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Mar 25, 2019 - il Palcoscenico di Carta, Shakespeare, Storia&storie    Commenti disabilitati su Il Palcoscenico di Carta: Coriolano

Il Palcoscenico di Carta: Coriolano

Rieccoci! Dopo essere stati costretti a cancellare Molière lo scorso settembre, torniamo alla ribalta con un titolo dello Shakespeare meno noto: Coriolano.
PdCCoriolanoLocSmall
Attraverso l’ascesa e caduta di un generale abrasivo e provvisto di scarsa pazienza nei confronti della democrazia, l’ultima delle Tragedie Romane esplora temi ancora sorprendente attuali: l’austerità in tempo di crisi, il peso della guerra, i compromessi della politica, la disconnessione tra governanti e governati… il tutto condito con un’abbondanza di battaglie, duelli, intrighi, tradimenti e mamme ingombranti.
Le date sono il 4, 11 e 18 aprile alle ore 18.00, e il luogo è, come di consueto, la nostra beneamata libreria IBS+Libraccio, an n. 50 di Via Verdi.
Se volete leggere con noi, fatevi sentire compilando il form che trovate qui.Vi assegneremo un ruolo e spediremo il testo.
Se invece volete soltanto assistere, tutto quel che dovete fare è unirvi a noi in libreria, a partire da giovedì 4 aprile alle 18.
Vi aspettiamo!
Ott 29, 2018 - anglomaniac, Lunedì del D'Arco, Storia&storie, teatro    Commenti disabilitati su I Lunedì del D’Arco: Puck delle Colline

I Lunedì del D’Arco: Puck delle Colline

LocE questa settimana tocca a me – con Kipling e Puck delle Colline.

Devo dire che a suo tempo – quando si è scelto il tema dei Lunedì 2018, e quando si è deciso che si poteva sconfinare dal territorio delle fiabe strettamente tradizionali – la scelta si è fatta quasi da sé.

Ho un debole per Puck of Pook’s Hill – e per il suo seguito Rewards and Fairies – da quando mi ci sono imbattuta per la prima volta più di vent’anni fa. L’idea di questi due ragazzini che, grazie a un Puck quasi shakespeariano, incontrano una serie di personaggi storici sembra fatta apposta per farmi felice… Sotto certi aspetti rimpiango di non avere scoperto questi libri da ragazzina – ma anche da adulta trovo che siano pieni di cose meravigliose.

Il rapporto fra mito, storia e folklore, il legame fra paesaggio e immaginazione, atmosfera a bizzeffe, una meravigliosa Inghilterra immaginaria, un tocco amarognolo, una spruzzatina di Shakespeare e, soprattutto, una bella riflessione sull’immaginazione umana…

PuckDanUnaVi pare che potessi lasciar perdere l’opportunità di portare tutto questo in scena? Giammai! E così ho scelto le due storie più strettamente fiabesche della prima raccolta – Weland’s Sword e la mia prediletta Dymchurch Flit – e le ho rimescolate in una piccola storia su come le storie nascono, cambiano e non muoiono mai del tutto.

Una fiaba sulle fiabe, se volete.

E a dare voce e vita ai personaggi di Kipling ci saranno i sempre ottimi Alessandra Mattioli, Francesca Campogalliani, Adolfo Vaini e Luca Genovesi – e due giovanissimi allievi della Scuola di Teatro Campogalliani: Mariasole Tartari e Tommaso Dalzoppo.

Poi il Dottor Alberto Romitti di Libera Freudiana Associazione ci condurrà ad esplorare l’elemento onirico di questa e di altre storie.

Che ne dite, vi unite a noi, questa sera? Una volta di più, vi raccomando di arrivare presto – ma presto per davvero, perché i Lunedì sono popolarissimi e il Teatrino si riempie con facilità. Vi ricordo che la serata è gratuita, non serve prenotare – e non è consentito “tenere posti”.

 

 

Set 21, 2018 - elizabethana, Storia&storie    Commenti disabilitati su Ned

Ned

Vi presento Edward “Ned” Alleyn (1566-1626), il grande attore tragico della sua generazione, creatore della maggior parte dei grandi ruoli marloviani.

