Apr 5, 2010 - grillopensante    Commenti disabilitati su Creatività E Altre Faccende Amene

Creatività E Altre Faccende Amene

Forse è un filino bizzarro, ma quando mi è stato chiesto di raccontare in una forma qualsiasi il mio rapporto con la creatività… be’, per prima cosa ho fatto il genere di smorfia che si fa nel mordere una fetta di limone: “creatività” è una parola che mi piace fino a un certo punto. Mi sembra un po’ uno di quei porte-manteau tra l’altisonante e il sentimentale che si usano per dire tutto e nulla in particolare. Ad ogni modo, non divaghiamo: quando mi è stato chiesto di parlarne, invece di scrivere qualcosa ho messo insieme questo piccolo video:

 

Sì, lo so: l’audio potrebbe essere migliore, ma l’arnese è stato prodotto in tempi disperatamente brevi, e con mezzi limitati. Figuratevi che ho registrato tutto con il microfono della webcam… avete il permesso di sghignazzare ad libitum. Per di più, non lo considererei una trattazione esauriente del tema: solo una rappresentazione di un aspetto del processo creativo, l’eterna insoddisfazione che ci si accompagna. In fondo, perché l’Essere Umano crea, se non per procurarsi qualcosa che non c’è?

Apr 4, 2010 - musica    Commenti disabilitati su Buona Pasqua!

Buona Pasqua!

Da Cavalleria Rusticana, il meraviglioso “Inneggiamo Al Signor”, cantato da Fiorenza Cossotto a Tokio, nel 1976.

Una serena e felice Pasqua a tutti.

Apr 1, 2010 - scribblemania    3 Comments

Animale, vegetale o minerale? [con comunicazione in coda]

Per me le storie sono vegetali: nascono da un seme, fanno talea, mettono radici, sviluppano tralci.

No, non davvero, ma mi accorgo che, per descrivere il loro funzionamento, tendo ad usare immagini vegetali.

Il seme è quella prima immagine, scena o battuta di dialogo, quel primo lato del carattere di un personaggio, o quella prima impressione di un periodo storico che mi fa dire “sì, voglio scrivere di questo!”

Il seme di Somnium Hannibalis è in Tito Livio, la scena in cui Maarbale esorta Annibale ad attaccare direttamente Roma, sull’onda della vittoria di Canne. Annibale dice di no, e Maarbale commenta che Nimini dii nimirum dederunt, ovvero “a nessuno gli dei hanno dato troppo”, perché Annibale sa vincere le battaglie come nessun altro, ma poi non sa sfruttare le sue vittorie. Era un seme potente: dopo vent’anni continua a dare germogli nuovi.

Il seme del romanzo turco-bizantino è stato piantato in un’aula universitaria, ascoltando la storia delle navi fatte passare nel Corno d’Oro per via di terra e, ancor più, dei difensori che una mattina, all’alba, hanno cominciato a intravvedere nella nebbia delle sagome di navi là dove non dovevano, non potevano essere… In realtà non credo più che la scoperta sia stata così repentina, ma l’idea continua a mettere fronde anche adesso che non intendo più scriverla nella sua forma originaria. Un po’ come un albero cavo, immagino.

Ma non sempre le idee nascono così compatte. A volte, invece di un seme formato, c’è un pezzettino vegetale, o un tralcio di qualche tipo: interessante ma assolutamente privo di forma, e per nulla pronto. Per esempio, prima di cominciare Lo Specchio Convesso, sapevo di voler scrivere qualcosa sull’inafferrabilità della storia, ma è stato solo quando mi sono imbattuta nelle versioni contrastanti della vicenda dell’Ammirabile Critonio che l’idea ha preso forma. Ma ancora non era pronta, e così l’ho rimessa a fare talea: c’è voluto che m’imbattessi in Sir Thomas e in William Ainsworth e nei rispettivi libri perché vedessi la possibilità del meccanismo narrativo su diversi piani temporali. Certe idee sono così: incomplete e promettenti, perennemente a bagno. Ogni tanto riaffiorano con una radichetta nuova, poi un’altra, un’altra, e poi una fogliolina, e via così, fino a quando sono pronte per essere scritte.

