A Volte È Troppo

Tardissimo – scusate.

Eccomi qui. In corsa. *Pants a little*

Allora, post.

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Tutt’altro che male…

C’è questo libro ambientato a Parigi. Leggerlo non è stata una mia idea: è arrivato con il pacco della HNR. Mezza spanna di hardback bello fitto, di un’autrice che non ero troppo sicura fosse nelle mie corde. E invece… sorpresa. Scrittura molto piacevole, ambientazione men che consueta, ottimi personaggi, atmosfera amarognola, bei temi, trama interessante che procede per rivelazione progressiva di segreti su segreti. Tutt’altro che male.

Molto presto nella storia si capisce che c’è un’agnizione all’orizzonte. Ah well, ci sta. L’autrice l’ha preparata bene, e s’incastra alla perfezione con tutto il resto. E se noi lettori sospettiamo che, quando scoppierà, la bomba debba travolgere l’ignara protagonista in modi sgradevoli, ben presto un’altra rivelazione arriva – seconda agnizioncella minore di segno opposto – a rimettere tutto a posto.

Be', dài, ci sta...

Be’, dài, ci sta…

E noi non possiamo nemmeno storcere troppo il naso, perché, di nuovo, è congegnata piuttosto bene e ci sta – narrativamente, storicamente e psicologicamente. E quindi? Tutto bene?

Tutto benone, finché – poco, pochissimo più tardi, non ci troviamo indotti a sospettare che il personaggio che non è chi credeva di essere  sia in realtà il figlio perduto del Mezzosoprano in Disarmo…

E, per quanto mi riguarda, questo è il punto in cui questa storia va a sbattere contro un baobab – e a farsi male non è l’albero.

Ecchediamine: tre agnizioni – non solo nello stesso libro, ma all’interno dello stesso gruppo famigliare (di due), e nel giro di poche settimane? Il fatto che ne avessi ingoiate due va a pieno credito dell’abilità dell’autrice – ma tre? A meno che l’autore non sia defunto da un centinaio d’anni o non si tratti di una parodia di genere, mi rifiuto di prendere sul serio una storia con tre agnizioni…

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Ok, Ms. B. – mi hai persa per strada…

Fosse dipeso da me, avrei abbandonato la lettura. Siccome era lavoro, sono andata avanti, con il sopracciglio levato e il sorrisetto cinico,  trovandoci molto meno gusto di quanto avrei potuto…

Fino a dieci pagine dalla fine, quando la terza agnizione si sgonfia, la prima recede in secondo piano, l’equilibrio della storia si raddrizza e tutto si annoda in un finale dolceamaro e soddisfacente.

Un finale che non avrei mai raggiunto, se non avessi dovuto recensire il libro per lavoro. Non l’avrei raggiunto perché quello che sembrava un abuso di cliché aveva fatto franare a valle la mia sospensione dell’incredulità prima di pagina centocinquanta. Per cui sì, il rovesciamento del cliché a pagina trecentoquaranta è un grazioso coniglio da tirar fuori dal cilindro – ma ne valeva davvero la pena?

Valeva la pena di farmi credere di leggere un libro ridicolmente sovraccarico per poi sorprendermi alla fine con l’equivalente narrativo di un “Ci avevi creduto, eh? Sciocchina…”

A meno che, in realtà, l’agnizione n° 1 non dovesse rimanere nascosta, e diventare palese soltanto dopo che la n° 3 era implosa? E magari l’ho notato troppo presto perché sono un’iperanalizzatrice troppo presa dai meccanismi per godersi il giocattolo?

Può darsi – e questo è il motivo per cui non vi dico di che libro si tratti – caso mai vi capitasse in mano, così com’è o quando e se verrà tradotto.

E tuttavia, non posso fare a meno di trovare una morale in tutto questo: a volte, voler essere troppo in gamba rischia di non pagare…

A Volte È Troppoultima modifica: 2014-06-27T12:37:47+02:00da laclarina
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5 Commenti

  • Per la serie “Confessions of a Hack” – trovo l’espressione ‘agnizione’ assolutamente insopportabile – è come sentire qualcuno che mastica cubetti di ghiaccio.
    E sorvoliamo sul fatto che mi faccia venire in mente una malattia cronica, qualcosa che capita ad un organo fuori mano e dal nome improbabile e ti obbliga ad una dieta a base di barbabietole.
    “Una brutta agnizione della cistifellea.”
    Detto tutto ciò – che ha ben poca imporanza, mi rendo conto – sì, a volte cercare di essere troppo in gamba è deleterio.
    E sottolineo cercare… perché se ci si riesce, allora nessuno se ne accorge 😉

  • …posso dire che anch’io trovo “agnizione” raccapricciante? roba da costruirci su un girone infernale?…

  • È come se il punto non sia più Raccontare una storia, ma Raccontare qualcosa sulle storie.

    Ho appena finito Roderick Duddle di Michele Mari, un libro che fa il verso a tutta la narrativa per ragazzi anglosassone dell’ottocento, e che mi ha irritato per motivi simili. Evidentemente l’autore si sente troppo colto per raccontare una storia vera e verosimile, per cui racconta storie di storie di storie, perdendo via via il contatto con la vita. La mia prof diceva “cade nell’accademia e nell’autoreferenzialità”, quando la letteratura non raccontava più la vita ma altra letteratura. E l’espressione aveva accezione negativa. :-\

  • Un caso differente è quello di Michael Chabon, che in Gentlemen of the Road prende una struttura tipica e dignitosissima – quella della narrativa avventurosa alla maniera di Harold Lamb o Rafael Sabatini – e poi decide di “nobilitarla”, cacciandoci dentro un sacco di ironici strizzamenti d’occhio al lettore, come se volesse dire “ehi, è avventura storica, lo so che è pattume, ma guarda io come ne sfrutto gli elementi per fare dell’acuta satira di costume!”
    Il risultato è orribile, e pressocché illeggibile.
    Too clever for his own good, come ha osservato un critico.

  • 😀 Uh… non mi aspettavo tanta ostilità per la povera agnizione… Che ha di male, povera paroletta? Ma d’altra parte, ciascuno ha i propri pet peeves.

    Detto ciò, devo dire che in generale non ho nulla contro le storie di storie – anzi. (E tutto considerato, è qualcosa su cui mi stupisco di non avere ancora scritto un post. Provvederemo.) Però, una volta di più, mi aspetto che si metanarri con garbo e con grazia. Il discorso è sempre lo stesso: conducimi in tondo per tutti i prati che vuoi – a patto che tu lo faccia per bene.
    Che poi, a voler vedere, questo libro qui non ha nessun tipo di velleità metanarrativa: si limita a sacrificare metà della storia e metà del patto narrativo per amore del ribaltamento finale… In un racconto, probabilmente, sarebbe stato un gioco piuttosto brillante. In un romanzo, alas, mi sa di Provarci Un Po’ Troppo.