L’Impresario

Se c’è qualcuno a cui dobbiamo più che ad altri quel che si sa oggi sul funzionamento pratico del teatro elisabettiano, quello è Philip Henslowe.

Sì che sapete chi è – anche se credete di non averlo mai sentito nominare. Avete mai visto Shakespeare in Love? Sì? E allora avete già incontrato il nostro uomo: è il proprietario del Rose, uno dei due impresari cui il giovane Will ha venduto l’ancora inesistente lavoro che poi diventerà Romeo And Juliet. Il fatto che Henslowe sia interpretato da Geoffrey Rush aiuta. Così come aiutano alcune favolose battute che Tom Stoppard ha scritto per lui*.

Come molta gente che compare in quell’incantevole film, Philip Henslowe è esistito davvero. Era il figlio di un guardiacaccia del Sussex, approdato a Londra attorno al 1570 per diventare apprendista e poi mastro tintore. Dopodiché, l’uomo aveva il bernoccolo degli affari e cominciò a diversificare, occupandosi, oltre che di tinture, di amido, legname, pegni, bordelli, proprietà immobiliari, usura, combattimenti di animali e commercio di pelli di capra. Il fatto che un individuo di tanti e discutibili interessi fosse anche fabbriciere e sovrintendente al sollievo dei poveri della sua parrocchia e ottenesse un paio di incarichi minori a corte non è particolarmente strano – solo molto elisabettiano. Nel 1587, già che c’era, costruì il Rose, uno dei primi grandi teatri permanenti al di là del Tamigi, e cominciò a farci lavorare la Compagnia dell’Ammiraglio, capitanata dal giovane e già celeberrimo Ned Alleyn – a sua volta legato al più sensazionale autore del momento: Christopher Marlowe. Boom.

Francamente non credo che Henslowe fosse motivato da un travolgente amore per le arti. Aveva soltanto il dono di riconoscere un settore redditizio quando ne vedeva uno: quelli che non conoscono stagioni, come usura e prostituzione, e quelli che si stavano espandendo con i mutamenti del gusto e del costume, come amido e teatro. Henslowe era un uomo d’affari accorto e attento, abituato a badare ai suoi conti con pugno di ferro – e fu così che si guadagnò la gratitudine imperitura dei posteri: con i suoi Diari. In realtà si tratta di un registro del Rose, che copre il periodo 1592-1609. Dalle sue pagine** apprendiamo che Henslowe ebbe a libro paga ventisette tra i maggiori autori del tempo, ma non Shakespeare – almeno non direttamente. E scopriamo come funzionavano le collaborazioni e le riscritture, e che una compagnia poteva pagare di più per un singolo costume  femminile che per il testo di una tragedia, e che a fine Cinquecento gli effetti speciali erano già una fiorente industria… Si tratta di una lettura affascinante, piena di dettagli pratici e di tocchi di colore. Per citarne uno, mi ha sempre divertita il fatto che, quando era in collera con Ben Jonson, Henslowe lo definisse “Il muratore”, in non proprio benevolo riferimento all’apprendistato giovanile di cui il buon Ben non andava per nulla fiero.

Henslowe morì nel 1616, ricco sfondato, appagato nel suo sogno di diventare sovrintendente degli orsi reali e del tutto ignaro di avere lasciato alla posterità un documento così prezioso – anche se in realtà qualche debito di gratitudine va anche a Ned Alleyn, che di Henslowe era genero ed erede (avendone sposato la figliastra Joan), e che ne conservò il diario in mezzo alle sue carte.

Philip Henslowe in tutta probabilità non era una cara persona. Vari contemporanei lo descrivono come duro, avido e privo di scrupoli***. Però a questo usuraio, tormentatore di debitori e tenutario di bordelli dobbiamo molte tessere di quel pittoresco mosaico che possiamo ricostruire come palcoscenico per i più grandi autori del suo tempo. Senza di lui, il modo in cui capiamo Shakespeare, Marlowe e i loro contemporanei sarebbe più limitato. Potremmo quasi definirlo un involontario Heminges/Condell del dietro-le-quinte. Somewhat fittingly, non è debito da poco.

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* La mia preferita (cito a memoria): “La condizione naturale del teatro è un susseguirsi di ostacoli insormontabili sulla strada del disastro inevitabile. Poi alla fine, in qualche modo, tutto si sistema. Come avviene? Non si sa – è un miracolo.” So true. oh so very true.

** In origine il registro apparteneva al cognato di Henslowe, un ricco fabbricante d’armi. Poi passò di mano – ed è divertente immaginare Henslowe che, facendo visita al cognato, inciampa in un enorme registro scartato per qualche ragione. “Ve ne fate nulla di questo, Ralf? E allora, se non vi dispiace, lo prendo io. Che cosa me ne faccio? Oh, non si sa mai – può sempre venire utile…”

*** Non sono certa che la sua apparente propensione a prestare denaro ai suoi autori sia una circostanza attenuante – a parte i commenti caustici che tendevano ad accompagnare il prestito, stiamo parlando di un usuraio: dubito molto che lo facesse per pura bontà di cuore.

L’Impresarioultima modifica: 2012-01-04T08:10:00+01:00da laclarina
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2 Commenti

  • Credo che all’epoca di Bill Shakes, gestire un bordello o un teatro fosse considerata più o meno la stessa attività (le donne da una parte, gli uomini dall’altra).
    E cercare bontà di cuore in un impresario teatrale mi pare concezione ancor più romantica del cercare la medesima in un usuraio.
    Ma chissà, forse sono io che sono prevenuto.

    Grazie della segnalazione – arpionerò una copia del testo del buon mastro Henslowe… e magari del companion al medesimo, che scopro pubblicato nel 2008.

  • MOlto interessante questo articolo