Altre ancora vengono trapiantate da un periodo all’altro fino a quando non trovano il terreno giusto. Prima di decidermi ad ambientare il romanzo storico fittizio de Gl’Insorti di Strada Nuova a Pavia nel 1848, ho considerato almeno tre epoche diverse.

Il che è anche un esempio di come le idee si possano innestare su – o ibridare con – altre idee. Confession time: avevo un certo numero di periodi storici in cui mi sarebbe piaciuto ambientare una storia, ma non avevo voglia di fare lunghe ricerche in proposito. Lo sfondo di Strada Nuova, che emerge solo a tratti, mi consentiva di fare proprio questo: scrivere dei pezzi di romanzo, lasciando in ombra tutto quello che non sapevo e non ero disposta a ricercare. In un certo senso si potrebbe dire che ho barato? Forse, ma non più di quanto bari lo scenografo che dipinge le sue quinte e costruisce i suoi fondali, mostrando solo ciò che serve in funzione dello spettacolo.

A parte il caso specifico, anyway, ho scoperto che vale sempre la pena di dare più di una possibilità a un’idea. Quando abitavo a Londra, avevo un bonsai di nome Lemuel. Ho impiegato settimane e settimane di tentativi e spostamenti a capire che Lemuel prosperava in uno specifico angolino della mensola sopra l’ex caminetto della mia stanza. Può funzionare così anche con le storie: vale sempre la pena di sperimentare, e non è raro imbattersi in uno di quei gloriosi momenti in cui un concetto rinasce a nuova e più vibrante vita per innesto o per spostamento.

E poi le storie si potano… oh, se si potano! Chiunque abbia mai revisionato o riscritto qualcosa sa quanto il processo possa essere truculento. E produttivo, a patto di non lasciarsi prendere la mano con le cesoie. Un altro genere di potatura è quando si ha una storia di 2216 parole, e la si vuole proprio mandare a quel concorso per racconti sotto le 2000. Questo è un lavoro di forbicine: via un aggettivo qua, zac! un avverbio là, questo inciso non è importante, quel periodo si può condensare. Il bello di questo esercizio è che obbliga a considerare davverola rilevanza di ogni singola parola, e non è raro che, alla fine, il racconto potato sia migliore della versione originale, più nitido, più terso, più efficace, fatto solo di elementi importanti.

Potrei proseguire a lungo con le immagini vegetali, ed è curioso, se penso a quanto sono negata con le piante, che consideri la mia scrittura come un genere di giardinaggio. Non tutti i giorni, magari: mi capita di vederla come una forma di gioielleria, e una volta ho scritto un racconto dal punto di vista del racconto stesso. Si direbbe che ci siano tutti: animali, vegetali e minerali.

E voi, che tipo di imagery associate alla vostra scrittura o a qualunque altra passione coltiviate?

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Comunicazione di servizio – non pesce d’aprile: poco fa, l’Antivirus mi ha annunciato la presenza di una minaccia. Ho dato istruzioni di reagire, ma poi mi è comparsa una schermatina strana, ostensibilmente un wizard per l’installazione di Adobe Shockwave Player, con Norton Security Scan gratuito compreso… Sarò diffidente, ma non mi piace nemmeno un po’ che non ci sia modo di annullare o chiudere la faccenda. Per cui ho fatto un backup, ho postato il post qui sopra, e adesso mi accingo a spegnere il computer. L’ultima volta che è successa una cosa del genere, sono rimasta senza computer per più di un mese. Se, a partire da domani, dovessi scomparire per un numero qualsiasi di giorni, sapete il perché. (E, by the same token, se accade, diffidate dei wizard fasulli di Adobe!)

Mar 30, 2010 - pennivendolerie    3 Comments

Il mio nuovo sito

A quanto pare, dopo tutto, ce l’ho fatta!

