ma come editor. “Ah, è questo che fai? Interessante, perché sai, ho scritto un racconto/romanzo/poema epico in pentametri trocaici/lemma d’enciclopedia sui mustelidi. Mi piacerebbe avere un tuo parere – con tuo comodo, sai, senza nessuna fretta…” E ci mancherebbe anche la fretta! Cribbio: mi conosci da dieci minuti, ho appena finito di spiegarti che leggo manoscritti per mestiere – che la gente mi paga per leggere manoscritti – e mi chiedi una consulenza gratuita? Perché non sto parlando di amici e parenti, ma delle conoscenze casuali o degli amici di amici di amici, cui evidentemente pare che io debba avere vissuto i miei anni in famelica attesa di dare un’occhiatina al loro capolavoro.
Olson, cui fino a questo punto si potrebbe davvero essere tentati di dare ragione, rovina tutto chiedendo enfaticamente se questa stessa gente chiederebbe un parere medico a uno specialista incontrato per caso a una festa. Lasciatemi volare molto più basso con i paragoni: chiedereste a un idraulico incontrato per caso di ripararvi gratuitamente il termosifone della cucina? In tutta probabilità no – e il fatto che un sacco di gente non consideri la scrittura (o l’editing) un vero lavoro non è una scusante: se non altro, un aspirante scrittore dovrebbe rendersene conto.
In realtà io sono molto meno introvabile e molto meno costosa di un idraulico, ma ho sviluppato una tecnica difensiva: di fronte alla proposta, faccio un gran sorriso e snocciolo le mie tariffe. Qualcuno si offende a morte, qualcuno ride e finge con grazia che stessimo scherzando entrambi, qualcuno mi dice “ci penserò”, e poi magari mi commissiona il lavoro per davvero – in ogni caso tende a funzionare.
Olson avrebbe potuto fare qualcosa del genere, invece di pubblicare un articolo livoroso dove tutti potevano vederlo (e ogni anima vagamente connessa con l’ambiente poteva riconoscere l’oggetto della sua ira****), il che toglie un po’ di mordente al fatto che non abbia tutti i torti: uscire dal blu e chiedere un parere professionale a uno sceneggiatore che ha lavorato con Cronenberg è un notevole esercizio di faccia tosta.
E tuttavia…
Siamo sinceri: avere il più labile degli agganci con uno sceneggiatore che ha lavorato con Cronenberg può essere l’occasione della vita. In un mondo trucemente competitivo come quello del cinema (o, for that matter, dell’editoria), chi è davvero disposto a lasciarla passare senza fare nemmeno un tentativo? Qui non stiamo più parlando di estorcere una valutazione gratuita a qualche piccola editor freelance***** ma di mettere il proprio lavoro sotto quelli che potenzialmente sono gli occhi giusti… Rinunciarci sarebbe un po’ meno o un po’ più che umano, giusto?
Però, come dice il giallista Mark Terry in un sensatissimo post di commento al rant di Olson, c’è modo e modo di farlo. Se mi capitasse di allacciare il contatto, non lo getterei al vento con una richiesta inopportuna. Cercherei di coltivarlo, piuttosto, di stabilire qualche tipo di rapporto con lo Scrittore – i mezzi non mancano, e tantomeno nell’Evo di Internet. E badate, forse cercherei anche di stabilirlo senza troppi secondi fini: da un lato, l’idea che uno scrittore, per pubblicato che sia, abbia influenza sulle scelte del suo editore è una specie di mito metropolitano; e d’altra parte, c’è sempre molto da imparare e da osservare, ci sono le idee, gli scambi, lo stimolo intellettuale. Se c’è almeno un po’ di tutto questo è possibile che arrivi anche il resto. Non è detto, ma è decisamente più facile così che affrontare la faccenda ex abrupto: non vorrebbe, senza nessuna particolare ragione, leggere il mio dannato manoscritto?
Vero è che il mondo non è perfetto, che gli scrittori in Italia non fanno più “bottega”, che le probabilità sono sempre minime… però le occasioni capitano. Thomas Hampson dice che le occasioni capitano a chi è preparato a coglierle – e a volte essere preparati significa saperle coltivare con pazienza anziché cercare di afferrarle. Se poi il miracolo avviene e l’occasione si materializza, bisogna essere pronti con il meglio del proprio lavoro, mantenersi lucidi in proposito e accettare con mente aperta e gratitudine (o almeno un convincente sfoggio di entrambe) il verdetto, quale che esso sia.
Inutile cercare agganci e occasioni per prime stesure o progetti allo stato gassoso, inutile offendersi se il parere non è di estatico e cieco entusiasmo: inutile, immaturo e pericoloso. Non si ottiene nulla e, se si è scelta la persona sbagliata, si rischia di finire brutalmente sputtanati su The Village Voice.
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* Da non confondersi assolutamente con l’altrove citato romanziere John Olson – tutt’altra persona.
** Non l’ho mai vista, ma mi si dice che qualcuno abbia realizzato una lettura drammatica dell’articolo. Don’t ask.
***La sinossi di una sceneggiatura non dovrebbe occupare più di una pagina – una facciata, intendo – ed è umanamente difficile impiegare più di dieci minuti per leggerla con tutta l’attenzione. Il che non giustifica di per sé il tizio che ha chiesto a Olson di leggerla, ma impedisce di prendere sul serio Olson che si lamenta per aver dovuto leggere “quella porcheria”.
**** Non so quanto sia aurea la reputazione di Olson a Hollywood, ma se avesse fatto pubblicamente a pezzi la mia sinossi, le mie capacità e il mio carattere a beneficio di tutta l’America, potrei essere portata a un filo di pessimismo a proposito delle mie chances.
*****Da questo punto in poi, potete dimenticarvi il mio lagno sulle occhiatine: passo dalla parte dei sollecitatori.