Senza Errori di Stumpa

La Consolante Provvisorietà Delle Prime Stesure

Scrivere una prima stesura è come orientarsi a tentoni in una stanza buia, o traudire una conversazione sussurrata, o raccontare una barzelletta senza ricordarsi come va a finire. Non so più chi abbia detto che si scrive più che altro per riscrivere e revisionare, perché è riscrivendo e revisionando che la nostra mente prende piena confindenza con ciò che abbiamo scritto.

E questo era Michael Seidman, citato da Cindy Vallar sulla HNR, un paio di numeri orsono.

Credo che sia qualcosa di terribilmente difficile da imparare, e in tutta probabilità la prima causa di morte letteraria. È difficile, difficile, difficile convincersi che la prima stesura è soltanto una prima stesura, il cui scopo è quello di buttar fuori un ragionevole abbozzo della storia. Per poi lavorarci su. Sistemare la logica, aggiungere folgorazioni, intonare la voce, aggiustare lo schema di colori, il ritmo e i particolare, scuotere la struttura e i meccanismi finché non funzionano alla perfezione – questi sono tutti compiti per la revisione.

E credete, non sto predicando – o, se lo faccio, predico prima di tutto a me stessa, perché per molti anni ho strologato fino alla nausea su ogni virgola della prima stesura e, una volta giunta alla fatidica paroletta di quattro lettere, non sapevo mai indurmi a nulla più di un safari a caccia di errori di battitura, una spolveratina qui, una timida sfrondatina là…

Ma ogni volta che si presentava la necessità – o la possibiltà – di un intervento più energico ripensavo a tutto il lavoro certosino e alla bruta fatica che avevo profuso nella prima stesura, e mi mancava il coraggio.

E questo, ammettendo che alla fatidica paroletta ci fossi arrivata affatto. Non vado per nulla orgogliosa della quantità di inizi che giacciono qua e là nel mio hardware, come ciclopiche ossa in un cimitero degli elefanti. Oh, sono tutte ossa lucidate a cera – talmente lucidate che ogni volta, alla prima difficoltà, al primo intoppo, al primo colpo di noia, ho ripensato a tutto il lavoro certosino e alla bruta fatica eccetera, e mi sono scoraggiata. 

Oppure sono ossa più nature, in cui mi pareva di non trovare la voce e il ritmo e il colore che volevo e, invece di dirmi che per quello c’era tutto il tempo, e avanzare da bravo soldato… indovinate un po’? Mi sono scoraggiata.

E ancora adesso, per quanto sappia che non è così che funziona, faccio una fatica del diavolo a non perdere una sessione di scrittura fissando lo schermo e tambureggiandomi sullo sterno la Marcia Funebre di Chopin con le dita, nell’insana fissazione di trovare la replica perfetta alla battuta del personaggio X.

E poi qualche volta mi rendo conto che non è affatto detto che la battuta di X resti così com’è indefinitamente, e forse se non riesco a trovare una risposta adatta è anche perché quella fettina di dialogo non va bene in generale, e comunque non è un problema che devo risolvere adesso, e allora aggiungo un’annotazione tipo [Y TAGLIA X A FETTINE MOLTO SOTTILI – CONCLUDENDO CON UNO SCONSIDERATO AFFONDO IN CUI NOMINA Z > CONSEGUENZE] e passo oltre. Ci penserò in fase di revisione – ammesso che debba ancora farlo.

E poi, quando arrivo alla revisione, qualche volta il problema si è risolto da sé, qualche volta è superato, qualche volta richiede ulteriori cogitazioni, ma…

Badate a questo, perché è importante – ed è l’acqua calda, I know, eppure vorrei che qualcuno me l’avesse detto prima, e anche adesso che lo so, sentirei il bisogno di incidermelo in fronte*. Dico davvero, badateci:

Il punto è che, quando si arriva a riscrivere e revisionare un nodo lasciato indietro, si è forti di tutto il resto della storia. Si sa che cosa succede dopo. Si sa come va a finire. Si sa dove e come possono germogliare le conseguenze del nodo. E, cosa non indifferente, si ha molta, molta, molta più confidenza con la storia in generale. 

Per cui, a parte tutto il resto e a parità di problema, le probabilità di saperlo risolvere in seconda stesura sono infinitamente superiori a quelle che si avevano prima.

Ecco.

Perché è in revisione che si trova l’interruttore, o ci si avvicina alla gente che sussurra, o ci si ricorda come va a finire la barzelletta. E, a differenza dei narratori di barzellette, si può tornare indietro e raccontarla meglio.

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* Modo di dire che mi piace, ma non posso fare a meno di considerare un po’ scemo, perché una volta che me lo fossi inciso in fronte, non avrei modo di leggermelo. Avrei bisogno di qualcuno che me lo leggesse. Oppure dovrei farlo incidere a rovescio per poterlo leggere allo specchio. Ma c’è anche la possibilità che un’incisione in fronte sia un procedimento abbastanza doloroso da restare memorabile a lungo – insieme alla causa della sua adozione? Ma allora forse basterebbe un’incisione meno elaborata e da qualche altra parte che non fosse la fronte? E lo so, tutto ciò non ha un briciolo di senso e i modi di dire son modi di dire, ma abbiate pazienza: sono convalescente.

La Consolante Provvisorietà Delle Prime Stesureultima modifica: 2013-01-21T08:07:00+01:00da
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