Saviano, Conrad E Padre Pio – A Rant

“…Da domani in edicola, La Linea D’Ombra, di Joseph Conrad…” afferro vagamente. To’, mi dico. E poi… “Introduzione di Roberto Saviano.”

Che cosa? Saviano che introduce Conrad? Devo aver capito male – e non ci penso più. Perché intendiamoci: Saviano è un coraggioso e ammirevole giornalista, ma da qui ad essere un prefatore letterario, ce ne corre.

Poi invece scopro che con Repubblica esce (e cito) “una nuova collana composta da romanzi brevi o raccolte di racconti, testi di assoluta eccellenza scelti fra quelli più rappresentativi della stagione culturale seguita in Occidente al grande realismo ottocentesco.” Lodevole. E non basta, perché “ogni titolo sarà introdotto da un autore di oggi, che ha scelto di spiegare perché leggere quel particolare classico.”

Ah be’, mi dico. Un’introduzione non è una prefazione, dopo tutto. E’ il genere di cosa “questo libro mi è piaciuto tanto perché ta-ran ta-ran ta-ran; leggetelo anche voi perché ta-ran ta-ran ta-ran…” La faccenda comincia a somigliare un po’ più a una questione di marketing che di letteratura: come possiamo rendere attraente un autore generalmente trascuratello? Ma affiancandogli un nome che tira, perbacco! E quale nome tira più di quello di Saviano? Nulla di male in tutto ciò – anzi. Un po’ di curiosità però la confesso. e, quando ho l’occasione di mettere le ugne sul libro in questione, ne approfitto.

E’ la ristampa per gentile concessione di un’edizione Einaudi, tradotta da Flavia Marenco, con prefazione dell’autore e nota introduttiva di Pavese. So far so good. Prima di tutto, però, c’è un’ulteriore introduzione – Saviano, appunto. Vediamo un po’ che cos’ha da dire Saviano su La Linea D’Ombra.

Apparentemente, Saviano ha da dire per prima cosa che “spesso un libro ti sceglie, non lo scegli tu.” E prosegue con altre graziose romanticherie del genere. Bel colpo. Questo è il genere di apertura di sicuro effetto per cui tutti gli altri introduttori ingaggiati da Repubblica tireranno accidenti al primo della lista: avendolo già detto lui, non possono più dirlo loro, mannaggia!

Una volta esauriti i paragrafi generici sulle storie d’amore lettore/libro, però, si passa a parlare del libro in questione, e… hm. Sentite.

“[Sentivo c]he quella non è la vita, ma calme plat, grand miroir de mon désespoir (calma piatta, grande specchio della mia disperazione) è un verso preso da La Musique di Charles Baudelaire, i cui verso descrivono la fratellanza tra la musica e il mare, che può esser in tempesta e gonfiare le vele come la musica gonfia il petto. Ma può anche esser una musica lieve quasi silenziosa, come la bonaccia: calma piatta. E’ una metafora perfetta questo verso per Conrad: la bonaccia è per il marinaio una disperazione, proprio come la calma piatta per il giovane.” (p. 5)

Sic. Sintassi e punteggiatura, sic. Non un corsivo, sic. Costruzione, sic. Non so voi, ma a me sembra, più di ogni altra cosa, una frettolosa trascrizione da parlato. Andiamo avanti.

“Quel marinaio in secca che sente che quella non è la vita che vuole.” (p. 6)

A Saviano piace proprio scrivere per frammenti – il che non è necessariamente un difetto, a patto che i frammenti funzionino. Ma tre “che” di fila? E c’è altro.

“Se ne rende conto solo uno degli ospiti della ‘Casa del Marinaio’, un uomo che ha già percorso ciò che il giovane ha davanti. Il capitano Giles lo ascolta, ma avendo capito l’inconfessabile aspirazione del suo interlocutore, a un certo punto gli dà una dritta decisiva.” (p. 7)

Siamo franchi: se uno di noi avesse scritto queste 46 parole in un tema di letteratura al Liceo, se ne sarebbe sentite cantare quattro. Per i pronomi selvaggi (lo ascolta? Chi, please?), per mancanza di logica (a che serve e che cosa significa quel ma?), per le scelte lessicali (inconfessabile? E che c’è di inconfessabile – ovvero turpe, tanto grave da non potersi confessare senza vergogna – nell’aspirazione a diventare capitano? Non sarà per caso inconfessata?), e infine per la generale ineleganza della costruzione. E se siete disposti a considerarli peccati veniali, c’è di peggio.