OldNed

E magari a vederlo così non si direbbe che fosse il primo Tamerlano, il primo Faustus, il primo Ebreo di Malta… Ma il ritratto qui sopra è posteriore: Alleyn si ritirò dalle scene al colmo della sua fama, quando aveva poco più di trent’anni – e poi accumulò una notevole fortuna gestendo teatri, arene per gli orsi e proprietà di varia natura. All’epoca del ritratto era ormai un tranquillo e prospero gentiluomo, che collezionava quadri e libri e meditava di fondare una scuola per fanciulli indigenti. NedStatue

Poi lo fece, in effetti: poiché non aveva figli, tutto il suo considerevole patrimonio andò nella fondazione del God’s Gift College a Dulwich. E vi dirò: la scuola è ancora lì ai nostri giorni – insieme a una galleria con i quadri di Ned, alla maggior parte delle sue carte e alla statua che vedete qui accanto.

Immagino che non vi stupirà scoprire che la scuola (in cui tra molti altri studiò, anche se non felicissimamente, C. W. Hodges) ha una solida tradizione teatrale.

Da attore celeberrimo e scandaloso (non dimentichiamo che, quando vedeva Faustus vendere l’anima, il pubblico elisabettiano medio lo associava con l’attore più che con l’autore…) a filantropo: una di quelle carriere molto elisabettiane, nevvero?

Ma questo è solo un inizio. Credo proprio, o Lettori, che di Ned Alleyn parleremo ancora.

Set 12, 2018 - Storia&storie    Commenti disabilitati su Storia & Storie

Storia & Storie

RoyleTrevor Royle è così perfettamente britannico che non potrebbe esserlo di più. Nato in India, giornalista della BBC e membro della Royal Society di Edimburgo, scrive libri di storia e radiodrammi, indossa giacche di tweed, e ha una di quelle belle voci rotonde, una perfetta Received Pronunciation e un asciuttissimo sense of humour. Non l’ho visto fumare la pipa – ma scommetto che lo fa.

Recentemente ha pubblicato un libro chiamato Culloden – che, a dispetto del titolo, non racconta della battaglia che concluse sanguinosamente la sollevazione giacobita del 1745… o almeno, non solo. O almeno, non nel modo consueto.

Ora, quella del Quarantacinque è la più nota e più romanticizzata* delle Sollevazioni Giacobite – una manciata di tentativi, tra tardo Seicento e Settecento, di rimettere sul trono i defenestrati Stewart. È una storia intricatella anzichenò, piena di episodi burrascosi, atti audaci, occasioni mancate e indicibili stupidità e – come molte faccende di questo genere – nel suo complesso non offre il miglior quadro possibile della natura umana… Si potrebbe dibattere (e in effetti si dibatte da secoli, letteralmente) se gli Stewart fossero criminalmente incauti o sfortunati da non dirsi… Se lo chiedete a me, erano entrambe le cose – e per di più costretti ad appoggiarsi a una base molto divisa in Scozia e un’alleanza molto dubbia in Francia – ma fa lo stesso.

Culloden, dicevamo. Culloden fu La Battaglia, se volete. L’immagine generale è quella di un sacco di gente in kilt e un sacco di gente in giubba rossa – e tutti costoro se le danno di santa ragione – e finisce molto male per quelli in kilt. Il che si chiama semplificare molto le cose, ma non è del tutto inaccurato…

RoyleCullodenEcco, Trevor Royle inorridirebbe, se leggesse l’ultimo paragrafo. Lui ha fatto ricerche molto approfondite in materia, ricostruendo tutte le notevoli complessità del caso, e concentrandosi – per una volta – sul lato governativo della faccenda. Gli uomini del Duca di Cumberland, quelli con la giubba rossa. A qualcuno alla Royal Society pareva bello, dopo duecentosettant’anni e monetina, cominciare a ricordarsi che c’erano anche loro, sul campo di Culloden – e Royle era pienamente d’accordo. Così, libro: la battaglia raccontata dal punto di vista di una manciata di giovani ufficiali governativi, con un’attenzione ai rispettivi background e (per lo più notevoli) carriere successive. L’idea era che a fronteggiare i Giacobiti non c’erano dei villains di cartone – ma uomini con capacità, aspirazioni, idee, convinzioni…

Una buona idea, don’t you think?