Il mio nuovo sito è online, qui.

Ci sono dei colori inattesi, delle  informazioni sulla sottoscritta, su libri, romanzi, racconti, teatro, progetti vari, sulla mia attività di editor e un certo numero di altre cose. E c’è un pizzico di nonsense, anche… Non so come troverete i bottoni, ma non mi sono tenuta. Qualcuno ha presente le fontane del Mirabell Garten a Salisburgo? Ecco, una cosa così.

Sappiatemi dire che cosa ve ne pare, volete?

Il Premio Strega Che Non Ti Aspetti

I non Mantovani non sapranno chi era Monsignor Trazzi, ma credo che non ce ne sia bisogno per sobbalzare come ho fatto io quando oggi mi sono sentita dire, in tutta serietà, che…

“Monsignor Trazzi? Ma cavolo, non lo sa? E’ quello che ha vinto il Premio Strega traducendo la Divina Commedia dal Latino!”

Non credo di essere riuscita a nascondere del tutto il mio trasalimento, perché l’Anima Candida mi ha guardata con una certa ferocia.

“Ha poco da ridere! Crede che sia stata un’impresa da poco tradurre la Divina Commedia dal Latino?”

Non so che cosa avreste fatto al mio posto. Io ho abbassato umilmente il capino e, in tutta contrizione, ho ammesso che, in effetti, non è impresa da tutti.

“Credo che nessuno ci avesse mai nemmeno provato…” ho tubato.

E l’Anima Candida se n’è andata, vittoriosa e soddisfatta. Eh.

Mar 28, 2010 - cinema, musica    2 Comments

Good Morning!

Posso confessare che Cantando Sotto la Pioggia è uno dei miei film preferiti? Voglio dire, metacinema sui primi albori dei talkies! Peccato che manchi il seguito, la strepitosa scena in cui Donald O’Connor/Cosmo inventa il doppiaggio… La qualità del video non è precisamente fenomenale, ma si dovrebbe poter apprezzare lo stesso.

 

Buona domenica!

Mar 27, 2010 - musica, Oggi Tecnica, scrittura    Commenti disabilitati su Duetti & Subtesto

Duetti & Subtesto

Facendo seguito a questo post, ecco qui il Capitolo XIX dei Promessi Sposi in tutta la sua gloria. Notate il crescendo di minacce velate – velatissime! – del Conte Zio, la quantità industriale di puntini di sospensione, il modo in cui le cose non dette, ma implicate, pesano quanto le parole vere e proprie. D’altra parte, notate gli a parte del Padre Provinciale, la sua consapevolezza amarognola, il suo fine sarcasmo qua e là (quel “Cospicue!”, e il commento finale sulla bontà della famiglia): tanto subtesto da costruirci un auditorium!

Eppoi, ecco Re Filippo e il Grande Inquisitore (cieco nonagenario), in altrettanto splendore. Francamente, Furlanetto/Salminnen non è la prima  distribuzione dei miei sogni, ma è comunque ottima, e la messa in scena molto buona. Per chi volesse fare confronti, di quest’altra versione con Ghiaurov e Raimondi c’è solo l’audio.

Qui c’è il libretto, che rispetto a Schiller condensa e semplifica assai (e infila qualcuna di quelle perle librettesche, tipo armossi contro il padre), ma combinato alla musica diventa pretty powerful stuff. Notate che per quanto riguarda Carletto, il Re cerca delle rassicurazioni morali e personali, mentre quando si arriva al Marchese si oppone nettamente su basi più sentimentali. In entrambi i casi, l’Inquisitore (c.n.) asfalta scrupoli e obiezioni con la logica corazzata e tetragona al dubbio di una panzerdivision. Notate anche qui l’uso della minaccia, il tentativo di riconciliazione finale di Filippo, il modo in cui il Re viene lasciato in sospeso (Forse!), e la sua amarissima conclusione. Notate tutto ciò in musica, perché qui il subtesto è per lo più affidato alle note. Meravigliose note…

IL CONTE Dl LERMA
Il Grande Inquisitor!