“Di colpo quelli che considerava idioti perché non affrontavano la vita con la passione e la velocità d’idee che riconoscevi a te stesso, ora ti sembrano più capaci di te.” (p. 7)

E concediamo pure che gli errori di stumpa possano non essere colpa di Saviano – ma “Di colpo/ora”? E la “velocità d’idee”? E, se devo dirla tutta, a me quel considerava non sembra tanto un eds, quanto il relitto di un periodo più lungo, sistemato inconsultamente e poi non ricontrollato.

Come, del resto, questo passaggio, a proposito del confronto con Cuore Di Tenebra*: “Non riesco a pensare i due libri separati, forse nemmeno di amare uno più dell’altro, ma scegliere La linea d’ombra è stato facile.” (p. 8)

E poi potrei citare brutture miste assortite come “Non è solo semplicemente stanchezza” (p. 9),  o “Quando Conrad scrisse questo romanzo era un uomo maturo, di 60 anni, aveva sorpassato quella linea già da parecchio tempo” (p. 9) – calchi del parlato così evidenti e così sciatti che sconsolano.

Se poi cercate una giustificazione nell’idea che la forma sia sacrificata a chissà quale profondità di contenuto, temo di dovervi disilludere: non ci scostiamo mai dalla lettura più generica e dalla maniera più blanda. E non è che la maniera più blanda sia aiutata da costruzioni arruffate ai limiti dell’incomprensibile, tipo “E’ una maturità che emerge nel personaggio del capitano Giles, così mal sopportato all’inizio dal nostro protagonista, che lo considera noioso, pedante – esattamente come si immagina che i giovani considerino gli adulti – ma dotato di una saggezza che il giovane riconosce progressivamente.” (p. 9)

Per finire poi con questa convoluta e, va da sé, frammentata perla di saggezza e profondità: “E comprendi che quella linea d’ombra la superi e ti supera, ti è davanti e non l’hai mai superata. Nell’incessante cammino della tua esistenza.” (p. 9)

Ora mi sembra di sentire cori furibondi di proteste: il mestiere di Saviano non è essere elegante, lui dice quel che deve dire, l’importante è l’efficacia, l’importante è il contenuto…

Davvero? Parliamone.

Saviano vive della sua scrittura. Non m’importa cosa scrive e perché lo scrive: scrive professionalmente e, per chi scrive professionalmente, la forma è sostanza. Il suo mestiere è esprimere e comunicare concetti, e la lingua, la grammatica, la sintassi e la retorica sono i suoi strumenti. Pensereste tutto il bene possibile di un cuoco che serve in tavola ingredienti accostati senza criterio, cotti e presentati come capita? Non credo – e poco importa quanto gli ingredienti stessi siano di per sé nutrienti. Un cuoco che non sa distinguere il lievito dal bicarbonato e non ha idea (o riguardo) dei tempi di cottura, non è un bravo cuoco. Uno scrittore che non ha idea (o riguardo) della sintassi non è un bravo scrittore. E non stiamo parlando di deliberate distorsioni stilistiche, ma di trascuratezze gravi.

Ora, ho detto che molte di queste trascuratezze sembrano venire pari pari dal parlato, o essere frutto di scarsa revisione. Se credete che una di queste due sia un’attenuante, parliamo anche di questo. Uno: se c’è qualcosa che uno scrittore deve sapere, è che lingua parlata e lingua scritta non sono la stessa cosa. Riprodurre il parlato per iscritto non è questione di trascrivere sulla carta quel si dice, parola per parola. Occorre sfilettare, adattare, sistemare, sfrondare e recuperare l’impressione della lingua parlata senza il beneficio dell’intonazione e della fuggevolezza. E’ quasi, mutatis mutandis, come tradurre in un’altra lingua. E’ – indovinate un po’ – a matter of hard work. Due: rileggere, rivedere, ricontrollare, levigare e aggiustare non sono corollari opzionali. Sono parte integrante e fondamentale del lavoro dello scrittore. E’ una questione di rispetto di sé e del lettore mandare Là Fuori il meglio che si può fare – sempre. Di nuovo: a matter of hard work. E in tutta franchezza, di duro lavoro in questa introduzione se ne vede poco. Se c’è stato, lasciate che dubiti delle capacità tecniche di Saviano**. Se non c’è stato, temo di dover dubitare del suo rispetto per il suo mestiere e per i suoi lettori: possibile che non avesse mezz’oretta per controllare che non ci fossero magagne, prima di mandare il pezzo a Repubblica?***