Ebbene, il libro si ricerca, si scrive, si pubblica – e Royle non ci pensa più fino al giorno in cui gli capita sotto gli occhi un articolo sullo scrittore che si è messo in un sacco di guai socialmediatici scrivendo su Culloden.

“How very bizarre…” pensa Royle – e legge l’articolo**, e scopre che lo scrittore in questione è… lui! È lui che la sezione scozzese della Rete va furiosamente bollando come revisionista, traditore, hanoveriano e agente del MI6*** – giusto per confinarci a ciò che si può ripetere in polite company.

Morale: Royle esterrefatto, l’editore deliziato dalla pubblicità, il mondo accademico-giornalistico diviso… non tanto su Culloden in sé, quanto sul fatto che, dopo duecentosettant’anni, ammettere la possibilità che il Nemico non fosse un mostro insensato sia materia di furibonda, fiammeggiante polemica.Culloden

Che Culloden, laggiù nel 1745, sia ancora una faccenda personale per un sacco di Scozzesi. E sì, consideriamo pure l’amplificazione e distorsione che tutto avvolge in Rete – ma a quanto pare, una volta che si è messo a cercare, Trevor Royle non ha trovato nulla di troppo diverso in campo analogico.

Il che è una storia interessante. Non necessariamente edificante – ma rivelatrice delle ombre lunghe che la storia passata e la sua narrazione e percezione gettano e seguitano a gettare sui secoli a venire e sull’identità. Sulla presa indistruttibile di certe idee. Sulle difficoltà, le meraviglie, le irragionevolezze e il peso della Storia come elemento della vita quotidiana…

Una piccola storia da raccontare, magari, agli implumi che tornano a scuola oggi – e sono tentati di chiedersi a che cosa serva mai studiare la Storia?

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* È arrivato Outlander in Italia? I romanzi della Gabaldon, sì – ma la serie TV? A ovest della Manica la serie ha portato nuova e travolgente popolarità al Quarantacinque e, mi si dice, un aumento considerevole dei flussi turistici a Culloden…

** No, lo so. Nemmeno io credo fino in fondo al sovrano disprezzo per la Rete e alla completa sorpresa. Dopo tutto, questo è il XXI secolo, giusto? Ma bisogna ammettere che suona bene.

*** “I treasure that one…”

O Forse Non Proprio Glasgow…

GlasgowSkyRieccomi qui! Vi avevo detto Glasgow, giusto?

Invece non era affatto Glasgow, dopo tutto, ma Cumbernauld – villaggio nelle collinosette campagne glasvegiane… E per dire la verità, anche del villaggio ho visto ben poco, quel che si vede di un posto passandoci accanto in taxi, perché i miei tre giorni scozzesi sono stati trascorsi tra seminari, lezioni, dimostrazioni pratiche di armi e costumi d’epoca, dibattiti – e una favolosa cena di gala, con tanto di piper e candelieri d’argento… ammetto che, entrare a cena in processione preceduti dalla cornamusa, è stata un’esperienza da romanzo – storico, of course.

E ho incontrato due agenti – nessuno dei quali rappresenta esattamente il genere di cose che scrivo… e su questo potrei levare un piccolo sospiro, perché nel cercarsi un agente, ci si sente dire di fare i compiti a casa, di cercar di capire che cosa il singolo agente cerca… e io l’avevo fatto, studiando siti web, interviste, twitter… salvo poi scoprire cose che, ad averle sapute prima, mi avrebbero indotta a presentare il mio pitch a qualcun altro. Quindi sì, o Agenti – è giusto che dobbiamo fare qualche sforzo per trovare la persona giusta, ma come possiamo farlo, se quel che si trova in rete è incompleto o addirittura fuorviante?