L’INQUISITORE
Son io dinanzi al Re…?

FILIPPO
Si; vi feci chiamar, mio padre!
In dubbio io son,
Carlo mi colma il cor
d’una tristezza amara.
L’infante è a me ribelle,
Armossi contro il padre.

L’INQUISITORE
Qual mezzo per punir scegli tu?

FILIPPO
Mezzo estremo.

L’INQUISITORE
Noto mi sial

FILIPPO
Che fugga… che la scure…

L’INQUISITORE
Ebbene?

FILIPPO
Se il figlio a morte invio,
M’assolve la tua mano?

L’INQUISITORE
La pace dell’impero i di val d’un ribelle,

FILIPPO
Posso il figlio immolar al mondo
io cristian?

L’INQUISITORE
Per riscattarci Iddio il suo sacrificò.

FILIPPO
Ma tu puoi dar vigor a legge si severa?

L’INQUISITORE
Ovunque avrà vigor,
se sul Calvario l’ebbe.

FILIPPO
La natura,
l’amor tacer potranno in me?

L’INQUISITORE
Tutto tacer dovrà per esaltar la fè.

FILIPPO
Stà ben.

L’INQUISITORE
Non vuol il Re su d’altro interrogarmi?

FILIPPO
No.

L’INQUISITORE
Allor son io che a voi parlerò, Sire.
Nell’ispano suol mai l’eresia dominò,
Ma v’ha chi vuol minar
l’edificio divin;
L’amico egli è del Re, il suo fedel compagno,
Il demon tentator che lo spinge a rovina.
Di Carlo il tradimento che giunse a t’irritar
In paragon del suo futile gioco appar.
Ed io, l’inquisitor,
io che levai sovente
Sopra orde vil di rei la mano mia possente,
Pei grandi di quaggiù, scordando la mia fè,
Tranquilli lascio andar un gran ribelle…
e il Re.

FILIPPO
Per traversare i di dolenti in cui viviamo
Nella mia Corte invan cercato
ho quel che bramo,
Un uomo! Un cor leale! Io lo trovai!

L’INQUISITORE
Perchè un uomo?
Perché allor il nome hai tu di Re,
Sire, se alcun v’ha pari a te?

FILIPPO
Non più, frate!

L’INQUISITORE
Le idee del novator in te son penetrate!
Infrangere tu vuoi con la tara debol man
Il santo giogo, esteso sovra l’orbe roman…!
Ritorna al tuo dover;
La Chiesa all’uom che spera,
A chi si pente,
Puote offrir la venia intera;
A te chiedo il signor di Posa.

FILIPPO
No, giammai!

L’INQUISITORE
O Re, se non foss’io con te nel reggio ostel
Oggi stesso, lo giuro a Dio,
Doman saresti presso il Grande Inquisitor
Al tribunal supremo.

FILIPPO
Frate!
troppo soffrii il tuo parlar crudel!

L’INQUISITORE
Perché evocar allor l’ombra di Samuel?
Dato ho finor due Regi
al regno tuo possente…!
L’opra di tanti di tu vuoi strugger, demente!
Perchè mi trovo io qui?
Che vuol il Re da me?

(Per uscire)

FILIPPO
Mio padre, che tra noi la pace alberghi ancor

L’INQUISITORE
La pace?

FILIPPO
Obliar tu dei quel ch’è passato.

L’INQUISITORE
Forse!

(Esce)

FILIPPO
(Solo)
Dunque il trono
piegar dovrà sempre all’altare!

Mar 25, 2010 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Promessi Sposi, Capitolo XIX

Promessi Sposi, Capitolo XIX

Oggi XIX capitolo dei Promessi Sposi alla UTE, ultimo per questo Anno Accademico.

