Who Is Who

Se avete mai presentato un libro, odds are che qualcuno, quando il vostro relatore ha sollecitato le domande del pubblico, ve l’abbia chiesto: Quanto C’è Del Tuo Vissuto In Questo Libro? Maiuscole non casuali, perché questa, in questa forma o in qualche variazione, sembra essere La Domanda. Why, magari non c’è nemmeno bisogno che venga dalla platea, magari ve l’ha posta il relatore.

E voi, a dire il vero, vi siete mordicchiati il labbro inferiore e avete ingoiato un sospiro, e vi siete silenziosamente chiesti perché, perché, perché diavolo lo vogliono sapere. Che importa? Che cambia? È una storia, dammit, non possono apprezzarla senza sapere che è basata su un incidente della vostra infanzia, o su nulla in particolare?

Poi vi siete detti che, se non altro, siete in buona compagnia e avete risposto con la necessaria buona grazia.

Perché sì, siete in buona compagnia. In ottima compagnia, se ci pensate: tutte quelle prefazioni, quegli articoli, quei tomi in cui biografi, critici e psicanalisti si affannano a dissezionare Jane Eyre, Casa Desolata, Camera con Vista, Grandi Speranze, Circolo o La Musa Tragica o qualsiasi altro romanzo a caccia di elementi autobiografici… E magari vi è anche piaciuto scoprire che tutti i protagonisti maschili di Charlotte Brontë sono basati sul professore belga di cui si era innamorata infelicemente. Per cui, in fondo, chi siete voi per andare immuni dalla Domanda?

L’umanità, a quanto pare, non solo è insaziabile in fatto di storie, ma vuole anche sapere che cosa c’è di vero.

E voi in realtà continuate a domandarvelo: che diamine cambia, in realtà? Che importa, ai fini del romanzo, se Lord Jim sia basato su Rajah Brooke o su Stephen Crane – o su una combinazione di entrambi?

Sì, ok: Jim si costruisce a Patusan un regno de facto alla maniera di Sarawak – ma più ufficioso e più tragico – e l’affetto tra protettivo, amarognolo ed esasperato di Marlow nei confronti di Jim può rispecchiare il rapporto tra Conrad e il più giovane e tormentato Crane.

Ma poi, se cercate con sufficiente pazienza*, v’imbatterete in articoli che individuano the real life Jim in gente come Jim Lingard, altro rajah bianco non ufficiale, che vestiva sempre di bianco e i suoi indigeni chiamavano Tuan Jim. O in Augustine Williams, ufficiale mercantile di buona famiglia che si rovinò la carriera abbandonando un piroscafo carico di pellegrini – e il piroscafo non affondò affatto… E d’altra parte, basta una capatina su Wiki per scoprire che Conrad decise di voler andare per mare a sedici anni, fuori dal blu e sulla solida base dei romanzi d’avventura.

Tutto molto interessante – fino a quando il saggista/biografo/critico/psicanalista non comincia a insistere di avere trovato il vero Jim. E no, perbacco: Brooke può avere fornito Patusan, e senz’altro i guai di Williams sono serviti da base per l’incidente del Patna, in particolare all’inizio, quando Conrad intendeva farne solo un racconto breve, o al massimo una novella. Ed è difficile negare che Lingard, Crane e Conrad stesso entrino nella caratterizzazione di Jim, ma il fatto è che il vero Jim è quello del romanzo, quello di carta e inchiostro, quello che ha pensieri, reazioni, paure e debolezze così umane e reali eppure non invecchia mai.

C’è una pagina di una stesura precedente, in cui Marlow descrive Jim ritrovato a Patusan, un po’ appesantito, con qualche ruga attorno agli occhi, un po’ meno immacolato ed elegante…

Poi però, nella versione definitiva, Conrad ha cassato questo passaggio. Per noi lettori è necessario che, dopo anni di fughe, tormenti, fatica e clima tropicale, Jim sia ancora impossibilmente giovane come a pagina 1. È, se ci badate, l’Autore che ci dice come il vero Jim non sia una persona reale da cercare sull’Enciclopedia Britannica o negli annuari della Marina Mercantile, ma un personaggio letterario, una creazione artistica, un simbolo complesso e stilizzato al tempo stesso.