Ma ciò non toglie che gli agenti in questione, di persona, si siano rivelati persone gentilissime e disponibili, con un sacco di consigli da dare, e di cose molto lusinghiere da dire sulla mia scrittura e sul mio romanzo… Non foss’altro che come paio di opinioni di gente “dell’industria”, come suol dirsi, i due incontri sono stati molto soddisfacenti e utili.

E poi…

GlasgowPrizeE poi, inutile girarci attorno: il punto focale dell’intera faccenda, è stata la Short Story Competition…  Ricordate la storia che non voleva essere scritta? Quella della scadenza rispettata all’ultimissimo minuto utile? Ebbene, la sera prima di partire ho scoperto che la storia in questione era nella terzina finalista della HNS – e non vi dico che soddisfazione sia stata già quella. La HNS è uno dei non tantissimi palcoscenici riservati alla narrativa storica, ed è notoriamente difficile da accontentare. Per cui, quando sabato pomeriggio sono andata alla proclamazione, ero pienamente disposta a considerarmi contenta di un secondo o anche di un terzo posto. Poi Richard Lee, presidente della HNS, dopo avere annunciato la terzina e fatto qualche considerazione sulla qualità molto alta delle storie partecipanti e sulle difficoltà incontrate dalla giuria nello scegliere,  ha chiamato il terzo classificato – e non ero io. Poi ha chiamato il secondo… e nemmeno quello ero io.

“You’ve won! You’ve won!” ha cominciato a strillare Wendy, l’autrice americana che era seduta accanto a me… e non aveva tutti i torti: il racconto vincitore era il mio, The Revolution in Rivabassa.

Dopodiché… il mondo anglosassone è siffatto che ho passato la maggior parte delle ventiquattro ore successive a ricevere le congratulazioni di un sacco di gente – anche gente pubblicata, pubblicatissima e celebre, e agenti letterari, ed esperti americani di marketing letterario… Ecco – ho ricordi molto dorati di questi tre giorni scozzesi.edinburgh-skyline-in-watercolor-splatters-with-clipping-path

Ero ancora molto sulle nuvole domenica pomeriggio, a passeggio per il centro di Edimburgo – e mi è venuto da pensare che a Edimburgo ci ero arrivata per la prima volta ventisei anni fa, scolaretta spedita in Scozia a imparare la lingua, pressoché incapace di mettere insieme due frasi di senso compiuto… È stato bello – e in qualche modo “giusto”, if you see what I mean, venirmene via di nuovo, dopo un quarto di secolo abbondante, con un premio in tasca per una storia scritta in Inglese.

Ago 17, 2018 - grillopensante, Ossessioni, Storia&storie    Commenti disabilitati su Libretti d’Opera e Altri Animali

Libretti d’Opera e Altri Animali

trereÈ capitato che N., entrando nel mio studio ancora immerso nel caos primordiale, si imbattesse nella mia limitata ma amatissima collezioncella di libretti d’opera. Ci son le cose più o meno ovvie, e poi una quarantina di arnesi tra vecchi e antichi, per lo più titoli mai sentiti prima, in un assortimento di letteratura adattata, storia rivista e vincendone fatteapposta – parte faccende ereditarie, parte regali di gente che conosce le mie ossessioni. E imbattendocisi, e meravigliandosi del glee con cui gliene parlavo…

“Ma come?” ha domandato N., levando un sopracciglio. “Tu leggi libretti d’opera? Indipendentemente dalla musica? E ci trovi gusto?”

E la risposta è sì, sì, tre volte sì. Leggo libretti d’opera per diletto, e non so contare le opere di cui ho conosciuto prima il libretto e poi (sempre che sia arrivata affatto) la musica. Per dire, le probabilità che senta mai anche solo una parte dei titoli che compongono la mia Meravigliosa Quarantina sono bassine – ma devo per questo rinunciare a leggere?

