Scusatemi Se Da Sol Mi Presento

jeff vandermeer, prologhi, shakespeare, marlowe, shaw, dickens, manzoni,  Magari l’avrete letto in qualcuno di quegli articoli o post del genere “dieci cose che gli editor non sopportano”, o “dodici modi sicuri per farsi respingere un manoscritto”…

A suo tempo, credo di averne fatto uno anch’io, ma adesso non ho tempo di andarlo a cercare.

Anyway, se avete letto anche solo una lista del genere, odds are che ci abbiate trovato il Prologo.

E sapete che cosa vi dico, tanto da editor quanto da lettrice?

Che è proprio vero: di prologhi non se ne può più.

Che poi, sia chiaro, il Prologo in sé non ha nulla di male. Espediente narrativo mutuato dal teatro*, in base al quale un piccolo non-capitolo introduce atmosfera, precedenti, informazioni che verranno buone poi, chiarimenti dell’autore, esche… cose così.

E mi viene subito in mente una manciatina di prologhi teatrali che adoro –  lo shakespeariano O for a muse of fire dell’Enrico V, oppure l’orgogliosa rivendicazione del Tamerlano senza burle di Marlowe, o le  meditazioni di Shaw in fatto di storia prima di Cesare e Cleopatra…

Quanto a prologhi narrativi… scommetto che non vi stupirete se cito Dickens: it was the best of times, it was the worst of times… E lo scartafaccio secentesco dei Promessi Sposi. O la brevissima, folgorande invocazione agli spiriti che apre Entered from the sun. E, a dire il vero, poco di più.

Perché il fatto è che non è comunissimo trovare un prologo che faccia quel che deve fare: afferrare il lettore per la collottola e trascinarlo dentro la storia – possibilmente con una manciata di domande in tasca. E ciò benché i prologhi siano tornati di gran moda, soprattutto nelle storie di genere.

Non avete idea di quanti prologhi mi siano capitati fra le mani, con una protagonista narratrice che, mentre scappa o si nasconde, ritenendosi in punto di morte, comincia a ripensare a come è arrivata fin lì… Effetto Twilight, naturalmente – e sembra difficile convincere gli (o più spesso le) aspiranti che, qualsiasi cosa si pensi dei vampiri luccicanti, la cosa è già stata fatta, ripetutamente. E quindi adesso, quando vedo un prologo del genere, non sono più catturata, non mi domando che cosa ne sarà della nostra eroina, come ha fatto a trovarsi lì, chi la sta inseguendo… mi limito a levare gli occhi al cielo.

E lo stesso vale per i prologhi incomprensibili e/o aulicissimi, e magari drasticamente diversi dal primo capitolo. E tanto più se poi (e capita, oh se capita) la rilevanza del prologo rispetto alla storia si rivela labile o nulla…

Ho detto che voglio esserci trascinata, nella storia – ma con la forza, non con l’inganno.

E quindi? E quindi un tempo avevo fede nel prologo, e adesso non l’ho più. E quindi, quando sono tentata di iniziare una storia con un prologo, ci penso su due volte. E in genere decido che il prologo in realtà può benissimo diventare un primo capitolo. O, in alternativa, può essere capitozzato senza remore.

Ma se proprio non potessi farne a meno? Se avessi un antefatto che succede troppo tempo prima rispetto all’inizio della storia vera e propria? Se non povressi far funzionare la storia senza stabilire una premessa, seminare un indizio, preparare una sorpresa? Be’, allora credo che terrei presente la rana pescatrice dell’illustrazione lì in cima** (che, tra parentesi, è di Jeremy Zerfoss e viene da Wonderbook: The Illustrated Guide to Creating Imaginative Fiction di Jeff VaderMeer), e baderei bene a concepirlo come un’esca, il prologo: appetitoso, luminescente e irresistibile – proprio davanti alle fauci spalancate della mia storia.

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* E se andate a vedere il dizionario Treccani, difatti, ci trovate solo definizioni di ordine teatrale o figurato – ma nulla di narrativo, se non a margine della sezione “estens. non com.” del lemma.

** Cliccate (orrida parola) per vedere il pescione in tutto il suo istruttivo splendore.

Scusatemi Se Da Sol Mi Presentoultima modifica: 2013-10-18T08:07:00+02:00da laclarina
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4 Commenti

  • accidenti, mi preoccupi!… Io ci vivo, di prologhi!

  • Per la serie di storie che sto scrivendo, ho cercato di definire una struttura che sia consistente (che si ripeta in altre parole da una storia all’altra) e che resti flessibile (perché ogni storia deve essere unica).C’è anche il prologo, che ha una forma e una funzione definite e precise, ed è (forse) l’unico elemento immutabile della struttura.Mi serve a mettere in movimento le lancette dell’orologio, dando urgenza alla storia, mi serve a presentare personaggi che quando arriveranno sulla scena non avranno il tempo di essere particolarmente approfonditi, mi serve ad ingannare il lettore, distrarlo, coglierlo di sorpresa.Pare funzioni.Ma io il prologo ce lo metto anche nella non fiction – i miei saggi hanno sempre un capitolo inziale che svolge solo ed esclusivamente due funzioni: fornisce il background degli eventi che descriverò in seguito, e presenta al lettore il mio modo di parlare di quegli eventi, che non è propriamente quello del saggio paludato.Anche questo pare funzionare.

  • Posto che la saggistica è un cavallo di un altro colore, non ho detto, signori, che il prologo non s’ha da fare a nessun patto, che è cosa ingiusta e malvagia, che non esistono bei prologhi… Dico solo che la mia fiducia nel prologo è un tantino franata a valle sotto il peso di troppi esemplari della specie sciatti, fraudolenti*, pedissequi, supponenti o di dubbia utilità. Dopodiché, nessuno di voi due scrive alcunché di sciatto, fraudolento, pedissequo, supponente o di dubbia utilità – solo che, lo confesso, quando vedo il dialogo mi si stringe un nonnulla lo stomaco. Reazione irragionevole, se volete, pregiudizio even, e poi magari mi ricredo, ma non so che farci. Troppi prologastri mi hanno reso il genere indigesto. Then again, it might be just me. 🙂 __________________________________* Sì, avrei fatto meglio a dire che nelle storie non voglio esserci trascinata con la frode, perché in realtà l’inganno va benissimo.

  • … Né io ho inteso che tu rivolgessi tali accuse al prologo tout court o, (shock horror!) ai _miei_ prologhi!Cercavo piuttosto di integrare il tuo discorso – ogni elemento della storia (come ogni elemento del pesce) è parte integrante del tutto, ed ha una sua funzione nell’economia della narrativa.Ragionando sulla struttura, è possibile far qualcosa di nuovo anche con vecchi elementi narrativi.In caso contrario, se una parte della narrativa non agisce in combinazione con tutte le altre, o se la sua funzione è distorta o tradita, allora sarebbe meglio tagliarla.il prologo è diventato un’abitudine, come quella di scrivere narrativa fantastica in trilogie – non è frutto di un ragionamento, di un disegno, di un paino, è solo che lo fanno tutti: “Tutti i libri che ho letto avevano un prologo e arrivavano a gruppi di tre, io faccio uguale.”In questo caso non posso che condividere il raccapriccio – il prologo di routine è solo una perdita di tempo, che mi trattiene con vuoti bal bla mentre io vorrei entrare nell’azione.Ma il fatto che esistano autori cani non è, naturalmente, colpa del prologo 😉