Gen 25, 2013 - Lingue, Ossessioni    6 Comments

Crampi Verbali: I Miei Orribili Dieci

Si parlava di allergie, in un convivio di colleghi, insegnanti, attori e gente che, per lo più, ha a che fare con le parole.

Allergie verbali.

Quelle parole o combinazioni di parole che, incontrate per iscritto o udite in conversazione, scatenano violente reazioni in una gamma che va dal latte alle ginocchia ai travasi di bile. Qualcuno ha lamentato anche casi di crisi epilettica – ma si sa che la gente di teatro tende ad esagerare.

La conversazione è diventata subito una di quelle faccende à la figurine Panini, in cui ciascuno espone i pezzi della sua collezione personale, salutati da cori di “anch’io!” e proposte di pena. C’è stato chi ha proposto il gatto a nove code per gli abusatori di “virtualmente”, ma si sa che la gente di teatro, eccetera.

Tutti abbiamo questo genere di pet peeves, vero? Mi rifiuto di credere che il fenomeno sia limitato a me e ai miei commensali. Tutti desideriamo ringhiare di fronte a certi tic verbali, certi svarioni radicati al punto da franare in usi invalsi, certi luoghi comuni. Tutti concepiamo irragionevoli antipatie per gente colpevole solo di ripetere a ogni pie’ sospinto quell’avverbio che detestiamo. Vero?

Ecco, se mai ho accarezzato l’idea di darmi alla politica, è stato solo nell’intenzione di legiferare e rendere penalmente perseguibile l’uso di cose come… Vediamo un po’, in ordine sparso…

1) Il vissuto. Sostantivo, in genere accompagnato da un aggettivo possessivo. Quanto c’è del tuo vissuto in questo libro? Ho sentito l’esigenza di elaborare il mio vissuto… Cose così. E mi dà l’orticaria quando lo sento nella conversazione, ma trovarlo per iscritto… A meno che non si stia scrivendo la diagnosi di uno psichiatra, perché far suonare il proprio romanzo – o poesia* – come la diagnosi di uno psichiatra?

2) Solare. Riferito a persona. Immagino che di per sé non abbia nulla di male – voglio dire, non è la parola che sceglierei per descrivere qualcuno, perché è uno di quegli aggettivi pigri che voglion dire tutto e niente, ma non ci facevo nemmeno caso prima che diventasse più ubiquo di Hello Kitty. Possibile che le donne, le ragazze e le bambine siano tutte solari – specie se per un motivo qualsiasi se ne parla al telegiornale?

3) Ampio. Altro aggettivo pigro – il preferito dagli scrittori novellini, per i quali le scale sono sempre ampie, le porte sono sempre ampie, le stanze sono sempre ampie, le terrazze, le finestre, le strade, le scrivanie, le facciate, le distese di qualunque cosa… Che ne è di vasto, largo, sterminato, sconfinato, imponente, spazioso – e cito soltanto i primi cinque o sei che mi vengono in mente così, off the top of my head.

4) Forte. Terzo aggettivo pigro. Il momento forte, la presenza forte, e soprattutto l’abominevole segno forte. In alternativa, c’è chi usa “importante”, esattamente allo stesso modo – con l’eccezione del lettore forte. Oh, la gente che, senza preavviso e senza provocazione, annuncia: io sono un lettore forte – e dice sul serio!

5) Vicino casa. No, no, no, perbacco: vicino a casa. A casa. A. A. A casa!

6) Riappacificare. No, no, no, perbacco: rappacificare. Rap-pa-ci-fi-ca-re!

7) In velluto/legno di rosa/marzapane/pizzo spagnolo. Con i miei precedenti, non mi aspetto di essere presa sul serio se mi lagno di un francesismo, e allora dirò invece che usare “in” anziché “di” è brutto. La Grande Elisabetta entra nella sala del trono con le labbra strette e la fronte aggrottata. I cortigiani s’inchinano tanto a fondo quanto possono, e nessuno osa sollevare lo sguardo a incontrare quello furioso della regina. Tutti trattengono il fiato mentre Elisabetta raggiunge il trono tra due ali di schiene piegate, e per una piccola, scomoda eternità non si sente altro suono che il ticchettio dei regali tacchi e il fruscio delle regali gonne in velluto… Ed ecco che, dall’Inghilterra del Cinquecento, siamo precipitati nel Catalogo Vestro.

8) Uèlfar. Et caetera similia. Di nuovo, non dico che dobbiate prendermi sul serio, ma davvero: perché usare parole straniere per poi pronunciarle alla maniera degli gnu? Sì, d’accordo, riconosco che tutti diciamo compiùter e ci sentiremmo enormemente buffi a pronunciarlo alla maniera giusta, ma nondimeno…

9) Docciarsi. Giuro che non avevo idea. Poi una volta un’allieva l’ha usato in un racconto. Poi l’ho trovato su una rivista. Poi ho sentito un vicino di posto in treno che, al telefono, giurava che non sarebbe stato in ritardo: “Il tempo di docciarmi e arrivo”. È talmente orribile che non mi sentirei di scartare drasticamente il gatto a nove code.

10) Piuttosto che. Cosa, cosa, cos’ha che non va il buon, vecchio, collaudato, monosillabico, elegante “o”?

Ecco. Dieci, come promesso – e per una volta non intendo sforare, anche se potrei proseguire a lungo. Ci sono svarioni, ci sono vezzi giornalistici, ci sono immotivate avversioni personali, ci sono questioni di logorio. Il guaio è che tutte queste magagne – meno la n° 6, ma solo perché per iscritto non si pronuncia – le vedo penetrare, mettere radici e proliferare nella scrittura, con la giustificazione che “si dice”, e allora alle volte mi prende un tantino di sconforto e di acidità di stomaco… E poi mi vien da dirmi: chissà quanti idiotismi uso che fanno sobbalzare il prossimo, e allora sospiro, e scuoto il capino e mi astengo dall’omicidio – anche in forma lieve.