“Ma sono bruttarelli!” ha obiettato N., sfogliandone uno a titolo di esempio. “Massacrano letteratura, storia e principi narrativi in versi improbabili e linguaggio surreale!”

Vero, tutto vero – o almeno vero abbastanza spesso, e tuttavia…

E tuttavia è come per certa pittura. Tipo William Shakespeare Burton, che si chiamava così per via del Cigno, ma era un imbrattatele dell’Ottocento inglese – e che M. deve ancora perdonarmi di averle affibbiato nel corso di quel gioco d’argomento artistico che girava su Facebook.* Sono certa che anche M. pensa che The Wounded Cavalier, il quadro più celebre del povero Burton, sia bruttarello, improbabile e surreale. E in tutta probabilità, dannatamente oleografico, per buona misura…

The Wounded Cavalier by William Shakespeare BurtonE sia chiaro: non ha neanche tutti i torti – così come non li ha N. in fatto di libretti, ma il punto si è che né i libretti né The Wounded Cavalier** si apprezzano per il loro valore artistico in assoluto. Il loro fascino risiede nel modo in cui incarnano un’epoca, una mentalità, un modo di romanticizzare la storia… E questo, a mio timido avviso, questo i librettisti e Burton lo fanno alla perfezione. Tanto che al loro tempo godevano di vasto successo senza remore…***

Forse è un discorso più da storici che da appassionati d’arte – e forse ancor più da narratori, ma ci sono un sacco di cose che non considero opere d’arte immortali, ma mi piacciono tanto lo stesso – perché sono altrettante finestre aperte su un’altra epoca, sul suo gusto, sulla sua mentalità e sul suo modo di raccontare.

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* Avete presente? Ci si assegnavano a vicenda dei pittori, e poi si gugolava il proprio per postarne un’opera. Era carino e si facevano scoperte. M. era una giocatrice indefessa, poi è capitato Burton…

** Né, se vogliamo, parecchia narrativa storica ottocentesca… Guerrazzi, anyone? d’Azeglio? Ainsworth? Achard? E potrei andare avanti a lungo… Ma va detto che per tutto un romanzo – magari in più volumi – ci vuole più dedizione alla causa.

*** Ebbene sì, M. Ruskin, for one, lo definì magistrale. Tal dei tempi era il costume…

 

 

 

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Ago 6, 2018 - scrittura, Storia&storie    Commenti disabilitati su Le Ultime Parole Famose

Le Ultime Parole Famose

C’è questo notevole sito di prompts dal nome piuttosto lapalissiano di Writing Prompts, ideato da un insegnante americano. Ce ne sono di varia natura – ma non sarete terribilmente sorpresi nello scoprire che la mia sezione prediletta è quella dedicata alla storia. Un po’ perché non capita tutti i giorni di trovare alcunché del genere, e un po’ perché i prompt sono davvero inconsueti e interessanti.

Date un’occhiata, e vedrete. Intanto ve ne propongo qui uno che mi piace davvero tanto – e che comincia con una citazione da Rumore Bianco, di Don Delillo:

È difficile immaginare che a uomini del genere l’idea della morte mettesse tristezza. Attila morì giovane – poco più di quarant’anni. Si compativa? Si dispiaceva per sé stesso? Si deprimeva? Era il Re degli Unni, l’Invasore d’Europa, il Flagello di Dio… Preferisco pensarlo nella sua tenda, coperto di pellicce – come in un filmone epico a budget internazionale – occupato a dire qualcosa di intrepido e crudele a una piccola folla di ufficiali e servi.

Ed ecco il prompt propriamente detto:

PromptHistoryIT

Storicamente plausibile? Selvaggiamente pindarico? Una forma di What If…? Completo di visite soprannaturali? Non c’è limite alle possibilità, naturalmente.

Giochiamo, o Lettori?

Lug 20, 2018 - grillopensante, romanzo storico, Storia&storie    Commenti disabilitati su Gente Vera E Personaggi

Gente Vera E Personaggi

English: This photograph was taken in Lyon, Fr...In realtà, ormai sono passati anni da quando A. S. Byatt ha dichiarato che piazzare in un romanzo gente vera – viva o morta – è riprovevole e pericoloso.