Il Capitolo XIX è quello del match Conte Zio – Padre Provinciale dei Cappuccini, ed è una vera e propria gemma, di quelle cose che da sole valgono il prezzo del libro, di quei dialoghi che, per sottigliezza delle intenzioni, tridimensionalità della caratterizzazione e raffinata ironia, mutano momentaneamente ogni altro scrittore in un mostro dagli occhi verdi.

Cominciamo col dire che, quasi tre mesi e tredici capitoli fa, avevamo assistito a qualcosa di simile al palazzotto, tra Don Rodrigo e Fra Cristoforo, ovvero i due diretti interessati. E’ sempre di loro che si parla anche nel palazzo milanese dello zio: in pratica, lo stesso scontro elevato a potenza e condotto a un livello abissalmente diverso. Qualcosa come la differenza tra una rissa in piazza e l’alta politica.

Possiamo dimenticare (anzi, faremo bene a ricordare per amor del contrasto) il sarcasmo rabbioso, le insinuazioni grossolane e le minacce scoperte di Don Rodrigo, come pure la faticosissima umiltà e lo spirto guerrier di Fra Cristoforo. Qui siamo su un altro pianeta: dopo un pranzo di commensali titolati e un sacco di conversazione sulle aderenze della famiglia a Madrid, il Conte Zio fa professioni di amicizia verso l’Ordine Cappuccino in generale e il Padre Reverendissimo in particolare, finge di voler rendere un buon servigio, insinua che il padre Cristoforo debba essere un continuo grattacapo per i suoi stessi superiori…

Il Provinciale non ci casca, e difende la reputazione del suo sottoposto, ma vede addensarsi la tempesta… e non ha torto: per prima, il Conte Zio gioca la carta della sovversione, dipingendo il povero Renzo come un arruffapopoli della peggior specie, e il padre Cristoforo come un connivente. D’altra parte, con quel po’ po’ di precedenti che ha lui stesso…

Il Provinciale para di nuovo la botta: Sua Magnificenza deve pur sapere che a) l’Ordine ha per missione di recuperare i traviati, e b) la vocazione religiosa offre riscatto dal passato, del che Fra Cristoforo è la prova vivente. Il Conte Zio deve allora ricorrere al secondo argomento, rivelando (come se proprio ci si costringesse a malincuore) che tra il frate e Don Rodrigo c’è qualche ruggine. Nessun riferimento a Lucia, o anche solo alla natura della ruggine stessa, per carità. Lo zio, assai più scaltro del nipote, dipinge la faccenda come una questione di puntiglio, scusabile in un giovane nobiluomo scapestrato, ma del tutto fuori posto per un Cappuccino.

Il Provinciale resta sulle sue, avanza cauti dubbi, promette indagini, ma sa già dove vuole andare a parare il suo avversario. E infatti, puntualmente, il Conte Zio si scopre giusto quanto basta: indagini e dubbi? Ma perché mai il Reverendissimo Padre vuole andare a sollevare un vespaio? Perché non possono accomodare la questione tra loro due, senza che degeneri in zuffe, ritorsioni e scandali?

La minaccia è sottile, ma inequivocabile. E’ sicuro che l’Ordine saprebbe difendersi in un confronto, ma ne vale davvero la pena? Non è meglio per tutti tacitare il subbuglio cercando di salvare tutte le capre e tutti i cavoli possibili? Guarda caso, a Rimini vogliono un predicatore per la quaresima, e il padre Cristoforo è proprio quello che ci vuole. “Molto a proposito,” approva il Conte Zio. “E… quando?”

Il Provinciale prova a nicchiare, a prender tempo, a negoziare qualche forma di rispetto che Don Rodrigo paghi all’Ordine, per salvaguardare la dignità dell’abito… Il Conte Zio a questo punto potrebbe anche mostrarsi generoso, ma non lo fa: invece si limita a qualche promessa che più vaga non si potrebbe, e a cedere il passo alla porta. “Conosciamo per prova la bontà della famiglia,” replica amaramente il Padre Provinciale, di fronte all’ennesima promessa vuota di amicizia, di assistenza, di qualsiasi cosa…

Chiaramente, Conte Zio – Padre Provinciale è finita 2- 0.