E non dovrebbe importare quanto c’è del Vissuto dell’Autore – salvo il fatto che il messaggio** diventa più chiaro e più rilevante quando andiamo a spulciare tra le stesure, alla luce dei dubbi e delle decisioni dell’autore stesso…

Perché alla fin fine, la storia funziona lo stesso, ed è amaramente bella lo stesso, ma si direbbe che sia nella nostra natura voler sapere, se non proprio che cosa c’è di vero, almeno che cosa c’è dietro.

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* A dire il vero, con sufficiente pazienza, troverete anche un’interpretazione freudiana secondo cui nel non-naufragio del Patna Conrad sta esorcizzando la morte precoce di sua madre… Per cui, sappiatelo, il Patna resta a galla non perché altrimenti la storia non funzionerebbe, ma perché il piccolo Konrad si era sentito tradito dalla sua mamma tisica, e vuole drammatizzare l’evento – ma con un finale diverso, catartico e consolatorio al tempo stesso. Yes, well.

** Non il Messaggio, scampi&liberi. Questo specifico messaggio.

Who Is Whoultima modifica: 2012-11-07T08:10:00+01:00da laclarina
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11 Commenti

  • Posso dirti la mia opinione, che forse ti sembrerà brutale? I tuoi ragionamenti sono sensati, ma evidentemente sono un falso alibi.

    Io credo che non esistano narratori “alieni”, che scrivono storie senza averle vissute. Almeno parzialmente, si intende. Forse La Domanda che ti infastidisce ti fa solo paura.

    Se insegno in un certo modo, se spiego il mio lavoro in un certo modo, se scrivo in un certo modo, è solo perché io sono fatto così. E presumo che tu non sia fatta di sostanza extraterrestre.

    Poi, certo, subentra il problema dello scrittore come-lo-vorrei-io. Semrba che gli scrittori siano molto irritati per la tendenza dei lettori ad immaginarseli in un certo modo. Essendo un lettore, questa irritazione mi irrita alquanto: troppo bello scrivere e pretendere che i lettori ammirino l’opera senza pensare all’autore.

    D’altronde, tutto ciò a me sembra molto positivo. L’essere umano ha bisogno di confrontarsi con l’essere umano, né può accontentarsi di essere artisticamente preso in giro dall’artista. È un sintomo di calore, di passione che si spinge oltre la carta del libro, oltre l’inchiostro delle parole, oltre la pietra della statua.

    Simenon riempiva i suoi romanzi di donne “facili” perché era manifestamente un sessuomane (e non lo negava affatto). Pierre Magnan idealizzava la natura selvaggia della Provenza perché ci viveva, e la riteneva l’unico posto dove fosse possibile vivere bene.

    La psicologia (e la psichiatria) ci danno fastidio perché ne abbiamo paura; temiamo di essere scoperti come “malati” o “devianti”, e facciamo i capricci come i bambini che negano di aver messo le dita nella marmellata. Qualche volta hanno ragione, ma quasi sempre negano la realtà.