“Proprio non mi piace l’idea di basare un personaggio su qualcuno,” disse nel 2009 in un’intervista in occasione della sua candidatura al Man Booker Prize. “È come appropriarsi della vita e della privacy altrui. Inventarsi qualcun altro è un po’ come usargli violenza.”

E procedeva spiegando come conoscesse casi di gente giunta al suicidio per essersi “ritrovata” in un romanzo, e come lei per prima cercasse di parlare di sé il meno possibile con certi colleghi romanzieri, sempre così interessati a quel che si ha da dire…

Ecco, io la Byatt la ammiro molto, ho letto diverse cose sue e mi piacciono davvero tanto – ma questa sua boutade mi ha lasciata davvero perplessa.

Potremmo cominciare col dire che lei per prima ha basato parecchi personaggi su “qualcuno”. In Possession, per dire, può darsi che Ash sia una commistione tra Browning e Tennyson, ma nessuno mi toglierà di mente che Christabel sia Christina Rossetti in diguise. Per non parlare di The Biographer’s Tale, i cui ritratti di Ibsen, Galton e Linneo fanno abbastanza a pugni con il veemente attacco contro quegli scrittori che “mescolano realtà e finzione.” Entrambi libri vecchi di uno o due decenni, nel 2009, questo è vero – peccato che nel suo titolo candidato al Booker di quell’anno, The Children’s Book, apparisse gente come Oscar Wilde o Rupert Brooke… cui però, a suo dire, non aveva messo in bocca nulla d’inventato…

hilary_mantel_preferred_1_june_2016_credit_anita_corbin-399x600Mah. Sarà stato per questo che più di un giornale, all’epoca, vide in tutta la faccenda un attacco, nemmeno troppo velato, contro la sua rivale per il Booker, la romanziera storica Hilary Mantel – che, guarda caso, le soffiò la vittoria…

Ma in fondo non è questo il punto. Da nessuna parte è scritto che le grandi scrittrici debbano essere sempre sensate ed obbiettive, giusto? Il punto è che, se la signora Byatt avesse ragione, i romanzieri storici si ritroverebbero il campo severamente limitato. Perché se è vero che si può sempre lavorare sulla gente fittizia sullo sfondo di fatti veri, è vero anche che parte del fascino del genere consiste nella possibilità di indagare la mente, la mentalità, le motivazioni e le idee di quei personaggi che la storia l’hanno forgiata.

Ho fatto qualche tipo di violenza ad Annibale e all’Ammirabile Critonio, cercando d’intessere una personalità attorno all’ossatura nuda dei documenti (pochini) che sono arrivati fino a noi? Ho mancato loro di rispetto, nel cercare di leggerli attraverso i secoli? Se sì, è un crimine che mi ritrova in buona compagnia. Provate a immaginare il genere senza nessun personaggio storico… non resta granché, temo. histnov

E poi, non si tratta soltanto del romanzo storico – anzi. A voler essere cinici, i romanzi storici sono proprio il problema minore, perché se non altro nessuno ci si suiciderà sopra. Ma tutto il resto? Tutti gli altri? Tutti i parenti, genitori, coniugi, amici, insegnanti, colleghi, nemici, conoscenti, contatti occasionali degli scrittori, quelli che sono serviti ad alimentare millenni di narrativa? Perché se è vero che nessuno scrive a prescindere da se stesso, lo è altrettanto che nessuno scrive a prescindere da chi gli sta attorno. Magari non saranno sempre ritratti dal vivo, magari si tende a combinare più persone in un personaggio, ma chi non ha mai, mai, mai basato almeno in buona parte un personaggio su una persona vera alzi la mano – e non si aspetti di essere creduto.

