Lug 11, 2016 - libri, libri e libri    2 Comments

A Puntate

Pubblicare a puntate su un periodico è una prassi editoriale per una quantità di scrittori tra Otto e Novecento. Da Dickens a Dumas, da Dostoevskij a Stevenson, da Collodi a Joyce, sono tanti gli autori che hanno conosciuto le gioie e i tremori della pubblicazione a episodi.

240px-Pinocchio_visto_da_Enrico_Mazzanti_%281883%29.jpgLa prima parte de Le Avventure di Pinocchio, per esempio, uscì a puntate su Il Giornale Per Bambini, tra il 1881 e il 1883, mentre Nulla Di Nuovo Sul Fronte Occidentale, di Remarque, fu serializzato tra il novembre e il dicembre del 1928 sulla Vossische Zeitung. Questa forma di pubblicazione era onnipresente e onnigenere: i romanzi di Stevenson uscivano in periodici per ragazzi, il gialli della Christie in volumetti settimanali non dissimili dai nostri Mondadori, Tolstoj e Dostoevskj comparivano sui settimanali letterari pietroburghesi. Forse il procedimento è più sorprendente per Finnegans Wake, data la natura della faccenda, e tanto più perché non si può nemmeno considerare una vera e propria pubblicazione a episodi: brani sparsi, presentati come “estratti di un’opera in corso di scrittura”… ma d’altra parte, stiamo parlando della Parigi degli Anni Venti. All’elenco possiamo aggiungere Zola (Au Bonheur des Dames, Germinal), Conrad (quasi tutto), Bulgakov (Il Maestro e Margherita), Flaubert (Madame Bovary), Kipling (Kim), e poi Oscar Wilde, Mrs. Gaskell,  Henry James, Sienckiewicz, Thackeray, Michel Faber in anni più recenti, e siamo lontani dall’avere finito.

Mi viene da pensare che i tremori dovessero essere molti più delle gioie – o forse è solo una questione di inclinazioni personali. Non è neanche tanto l’idea di dover produrre settimanalmente (o bisettimanalmente, a seconda dei casi) una determinata quantità di parole, quanto il fatto che non possono esserci ripensamenti. Gente saggia come Stevenson e Agatha Christie vendeva al periodico il romanzo già completato, pronto da dividersi a fette – e fin qui tutto bene. Poi c’era la gente come Dickens, che produceva di volta in volta, e qui cominciavano i guai.

Avete presente quegli incubi in cui si scopre di non avere fatto, dopo tutto, l’esame di maturità? Ecco, The_Old_Curiosity_Shop_10.jpga volte, leggendo Dickens, si ha la sensazione che scrivere a puntate dovesse essere un costante stato di questo genere. Perché se al capitolo XXIV si immagina un’utilità narrativa del tutto nuova per un personaggio che si è introdotto al capitolo IX – solo che questa nuova utilità richiede una personalità del tutto diversa, non c’è più modo di tornare indietro a modificare il personaggio in questione, perché il capitolo IX è già stato pubblicato da settimane e mesi… Dickens, apparentemente, non si faceva soverchi scrupoli: in The Old Curiosity Shop, Dick Swiveller comincia mascalzone e finisce buon ragazzo – senza nessun particolare sforzo di transizione. Mi par di vederlo, Dickens, che scrolla le spalle alle sue pagine manoscritte, si stropiccia il naso, e borbotta: “E che diavolo, chi vuoi che si ricordi se era buono o cattivo? Sono passati mesi!” Il che poteva forse valere relativamente per i lettori dei periodici*, ma produce un effetto lievemente bizzarro nella lettura in volume.

King_Philip_and_Don_Carlos.jpgSchiller fece di peggio, quando cominciò a scrivere il suo Dom Karlos, Infant von Spanien – e a pubblicarlo a puntate sulla rivista Thalia – senza essersi particolarmente documentato in fatto di storia spagnola. Poi ci ripensò, si mise a leggere furiosamente e fece un sacco di scoperte. Peccato che i primi due atti fossero già usciti – ma dal terzo atto in poi, il dramma sterza bruscamente: quella che era stata principalmente una vicendona sentimentale di amore negato e adulterio platonico assume connotati politici più precisi, il protagonista nominale viene relegato in un angolo e Re Filippo, Posa e il Grande Inquisitore prendono centre-stage. Dire che l’insieme è un tantino ineguale è una descrizione blanda, e a giudicare dalle sue lettere, Schiller ne era dolorosamente consapevole. Quello che stupisce, semmai, è che né Dickens né Schiller si siano mai disturbati a smussare qualche angolo prima della pubblicazione in volume – o per qualche edizione successiva…

Ma ci sono anche le gioie, immagino. Il contatto con il lettore, il feedback immediato (Dickens riceveva tonnellate di posta, ed era molto sensibile agli umori del pubblico), per non parlare della pressione continua dello scrivere sempre sotto scadenza – il che, detto fra noi, è il migliore incentivo alla produttività e/o all’esaurimento nervoso.

E d’altronde, la narrazione a puntate è un’idea talmente radicata nell’animo umano da essere un topos letterario a sé: basta pensare a Le Mille E Una Notte, con Sheherazade che ogni notte compra un altro giorno di vita lasciando in sospeso una storia – o, meno drammaticamente, a Giovannino Guareschi che maledice il giorno in cui ha creato un personaggio immaginario per Alberto e la Pasionaria, condannandosi a inventare un’avventura nuova ogni sera, perché i bambini non consentono al padre di liberarsi del piccolo protagonista, per quanto lui tenti in ogni modo di mandarlo a una fine cruenta…

A quanto pare, sarà vero che nessuno resiste a “C’era una volta”, ma anche un bel cliffhanger con il cartello “Continua…” non scherza affatto.

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* O forse no, se è vera la storia della gente che, sui moli di New York, aspettava le navi dall’Inghilterra per sapere se la piccola Nell era morta…

A Puntateultima modifica: 2016-07-11T08:07:00+02:00da laclarina
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2 Commenti

  • È interessante notare come la narrativa seriale sia tornata ad essere popolare con l’avvento dell’editoria elettronica. L’idea di una storia in puntate settimanali, che arriva in automatico sul tuo reader, a fronte di un abbonamento per una cifra irrisoria, ha avuto molto successo.
    Il che mi ricorda che devo andare a preparare un pitch per una serie in 12 puntate…

  • È chiaro che, narrativamente parlando, certe cose non cambiano mai…