  • … e dovresti vedere cosa succede quando scrivi narrativa d’immaginazione – che sia fantascienza, fantasy o horroro ha poca importanza.
    Ma tu credi davvero agli spettri?
    Ai dischi volanti?
    A tutti i “dragons and fables” (come dicevano gli Hawkwind) che hai cacciato nella tua storia?
    Usa una narrazione in prima persona e ti chiederanno “ma tu sei davvero convinto che ti siano capitate queste cose?”
    Se non fosse inquietante sarebbe ridicolo.
    E naturalmente lì i freudiani dilettanti ci vanno a nozze – “perché qui vedo una spada che non è una spada, posata su un cuscino che non è un cuscino” (J.B. Cabell, Jurgen… nel capitolo aggiunto al romanzo dopo il processo per oscenità in quanto alcuni avevano visto certi elementi sombolici come… ehm, un po’ troppo simbolici).
    Poi, ciascuno è libero di fornire la propria interpretazione di ciò che scrivo.
    Mi infastidisce, casomai, che cerchino di convincermi di sapere meglio di me di cosa stessi parlando, cosa intendessi veramente, quali fossero i miei scopi e le mie aspirazioni.
    È un comportamento che paragono a quello di chi, assistendo allo spettacolo di un prestigiatore, invece di godersi la magia cerca disperatamente di vedere dove stia il trucco, e al contempo ripeta, ad ogni nuovo effetto, “Sì, certo, però c’è il trucco.”
    È indubbio che chiunque scriva esprima la propria individualità attraverso ciò che scrive – ma sarebbe bello se ci venisse fatto il credito di non esprimerla in maniera tanto grossolana, pedestre e stupida.
    Che poi ci siano lettori che si sentono “presi in giro” se nella mia storia io non ci metto una bella fetta della mia vita, magari ben etichettata perché sia riconoscibile, e se non c’è loro son convinti che ci sia lo stesso e chi sono io per negarlo (solo l’autore, che sciocco!) è un pensiero vagamente inquietante.

  • @Simone: allora, vediamo un po’. Speravo che fosse ovvio ovvio ovvio che nessuno scrive a prescindere da se stesso. E quindi ovvio ovvio ovvio che sì, c’è qualcosa del mio Vissuto in tutto quel che scrivo. (Tra l’altro, trovo “vissuto” un’orribile parola, ma questa è un’altra faccenda. Ne parleremo.)
    Detto questo, sono una persona riservata. Magari non sembra, visto che oltre a scrivere narrativa a fini di pubblicazione, confesso nell’etere fobie, likes e dislikes, furie e ossessioni via blog… Ma in realtà, lo dicevo di recente a un amico che legge SEdS, nemmeno un blog equivale ad aprirsi le coronarie e versarne il contenuto nell’etere.
    Detto anche questo, non mi spiego perché un lettore dovrebbe sentirsi preso in giro se non sa esattamente su quale trauma infantile, paura nascosta o convinzione irrazionale è basata ogni singola pagina di quel che scrivo…
    Dici che se insegni in un certo modo è solo perché tu sei fatto così. Very well, ma citami l’ultima volta in cui qualcuno ti ha chiesto quanto c’era del tuo vissuto nel modo in cui racconti, che so, i 23 problemi di Hilbert… Nessuno l’ha mai fatto, giusto? E se qualcuno lo facesse, resteresti perplesso nella migliore delle ipotesi, perché tu insegni matematica, non ti offri alla vivisezione per la causa della conoscenza dello spirito umano…
    Same here, con la differenza che, anziché insegnare matematica, racconto storie.
    Non mi irrita affatto che il lettore mi immagini come preferisce sulla base delle mie storie: a irritarmi è che, non contento di immaginare, voglia scavare nella mia psiche per vedere che cosa “nascondo”.
    Dici che è calore umano? Mah, a volte sembra curiosità un filino morbosa. Oppure un’ansia di verificare qualche genere di onestà da parte mia. Oppure ancora una seria mancanza di prospettiva, perché quel che gli scrittori scrivono sono storie.
    In cui, è vero, non prescindono da se stessi, ma osservano, astraggono, ricamano, estrapolano, combinano, inclinano a 45° e tingono di violetto…

