Set 29, 2010 - pennivendolerie    14 Comments

D’Ingegneri, Agenti Letterari e Ragazzine Cieche

Avete mai avuto la sgradevole sensazione che, se foste un potenziale caso letterario – se foste minorenni e/o paraplegici, orfani, sine reddito, profughi o in qualsiasi modo maltrattati dalla vita – il vostro romanzo incontrerebbe miglior fortuna con case editrici e agenzie letterarie? Sì, vero? Non dovete vergognarvene, non siete soli: benvenuti nel club. E, da oggi, il club ha un eroe.

Leggete un po’ questo post che, come diceva Guareschi, è bello e anche istruttivo: c’è di che ridere e piangere, di che inorridire e consolarsi – ma forse non di che stupirsi soverchiamente. E Alessandro/Angra merita un’ovazione per quello che ha fatto e per l’equilibrio, la lucidità e l’ironia con cui l’ha fatto. E’ tutti noi.

 

D’Ingegneri, Agenti Letterari e Ragazzine Ciecheultima modifica: 2010-09-29T08:20:00+02:00da laclarina
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14 Commenti

  • Ok, 1 (lo steampunk) + 1 (l’esperimento di Angra) fa 2: tu leggi i post del Duca ;D

  • Più che essere “minorenni e/o paraplegici, orfani, sine reddito, profughi o in qualsiasi modo maltrattati dalla vita” bisogna “avere un personaggio”, perché qualsiasi libro si vende meglio se l’autore è, appunto, un personaggio: è più facile ottenere recensioni, attenzione dai media, e sollecitare la curiosità dei lettori. Gli agenti letterari lo sanno. Gli editori lo sanno. I giornalisti lo sanno. Gli scrittori dovrebbero saperlo.

  • @Renzo: in realtà manca un termine all’equazione, perché al Duca arrivo per interposta persona…

    @Davide: questa scrittrice si rende conto benissimo che il libro del Personaggio si vende molto più facilmente, ma le pare che l’esperimento di Angra mostri una ricerca del Personaggio a prescindere dal libro. Se il marketing value dell’autore diventa il fattore discriminante per la pubblicazione (anziché essere il mestiere dell’apposito ufficio della casa editrice), allora forse a questa grigia editor trentacinquenne normovedente conviene commettere un paio di omicidi, se vuole aumentare un pochino le sue chances.

  • In questo momento, nell’attuale congiuntura economica, obiettivo della gran parte delle case editrici è pubblicare libri che consentano di “fare cassa”. Da qui la scarsa propensione al rischio; i tentativi – più o meno coronati da successo – di sfruttare filoni che pagano, come quello vampirico; e la ricerca del Personaggio a prescindere dal libro. I sistemi per “creare il personaggio”, anche se si è grigi trentacinquenni normovedenti, ci sono, senza bisogno di ammazzare nessuno. Una mia amica, seria traduttrice ultraquarantenne, ha scritto un romanzo (un buon romanzo, peraltro) che verrà pubblicato nei prossimi mesi da un editore piccolo ma prestigioso, mettendoci dentro una vicenda incestuosa corredata da morbosità varie e dando al testo una impostazione narrativa la quale lascia intendere che quel testo potrebbe magari essere autobiografico, ma anche no. (Questo è solo un esempio, naturalmente)

  • Oh, che sollievo! Sapevo che mi era sfuggito qualcosa… non ho bisogno di ucciderli davvero, i vicini! E’ sufficiente che narri i due omicidi in prima persona e in raccapricciante, compiaciuto dettaglio – lasciando il lettore a chiedersi se l’ho fatto davvero o no.
    Posso rimettere nella teca la sciabola di cavalleria del bisnonno, allora, e tutto sommato non avrò bisogno di tutto quell’allume di rocca per disseccare i cadaveri. Per fortuna che mi hai fermata in tempo!!

  • Beh, se ci pensi uno degli esordienti di maggior successo degli ultimi tempi, Nicolai Lilin, non ha poi fatto granché di diverso (in “Educazione siberiana” si contiene, ma in “Caduta libera” i dettagli raccapriccianti si sprecano). Il che mi sembra una riprova del fatto che le mie considerazioni non sono molto lontane dalla verità.

    Se non ti piace il filone in cui l’autore coincide con il personaggio, ci sono tante possibilità. Vanno molto di moda il noir o il thriller a sfondo sociale, il fantasy YA, i romanzi coi vampiri, la chick lit radical chic, il romanzo-fiume fantapolitico-distopico, etc. etc.