Non ho usato il verbo “alimentare” a caso: la letteratura si nutre di gente, almeno tanto quanto la gente consuma letteratura. E gli scrittori sono, alla fine fine, un genere ragionevolmente incruento di vampiri. Ragionevolmente incruento, ma vorace. E se, in linea generale, non compiono sacrifici umani, è pur vero che talvolta scrivere anestetizza un tantino la coscienza, e poi esistono cose come gli incidenti, le vendette, i danni collaterali e gli effetti preterintenzionali…

Il che mi fa ricordare la polemica della signora inglese che, qualche anno fa, scrisse alla HNR lamentandosi di come una romanziera avesse romanzato i suoi antenati. E mi fa ricordare Charlotte Brontë, maestra nel farsi nemici e offendere amici nella sua ansia creativa. E mi fa ricordare la spiritista tedesca secondo cui i morti fanno il diavolo a quattro per dettare le loro storie ai romanzieri storici. E mi fa ricordare C. che, una volta in cui ci scambiavamo confidenze, si bloccò e mi chiese se la stessi studiando per scriverla…

Perché il fatto è, o Lettori: se non basiamo i nostri personaggio su qualcuno, di chi – di che scriveremo?

 

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Lug 6, 2018 - romanzo storico, Storia&storie, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Facce

Facce

FacesMi è stato fatto notare che il mio romanzo in corso ha un sacco di personaggi, e che la caratterizzazione diventa sempre meno dettagliata e vivida mano a mano che ci si allontana dal centro – ovvero dal protagonista.

“Il che è anche normale,” mi si è detto, “ma c’è una certa quantità di gente, né protagonisti né comparse – e questa gente è un pochino generica.”

E a dire la verità è un dubbio/timore che nutrivo già – ma speravo, in quella maniera vaga in cui si sperano queste cose, che non si notasse troppo. Invece, a quanto pare, si nota, e quindi occorre riparare in qualche modo.  In particolare, mi ritrovo con due compagnie di attori da… ravvivare. Well, due compagnie e mezzo – o una compagnia e mezzo, se volete. O forse piuttosto una compagnia, più una compagnia, più qualche altro di contorno… Ah well, never mind. Le vicende, fusioni e passaggi delle compagnie elisabettiane costituiscono una storia intricata e tutt’altro che certa – ma questa gente è tutta storica. Di qualcuno sappiamo di più, di qualcuno sappiamo di meno o quasi nulla, ma tutti costoro sono esistiti.

VoiceChartNon che questo sia terribilmente importante ai fini pratici – se non per l’occasionale aneddoto che mette in luce un temperamento, oppure per una provenienza regionale che può influire su vocabolario e speech patterns per creare una voce individuale. E proprio da questo ho iniziato, preparandomi una tabella in cui riassumo tipo di voce e idiotismi per ciascuno di costoro. Dopo tutto sono attori, e il modo in cui parlano e usano la voce è rilevante, giusto? Anche solo la differenza tra una stage-voice e la voce normale è un tratto di caratterizzazione.

Nondimeno, la gente non è solo voce, e quindi ho aggiunto alla tabella una colonna per l’aspetto fisico e una per maniere, modo di muoversi e cose del genere. E non dovete pensare che non ci fosse nulla di tutto ciò finora: nel compilare la tabella mi sono consolata nel notare che in realtà alcuni degli attori sono ragionevolmente completi come sono – altri sono abbozzati in maniere promettenti, e qualcuno è curiosamente blando. Ed è in particolare su questi ultimi che sto lavorando.Faces3

E però mi accorgo che anche i più dettagliati sono un po’ vaghi quando veniamo a parlare di aspetto fisico. Non c’è nulla da fare, non sono una persona visiva e non sono fisionomista – il che si traduce in figuracce terribili nella vita quotidiana, e in una banda di attori senza volto nel romanzo. O non proprio senza volto – ma… hanno voci, maniere, predilezioni, movenze, ma non si vedono in faccia.

E così adesso credo che mi metterò al lavoro con Google Images e Pinterest, e metterò insieme una gallerietta di facce per i miei attori – ritratti, teatro, cinema, rievocazioni, whatnot – e vedremo che cosa salta fuori. È un metodo che ho utilizzato ancora, e so che funziona, e quindi perché non mi sia passato per il capino di farlo finora non saprei dire – ma tant’è.