  • @Davide: forse la migliore della mia esperienza è stata la spiritista. Ebbene sì: una spiritista tedesca mi ha detto che i miei romanzi non li ho scritti io. Me li hanno dettati, rispettivamente, l’Ammirabile Critonio e Sir Thomas Urquhart, Annibale e i ragazzi di Strada Nuova.
    “Ma vedi, i ragazzi di Strada Nuova sono fittizi…” ho pigolato io.
    “Nein: gli spiriti dei veri studenti ti hanno usata come canale perché l’Umanità conoscesse la loro storia. I nomi non importano.”
    Per cui è chiaro che, se scrivo romanzi storici, il mio Vissuto contempla episodi di possessione…
    E dunque c’è il trucco.
    Alla fin fine, è di nuovo quella questione di sfiducia di cui si è parlato ripetutamente, credo: tu, o Scrittore, non conosci la grammatica e la sintassi meglio del tuo personaggio semianalfabeta, non puoi non condividere e sottoscrivere le orribili opinioni secentesche dei tuoi personaggi del Seicento, e di certo non sei capace di astrarre… Se è stampato lì, dev’essere vero, unfiltered and spontaneous. E dunque è inutile che cerchi di negarlo: sei ignorante, bigotta/o e credi ai fantasmi. E che cavolo, l’hai scritto a pagina 192!
    Nella migliore e più innocente delle ipotesi, hai solo scritto su dettatura il Vissuto altrui…
    *sigh*

  • Esatto, hai centrato il punto. Il lettore difficilmente concepisce che l’autore scriva un’opinione non condivisa. Per molti un romanzo è un saggio, cioè l’esposizione del punto di vista dell’autore, magari per interposto personaggio.

    Comunque varrebbe la pena di sottolineare un fatto ovvio: sono tutte questioni “leggere”, perché il bello della lett(erat)ura è che ognuno può divertirsi ad interpretarla a proprio piacimento. Una dimostrazione matematica può essere sbagliata, ma un romanzo non può.

  • La migliore, per quel che mi riguarda, è la ormai leggendaria “Tutto questo naturalmente è la metafora di un rapporto sessuale, no?” che una compagna del liceo (oggi psichiatra) mi rivolse dopo aver letto un mio racconto (sostanzialmente, Robinson Crusoe in salsa space opera).
    Avevo quindici anni.
    Mi lasciò abbastanza scosso.
    A seguire, l’altrettanto classico “Non posso uscire con uno che scrive storie sugli ometti verdi.” – frase usata da quella che stava diventando la mia ex per scaricarmi al primo anno di università.
    Traumatico.
    Io credo che molti abbiano così poca realtà nella propria esistenza, che la cercano disperatamente ovunque… 😉

  • @Simone: e che ne è stato del patto narrativo? Che fine ha fatto “contami una storia e fingiamo che sia vero – MENTRE ME LA CONTI”? Che vi abbiamo fatto, O Lettori, che non vi fidate più di noi? Eh? Eh?
    Oh tempora, o mores. Non ci sono più le mezze stagioni. Dove, dove, dove andremo a finire…

    @Davide: be’, devi ammettere che come Dear John Experience è… piuttosto unica. Omini verdi. Non ho mai avuto occasione o necessità di lasciare uno scrittore – ma ti dirò, dovesse capitarmi ci farei un pensierino, agli omini verdi.
    O dici che, venendo da me, non suonerebbe terribilmente credibile?

  • Che poi quell’H in Oh tempora non ci voleva… Mi è scivolata. Arrossisco, mi cospargo di cenere il capo e altre espressioni di penitente imbarazzo.

  • Tanto l’acca è muta, è come se non ci fosse.

    Aggiungo quale nota a pié pagina che mai, mai una sola volta, in una mia storia, mai, mai sono comparsi ometti verdi.
    O di altro colore, in effetti.
    Per cui il cliché mi urta anche abbastanza.

  • Mah, a questo punto potresti quasi scriverla, una storia di omini verdi…

    Do Shrinks Dream Of Little Green Men? 🙂

  • @laclarina: Oh poveri voi scrittori! (qui l’acca ci vuole).

    Ma non è questione di fiducia, secondo me. Proprio stamattina leggevo un’intervista al noto (ex) giovane scrittore (ormai sessantenne), il quale sosteneva che i personaggi dei romanzi sono sempre parzialmente alter ego dell’autore. Forse avete cominciato voi scrittori, a viziare noi lettori 🙂

    Poi è vero che i lettori sono necessariamente voyeurs, giacché si intrufolano nelle vite dei personaggi fittizi e vorrebbero farlo anche con la vita degli scrittori reali.