Apr 10, 2010 - grillopensante, musica    2 Comments

Libretti

Qualcuno, forse, un giorno mi spiegherà perché i libretti d’opera italiani debbano essere così surrealmente magniloquenti.

Partiamo con un esempio eclatante: il libretto originale francese del Don Carlos di Verdi e la sua traduzione italiana.

L’Infant est un rebelle armé contre son père* si potrebbe quasi usare in conversazione, ma come si può non sussultare un pochino ogni volta che Re Filippo si lamenta che L’Infante è a me ribelle, armossi contro il padre? E sì, lo so che in traduzione succedono cose bizzarre, tanto più se bisogna restare nei tempi di una musica composta su un testo in un’altra lingua, ma davvero non c’erano alternative al tradurre Tais-toi prètre! con Non più, frate? Ma bisogna dire che de Lauzières e Zanardini, nel tradurre dal Francese, hanno abbondato in eccentricità. Come altro definire l’epico emistichio (tre-quarti-stichio, in realtà) Ver voi il pensier schiude i vanni? Considerate che “ver” vorrebbe un accento circonflesso per indicare che sta per “verso”, e che i vanni sono ali, e che tutta la faccenda significa semplicemente “penso a voi”. E ad essere sinceri, a me piace molto anche il popolino madrileno che definisce se stesso Il popolo ultor.

Ma in fondo, stiamo parlando di opera, quella forma d’arte teatrale piena di gente che, con tutti i suoi decibel, ulula “Non sappia il ver” a un metro e mezzo dalla persona che il ver non deve saper, e che, ferita a morte** o all’ultimo stadio della tisi, canta per un quarto d’ora prima di defungere***. Diciamo pure che all’opera la sospensione dell’incredulità gioca un ruolo maiuscolo – e, se vogliamo, non c’importa poi troppo di sentire e vedere assurdità quando sono messe in musica sublime.

Tuttavia, nulla impedisce di conservare un barlume di senso dell’umorismo, anche se il mio mentore operistico inorridisce ogni volta che sogghigno. Il mio mentore è di quelle persone che non battono ciglio di fronte ai vari Taciturna ed erma pace qui spira, Egra reietta dal sole, e Nefario silenzio, di cui Tobia Gorrio**** ha lardellato La Gioconda di Ponchielli, da cui riporto un piccolo scambio tenore-soprano:

Enzo – I tenebrori del tuo mister saprò. Parla…

Gioconda – No.

Enzo – Parla.

Gioconda – No.

Ammetto che in musica è un’altra cosa, ma di per sè… Anche perché poi, nel giro di dieci versi, Enzo chiama Gioconda “iena furibonda” e “fanciulla santa” in rapida successione, per poi concludere che “Sulle tue mani l’anima tutta stempriamo in pianto…”

Però devo ammettere che Francesco Maria Piave, librettista verdiano, ha un genere di talento che mi commuove ancora di più. Come quando, ne La Forza del Destino, Don Alvaro balza in scena pindareggiando così: Ah! Per sempre, o mio bell’angiol/ Ne congiunge il cielo adesso!/ L’universo in questo amplesso/ Io mi veggo giubilar. Ma Leonora non è da meno, quando si lamenta del fatto che tutti sappiano la sua orrida storia: mio fratel narrolla! o quando, più tardi, minaccia “andrò per balze gridando aìta”.

Il Nobel per l’Incomprensibilità, comunque, Piave lo vince con Ernani: nelle prime due scene del III Atto riesce a concentrare le seguenti tre perle:

1) Gli Elettor… raccolti cribrano i diritti a cui spetti… la corona.

2) Tre volte il bronzo ignivomo alla gran torre toni.

3) Cimbe natanti sovra il mar degli anni.

Per la cronaca: 1) Gli elettori vagliano chi abbia più diritto al trono; 2) Si sparino tre colpi di cannone; 3) Piccole imbarcazioni sul mare della vita. Eh?

D’altronde, Piave è anche il librettista della Traviata. Alzi la mano chi non ha mai levato le sopracciglia di fronte al surreale Al natio fulgente sol/ Qual destino di furò? Ma poi Alfredo nega riedere in seno alla famiglia, e meco t’assidi, e seguirammi, e… Piave è sempre Piave. Adoro Piave.

Chiudo dicendo che il mio gatto si chiama Udrotti. Come nel Marin Faliero*****: – Anche un’ora! e udrotti, o perfido,/ steso al suol chieder pietà. Che poi, a dire il vero, “udrotti” c’è anche in Alfieri (più di una volta) e in Pellico, e forse anche altrove. Ma il nome del mio gatto viene dal libretto.

________________________________________________________________________________

* Atto IV nella versione in cinque atti, atto III nella versione in quattro. Il Don Carlos è fatto così: ha versioni a non finire.

** Vigoleno di Verlasca, Festival Verdiano 2005, Ernani. All’ultimo atto, come ognun sa, Ernani si accoltella, e poi canta ancora a lungo. “Però!” commentò un anziano signore dietro di me, “el canta, per un che s’è apena tirà na cortlada!” E il suo altrettanto anziano amico rispose: “Eh, as ved ch’el ne s’è mia ciapà al polmon…” State seri, voi!

*** Stavo per scrivere “defungere in posa decorativa,” ma poi ci ho ripensato: in realtà molto dipende dalla stazza dell’interprete. Ho visto una rappresentazione dei Due Foscari in cui, nella scena del carcere, una comparsa/secondino ha portato al tenore una sedia al momento giusto perché potesse svenirci sopra. Quando Foscari Fils si è ripreso e il tenore si è alzato, via la sedia. Very helpful.

**** Che era poi sempre Arrigo Boito.

***** Libretto di Bidera, non di Piave, lo ammetto.

Librettiultima modifica: 2010-04-10T08:55:00+02:00da laclarina
Reposta per primo quest’articolo

2 Commenti

  • Il tuo gatto… Udrotti! Questa è mania e anche perversione (Quando hai fame miagola, miagola pure: udrotti)

  • Ecco, adesso mi hai fatto spruzzare il tè sulla tastiera… contento? 😀