  • Le tue considerazioni non sono affatto lontane dalla realtà, ma non si discostano poi neppure troppo da quello che si diceva nel post, mi pare: posto lo stesso libro, le probabilità di pubblicarlo e possibilità di venderlo decollano verticalmente se c’è modo di dare al lettore almeno il ragionevole dubbio che l’autore sia un criminale siberiano, un pluriomicida, una vittima d’incesto, una fanciulla cieca… Non lo trovi un tantino morboso? E poi che cos’è, uno spostamento della sospensione dell’incredulità sull’editore?

  • Scusa, commento a puntate perché sennò Virgilio mi chiude fuori.
    Quindi, dicevo, al lettore piace pensare che l’autore del giallo sia un assassino a sua volta, e anche un cretino che si autodenuncia in quattrocento pagine di circostanziati dettagli? Al momento ho i cervicali troppo infiammati e doloranti per mettermi a teorizzare, ma sono certa che qualcosa non funziona nel meccanismo.
    Ciò detto, il mio genere ce l’ho, grazie – e non mi sembra sotto immediata minaccia di monopolio dei minorenni. Però forse devo lavorare di più sul mio personaggio. Ammettiamolo: dai tuoi commenti come dal post di Angra, si è portati a sospettare che a contare davvero sia il primo paragrafo della query letter – le notizie sull’autore.

  • Al lettore piace pensare che l’autore si sia immerso nel mondo che racconta. Edward Bunker e Nicolai Lilin, per dire, sono stati entrambi criminali prima di mettersi a scrivere; non è che abbiano scritto testi in cui autodenunciavano i propri crimini, bensì hanno prodotto narrazioni ove il lettore ha la sensazione che chi scrive conosca il mondo del crimine dall’interno.

    Detto ciò, alla tua domanda “Non lo trovi un tantino morboso? E poi che cos’è, uno spostamento della sospensione dell’incredulità sull’editore?”, rispondo: sinceramente mi sembra una strategia di marketing come un’altra. L’editore non ha bisogno di saggiare la propria sospensione dell’incredulità, ma trova comodo avere in scuderia autori che – all’occorrenza – sappiano essere, anche, personaggi. In questo non trovo nulla di scandaloso. E’, come dicevo, una possibile strategia. Altre strategie sono: sfruttare filoni consolidati; seguire le mode; individuare un segmento di mercato e conquistarlo (ma è già più difficile, in tempi di crisi), etc. etc.

    Mi sembra che il tuo genere sia il romanzo storico, che ad ogni modo gode di ottima salute. Certo, anche lì gli editori cercano cose precise: vogliono romanzi che siano anzitutto dei kolossal in costume con molta azione, intrigo, scene di massa; possibilmente belli lunghi, meglio se progettati in modo da offrire, in caso di successo, un percorso di serialità. Insomma: i romanzi di Andrea Frediani vanno bene, quelli dei Wu Ming o di Ken Follett anche meglio, mentre se Maria Bellonci esordisse oggi faticherebbe a trovare un editore. Oggi, un autore peraltro bravo come Filippo Tuena non ha grandi riscontri di mercato; mentre “The Father” di Vito Bruschini non era ancora uscito che già era stato venduto a diversi editori stranieri (per vendere un libro italiano all’estero, “mafia” è una parola magica).

  • Vedo che non mi spiego sulla sospensione dell’incredulità: c’era una volta, tanto tempo fa, il lettore che sospendeva la sua incredulità sulla soglia della storia, in un tacito accordo con il narratore; adesso, a quanto pare, preferisce sospenderla alla quarta di copertina, quando l’editore gli spiega quanto l’autore sia “immerso nel mondo che racconta”. L’incredulità dell’editore non c’entra proprio nulla.
    Poi, ti dirò: per un certo numero di anni ho venduto tetti di legno in Val Padana, e quindi ho un’idea delle capriole che si fanno per convincere qualcuno che vuole qualcosa – romanzo o tetto con travi a vista.
    Quanto alla morbosità, forse non c’intendiamo bene nemmeno su questo… non hai detto che la tua amica traduttrice si è creata il suo Personaggio (e conseguentemente venduto il libro) lasciando intendere un possibile quid autobiografico nella sua vicenda d’incesto? Il tuo commento in proposito sembra indicare che sia stato questo particolare a catturare l’attenzione del “piccolo ma prestigioso” editore… I’ll leave the math to you.
    Oh, e grazie per le dritte sul mercato del romanzo storico – le avrò care.

  • Scrivi:

    “Vedo che non mi spiego sulla sospensione dell’incredulità: c’era una volta, tanto tempo fa, il lettore che sospendeva la sua incredulità sulla soglia della storia, in un tacito accordo con il narratore; adesso, a quanto pare, preferisce sospenderla alla quarta di copertina.”