E voi che mi dite? Quali sono le vostre allergie linguistiche e verbali? Cos’è che, in conversazione, al tiggì e in lettura, scatena il vostro spirito glottocrociato? 

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* No, really. Giuro che mi è capitato. Una poesia – almeno nelle intenzioni dell’autore – con il dannatissimo vissuto conficcato in un verso…

 

Crampi Verbali: I Miei Orribili Dieciultima modifica: 2013-01-25T08:10:00+01:00da laclarina
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6 Commenti

  • 2) Solare è un aggettivo perfettamente sensato: si usa per trasmettere l’allegria delle giornate di primavera e d’estate. Che male c’è ad usarlo?

    6) Rappacificare: vedi riappacificare. Evidentemente è una variante accettata, ad esempio dal Sabatini&Coletti.

    7) Il catalogo Vestro, ricordo della nostra generazione, si è estinto anni fa 🙂

    8) Di grazia, come si pronuncia computer? Direi come l’hai scritto tu (fatta salvo l’accento latino, che è pressoché impossibile eliminare del tutto). Riferimento: http://www.macmillandictionary.com/dictionary/american/computer
    Ma poi, vogliamo parlare dei francesi che francesizzano ogni lingua?

  • 2) Solare poteva essere perfettamente sensato prima che diventasse universale. Non è possibile che siano *tutti* solari. Può piacere o non piacere, ma adesso è così logoro che non significa più granché.
    6) Riappacificare è, semmai, un uso invalso e moderno. Tra l’altro, significa qualcosa di leggermente diverso, perché il prefisso ri- ha senso iterativo, e dunque “condurre alla pace di nuovo”, mentre il prefisso eliso ha valore intensivo: “condurre attivamente alla pace”, o qualcosa del genere. In teoria, e in senso stretto, puoi riappacificare i coniugi che andavano d’amore e d’accordo fino al litigio di ieri sera, ma puoi soltanto rappacificare Israeliani e Palestinesi – se ci riesci. Quindi, nella migliore delle ipotesi, riappacificare è costantemente usato nel modo sbagliato. E poi non mi piace, che devo farci? Sono i miei crampi verbali, dopo tutto… 🙂
    7) Lo so che è estinto da tempo. Anche le calende (greche od otherwise) sono estinte da tempo, eppure le si usa in conversazione, giusto?
    8) Di sicuro non si pronuncia con la erre finale bene arrotata – e mi guarderei bene dal prendere i Francesi a modello di alcunché, in fatto di lingua, ma meglio l’ordinateur che le compiutèr, non credi?

  • 6) Qui chiedo venia. Io pensavo proprio al recupero della pace.

    7) Sì, ma i “ggiovani” potrebbero non capire l’esempio 😉

    8) Si vede che sei venuta su in Britannia, con quell’orribile pronuncia senza la “r” 🙂 Lord non è Lawd, New York non è New Yawk 😉 E computer si pronuncia più o meno [compiuder], con tanto di erre.

    Ovviamente sto giocando, qualcuno ha orrore della pronuncia del Wisconsin quanto ne ho io dell’accento british.

  • Avendo militato – per circa un quarto d’ora – in una band che si chiamava (o avrebbe voluto chiamarsi) “Beggars in Velvet”, il discorso sul velluto mi tocca da vicino 😀
    (però non era nel senso di “fatti di” ma di “vestiti di”, e quindi… ok, ok, sto divagando)

    Sulle parole straniere pronunciate all’italiana – se sono state acquisite come neologismi a pieno titolo nella nostra lingua (come computer, del quale l’alternativa nazionale, calcolatore, è estinta), tendo ad essere molto tollerante. Ma d’altra parte ho parlato in inglese coi giapponesi, ed è un’esperienza che ti cura da qualsiasi ambizione di perfezionismo. Mi irrita molto di più, a dire il vero, quando le parole straniere vengono utilizzate a capocchia, in sostituzione di parole italiane perfettamente funzionanti – vedi l’incresciosa faccenda dell’essere “choosy” – o per significare cose radicalmente diverse dal significato effettivo; e in quei casi la corretta pronuncia non è, per me, un’attenuante.

    Ho conosciuto un sacco di persone che mi sono state presentate come “solari” – erano tutti invariabilmente degli individui intollerabili.

    Aggiungo di mio due brutture che detesto – l’uso di “assolutamente” e l’inammissibile (e mi auguro in via d’estinzione) “è molto vero.”

    Ah, sul “piuttosto che” sono stato duramente redarguito per averne fatto uso, una volta, sul mio blog.
    Quando ho risposto con una battuta al mio revisore (questo mondo si sta riempiendo di editor), quello ha smesso di seguire il mio blog e non ha mai più commentato.
    Non me ne lamento.

  • Oh, d’accordo entrambi, potremmo sospendere il discorso sulla pronuncia – però resto dell’idea che sentir gente che conciona di uèlfar sia una delle cose brutte della vita…

    @Davide: ho incontrato una persona che presenta se stessa come “molto vera e solare” e… non lo so, non la conosco a sufficienza, perché dopo un’autopresentazione del genere non ho avuto cuore di approfondire la conoscenza, but really. 🙂

  • Mi sforzo di tollerare qualsiasi parola e/o frase che ha più della recita che di farina propria; è molto difficile però.
    Enzo