Forse perché GI e Pinterest sono luoghi pericolosissimi, dove si sa quando si entra, ma non quando si esce, né dove si va a finire? Può essere, oh, può essere…

Ah well, se non ricompaio, sapete dove venire a cercarmi.

Lug 4, 2018 - Storia&storie    Commenti disabilitati su Napoleone e il Parroco

Napoleone e il Parroco

Nap3Qualche anno fa mi capitò l’occasione di consultare e trascrivere dei registri parrocchiali di fine Settecento, in un villaggio qui vicino. Ero a caccia di informazioni dirette sul passaggio delle truppe napoleoniche dalle mie parti tra il 1796 e il 1797 – e, mentre la maggior parte dei parroci tagliò l’angolo all’arrivo dei Francesi, finii col trovar traccia di uno che non l’aveva fatto.

Nap2Don Francesco Doni non solo rimase bravamente nella sua parrocchia, ma annotò quel che accadeva nei suoi registri, tra una nascita, un matrimonio e un funerale: annotazioni, segnate da frettolose manicule,  e scritte in un curioso miscuglio di Latino ecclesiastico e quelli che dovevano essere ricordi degli studi classici di Don Doni*. La scrittura era scolorita e sbavata qua e là – grazie alla qualità dell’inchiostro e al clima men che asciutto delle mie parti – ma ancora ragionevolmente leggibile. NapArcole

E così lessi dell’attesa trepidante, dello stillicidio di notizie sull’avanzata inarrestabile dei Francesi – preceduti da una nomea di saccheggiatori violenti e miscredenti che spinse parroco e parrocchiani a tentar di proteggere il poco argento della piccola parrocchia. Nel villaggio, come altrove, ci si affrettò a redigere nuovi inventari che attribuivano a privati la proprietà di oggetti preziosi e opere d’arte – misura ingenua e destinata a rivelarsi del tutto inutile. Tale era la paura che, quando una ragazza diciassettenne del villaggio morì di malattia, la si seppellì in gran fretta e senza cerimonie… a quel punto i Francesi erano vicini: stavano assediando Mantova, a una decina di chilometri appena.

La grafia e le manicule di Don Doni segnavano un’agitazione crescente, man mano che gli invasori si avvicinavano. Alla fine arrivarono, e alcuni furono alloggiati nel villaggio. Ci scappò anche il morto – un cinquantenne locale che riuscì a litigare con i soldati per motivi sconosciuti, e ne ebbe tre colpi di sciabola (ensis, nell’aulica e precisa descrizione di Don Doni) in faccia, morendo dopo quattordici ore di dolorosa agonia.

NapReddition_de_MantoueMa quel che davverò abbatté il parroco, se dobbiamo fidarci della sua grafia viepiù disordinata e del linguaggio drammatico, fu la caduta di Mantova, nel febbraio del 1797, dopo mesi di battaglie e vani tentativi di rompere l’assedio. Alla fine gli Austriaci si ritirarono e i Francesi, che avevano lasciato il villaggio qualche settimana prima, tornarono e requisirono l’argento. Don Doni allegò al registro il breve inventario e un verbale in Italiano – notevolmente acido sul rifiuto dei Francesi di firmare una ricevuta. Nap1

Una piccola storia, alla fine – e senza la minima traccia della battaglia nel mio villaggio che stavo cercando di documentare… Eppure c’era un che di toccante nella prosa latina di Don Doni, viepiù colorita con l’incalzare degli eventi. Nel trovare in quelle piccole annotazioni la paura del parroco, la sua indignazione, il suo rancore e la sua afflizione. Per quanto ne so, dopo la caduta di Mantova se ne tornò a segnare nei registri nascite, morti e matrimoni e nient’altro. Forse la calata dei Francesi fu il solo momento della sua vita in cui Don Francesco Doni si sentì passare accanto la storia – e le sue annotazioni ne restituiscono un resoconto molto vivido.

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* No, non c’è modo di scriverlo senza che sia lievemente buffo – per cui…

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