    A me sembra che le vere o presunte narrazioni autobiografiche, in cui si dava a intendere al lettore che alla base del racconto c’era un vissuto reale, ci siano da un bel po’. Mi pare che De Laclos spacciasse il suo romanzo per una raccolta di lettere che lui aveva semplicemente “trovato”. Se certi espedienti non avessero pagato anche allora, dubito che qualcuno si sarebbe presa la briga di adottarli.
    Oggi, naturalmente, il fenomeno è ancora più esteso. Ma credo ciò sia dovuto alla compressione dei tempi. Un libro passa pochi mesi (3-4) esposto in libreria, il turnover è selvaggio; e la lettura è un passatempo fra tanti, in competizione con mille altri modi di impegnare il tempo libero, spesso più pervasivi. Perciò il tempo che ogni lettore trascorre in libreria è ulteriormente compresso. Se una volta sfogliava dieci libri, adesso ne sfoglierà forse due. Non mi stupisce che si cerchi di catturarlo fin dalla copertina, con ogni espediente possibile.

    “non hai detto che la tua amica traduttrice si è creata il suo Personaggio (e conseguentemente venduto il libro) lasciando intendere un possibile quid autobiografico nella sua vicenda d’incesto?”

    Sì, ma appunto non ci s’intendeva sul termine “morbosità”: io non trovo nella vicenda nulla di morboso. La mia concezione di ciò che è morboso è spostata un tantino in avanti rispetto alla tua, credo. Troverei morboso, chessò, un uomo che collezionasse le feci della propria madre in barattoli con tanto di etichetta. O uno che ritagliasse da ogni possibile quotidiano tutti gli articoli di cronaca nera che riguardano la violenza ai danni di donne dai capelli biondi. Nulla di male, basta spiegarsi.

    “grazie per le dritte sul mercato del romanzo storico – le avrò care.”

    Figurati, per così poco. 😉

  • Ma dimmi un po’: sono così criptica o mi fraintendi deliberatamente?
    a) conosco De Laclos e la vecchia e onorata pratica, quello che mi dà da pensare è quando la pratica in questione diventa IL fattore di pubblicabilità.
    b) considero morboso non tanto il romanzo della tua amica (anche se forse l’incesto mi fa un po’ impressione – che vuoi, sono un tantino indietro…), quanto il fatto che al pubblico il romanzo interessi di più se la tua amica ha avuto qualche piccolo incesto nel suo passato.

  • Ti dirò che anche io ho la costante sensazione di essere frainteso: è una cosa che succede, quando si parte da presupposti molto diversi, e l’asetticità del mezzo informatico non aiuta. Provo a essere più chiaro:

    a) Quello che intendevo dire che non credo che “la pratica in questione diventi IL fattore di pubblicabilità”. Semmai, il fattore di pubblicabilità è il presunto appeal commerciale di un testo. Questo elemento, in tempi di vacche grasse può essere meno importante per un editore (ne conosco di coraggiosi, pronti a investire su un testo che gli piace anche se sanno che non venderà granché – faccio due nomi a caso: Marco Vicentini, Giuseppe Schifani). In tempi di vacche magre, invece, tutti debbono tirare un po’ i remi in barca. Si cerca di pubblicare testi che si spera avranno un ritorno economico “garantito”. Ciò determina un generale appiattimento dell’offerta: si fa meno scouting, si cercano di sfruttare i filoni consolidati (hai mai visto in libreria così tanti libri di vampiri come adesso?), si è meno disposti a rischiare pubblicando esordienti. Fanno eccezione quegli esordienti che offrono la possibilità di trasformarsi in “casi” editoriali in virtù del loro “personaggio”, oppure che sono già noti per altri motivi (giornalisti, personaggi televisivi…). In questo non vedo nulla di nuovo né di preoccupante: è una conseguenza della crisi economica, non di una presunta miopia degli editori. Semmai, è preoccupante la crisi di settore (e non solo) che sta all’origine del fenomeno. Molti editori, e non dei peggiori, faticano a tirare avanti.

    b) Io dubito molto che la mia amica abbia vissuto gli episodi che racconta nel romanzo. Credo che lei lo abbia scritto in virtù del suo amore per certe atmosfere greenawayane e mcgrathiane che, lo so per certo, la affascinano. E che abbia calato in queste atmosfere un personaggio che le somiglia perché da sempre è una sua fantasia quella di vivere le esperienze di un personaggio come Mrs. Herbert o Martha Peake (ma sa bene, credo, che certe fantasie è meglio che restino tali). Però è un dato di fatto che, quando si è accorta che l’editore continuava a chiederle con insistenza quanto di vero e quanto di inventato ci fosse nel libro, lei si è fatta furba e ha glissato (a tutt’oggi, continua a farlo) lasciandolo nell’incertezza.

  • E’ la “fortuna” delle disgrazia no!?
    Malattia o disgrazia, rende intricante tutto quello che orbita intorno.
    Ma capisco bene la buonafede di Antonio, bada.
    Enzo