Niente “verrà un giorno”, niente alterchi, niente vecchi servitori impauriti, niente cappa e spada: solo due canizie, due esperienze, dice Don Lisander, e la canizie laica ha vinto alla grande: con un pranzo e qualche parola, ha spedito Fra Cristoforo a piedi da Pescarenico a Rimini.

Non posso fare a meno di accostare questo dialogo a qualcosa d’altro: il grandioso, corrusco, feroce duetto tra Re Filippo e il Grande Inquisitore (cieco nonagenario) del Don Carlo/Don Carlos di Verdi. L’atmosfera è tutt’altra, molto più cupa e più fatale, (e d’altronde in gioco non c’è il trasferimento di un frate, ma la vita e la morte di due uomini, nonché tutto un sistema di pensiero e il destino di un impero) ma la struttura è poi la stessa: potere temporale e potere religioso che si affrontano. Però nel caso di Verdi/Schiller è il Grande Inquisitore (c.n.) a spingere il suo avversario nell’angolo a implacabili colpi di logica e di dogma. Re Filippo resiste invano. Prima della fine si farà imporre la condanna a morte di non uno, ma due figli: quello di sangue e quello del cuore. “Dunque il trono piegar dovrà sempre all’altare!” conclude amarissimamente il Re.

A quanto pare, non sempre. O, almeno, non nel Seicento milanese di Manzoni, dove l’altare, per evitare guai, piega non di fronte al trono, ma a una corona comitale bene introdotta a Madrid.

Mar 24, 2010 - tecnologia    Commenti disabilitati su Disperazione Informatica

Disperazione Informatica

Buona notizia: c’è un sito nuovo in arrivo.

Cattiva notizia: credevo che fosse questione di un giorno o due, ma adesso non sono più sicurissima. Spiego. Sono informatically challenged, e non è una novità. Per cui, tra il momento in cui ho cominciato a lavorare al mio nuovo sito e questo pomeriggio è passata qualche settimana. Qualche settimana di esperimenti e tentativi, benché WordPress sia francamente facile da usare. Ho anche attivato un abbonamento di prova a una cosa chiamata Typekit, che doveva consentirmi di utilizzare dei fonts particolari sul mio bel sito nuovo, ed ero molto soddisfatta di me stessa.

Ieri pomeriggio ero giunta alla conclusione che il sito fosse pressoché pronto. Mi pareva sufficientemente completo, ero soddisfatta della combinazione di colori, mi pareva di avere fatto le cose come si deve. E quindi, “perché non provo a inserire il font nuovo?” mi sono detta. E l’ho fatto. Con qualche fatica, perché la cosa non è esattamente immediata, ma l’ho fatto. Sono o non sono bravina?

Peccato che, controllando l’opera mia, abbia scoperto che il carattere che avevo scelto appare minuscolo una volta nel sito. Una cosa da perderci due diottrie per paragrafo… Ho cercato di annullare le modifiche, ma apparentemente non c’è modo di farlo o, se c’è, poor little I.C. me non lo trova. Allora sono andata alla pagina di supporto di Typekit, e solo allora ho scoperto che quello della misura è un problema diffuso: tutti i fonts tendono ad essere piccoli una volta inseriti nei siti. Forse c’è un modo per ingrandirli, ma bisogna trafficare con l’html, e non ho trovato quello che mi serviva… 

Perché non ho guardato la pagina di supporto prima di inserire i fonts? Anzi, perché non ho lasciato il font che c’era, che dopo tutto andava benissimo? Alla fine ho spedito una richiesta di aiuto a Typekit, ma per ora non si vede cenno di risposta. Dovrò rifare tutto daccapo? Dovrò cambiare manualmente il testo pagina per pagina? Cosa che, tra l’altro, su WordPress è dissennatamente, irragionevolmente complicata…

Come dicevo sopra, Disperazione Informatica. Profonda, anche.