Si parlava, un paio di post orsono, di libri e musica e tè al bergamotto.
Ripensandoci, credo che Sociologia+Mahler+Bergamotto si possa ritenere un’esperienza sinestetica, ovvero che coinvolge più sensi contemporaneamente.
Confesso che resto sempre leggermente perplessa quando sento parlare di codici sinestetici: tutti, credo, annodiamo spontaneamente delle associazioni di questo genere, e per i motivi più disparati. A proposito di Voyelles, Rimbaud raccontava che per lui la E era bianca a causa dell’illustrazione del suo primo abecedario: per la E, un Emiro dal turbante candido. Non terribilmente scientifico, vero? E però, perfettamente legittimo, così come la mia E, che è verde, e come il Mi azzurro di Skrjabin, e il mio Mi giallo oro…
Ljerka Ocic, questa fantastica organista croata che si occupa molto di didattica musicale, sostiene che le associazioni sinestetiche sono del tutto naturali e altrettanto personali: non tutti le effettuano spontaneamente, ma chi lo fa, associa in base a poche costanti culturali e molti fattori imprevedibili, come l’emiro di Rimbaud. Ma allora, mi domando: com’è possibile elaborare un codice sinestetico, senza che le sue associazioni siano legate all’esperienza di qualcuno e completamente arbitrarie per tutti gli altri?
Comunque, senza perderci in speculazioni, resta il fatto che l’esplorazione sinestetica è un campo di sperimentazione meraviglioso, nella pratica di tutte le arti e nella vita quotidiana. Ciascuno di noi, nel corso della sua vita, elabora una rete complessa che lega tra loro suoni, colori, profumi, forme, parole, consistenze, temperature, situazioni, ricordi… Mi piace molto pensare che quella rete sia personale e irripetibile e significativa: una sorta d’impronta sinestetica in continua evoluzione, che reca traccia non solo delle esperienze, ma anche del pensiero che le elabora e media.