Con tutto ciò, per onestà, a questo punto devo scendere un attimo dalla mia scatola di sapone per riferire che A. – persona che non considero stupida – dopo avere letto l’introduzione ha espresso con qualche emozione l’intento di rileggere il romanzo. “Ma non ti accorgi di quanto è mal scritta?” m’infurio io. E A. scrolla le spalle: “Non m’importa. A me interessa come dice le cose lui, e mi ha fatto venire voglia di rileggerlo.” 

Il che significa che l’introduzione di Saviano, almeno nel caso di A., ha svolto la sua funzione. Cosa che i marketers di Repubblica si aspettavano in pieno, o non avrebbero aperto la collana proprio con questo libro così introdotto. Non credo che sia un caso se qui c’è in anteprima solo la prefazione dell’autore. Quello che la gente deve comprare (e comprerà) sono le quattro pagine di Saviano – Conrad è un accessorio.

Sono malvagia? Sarà, ma sentite qui: il Corriere, per non restare indietro, avvia una collana chiamata Inediti d’Autore, “Una serie di racconti inediti dei più grandi autori italiani contemporanei” (Gazzetta Store), “una straordinaria collezione di romanzi brevi di grandi autori italiani, mai prima pubblicati” (PostCardCult), nonché “opere inedite dei più grandi narratori contemporanei italiani” (pagina FB Qualunquismo di Fabio Volo). L’elenco degli autori comprende, tra gli altri, grandi narratori come Federico Moccia, Silvio Muccino e Mauro Corona, e indovinate un po’ chi è il capofila? Ma il nostro immancabile Saviano, naturalmente.

A parte tutto il resto, avete presente quelle collezioni in centoventi uscite settimanali – soldatini di piombo, santini, modelli di navi da costruire, cd musicali, you name it? Avete presente come la prima uscita non sia mai il primo pezzo in ordine cronologico o logico – ma il più attraente, quello che un sacco di gente comprerà? Appunto: Saviano come Padre Pio, la Ferrari e il legionario romano. Non scriverà molto bene, ma di sicuro può vantarsi di essere diventato un’icona.

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* Perché, sapete: “Si dice che il lettori di Conrad, si dividono…” Sic: i lettori di Conrad virgola si dividono. Sicchissimo.

* Riconosco che c’è un’altra possibilità: può darsi che il testo originale fosse ragionevole, e poi qualcuno lo abbia tagliato con poco criterio in fase di allestimento del libro. In realtà, a parte un paio di casi, non mi sembra questo il problema – ma se fosse così, al posto di Saviano, denuncerei Repubblica.

*** Oh, e naturalmente, non è che tutto questo dica un gran bene del rispetto di Repubblica verso i lettori, either.

Saviano, Conrad E Padre Pio – A Rantultima modifica: 2011-06-06T08:15:00+02:00da laclarina
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4 Commenti

  • Non c’è bisogno che scriva “brava brava brava” perché lo sai… 😀

  • *Drops a curtsey*

  • È un’inutile e gratuita invettiva.

  • @Top: a dire il vero ero stupita che non fosse ancora arrivato nessun commento del genere.
    Ma vediamo un po’…
    Invettiva? Può anche darsi. Ho detto fin dal titolo che si trattava di “a rant” parola inglese che, volendo si può tradurre anche come invettiva.
    Gratuita? Non direi. È vero che l’introduzione è scritta in modo abissale; è vero che far introdurre il libro a Saviano è stata un’operazione di marketing – e neppure troppo curata; è vero che trovo triste vedere Saviano, ammirevole e coraggioso giornalista d’inchiesta, utilizzare la sua popolarità in questo modo.
    Inutlie? Tutto sta nell’intendersi sull’utilità di un blog in generale. Ho il sospetto che lei consideri “inutile” il mio post (espressione della mia opinione sul mio blog, dopo tutto) perché non coincide con il suo pensiero in proposito. Però sono aperta alla discussione. Provi, invece di bollarmi in questo modo lapidario, ad argomentare la sua posizione.
    So (e sapevo quando ho scritto il post) che disapprovare Saviano espone automaticamente a un certo tipo di intolleranza preconcetta.
    Provi a convincermi del contrario.