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Mag 18, 2016 - angurie    Commenti disabilitati su Zot!

Zot!

writtSiede la Clarina e scrive. O meglio, ella revisiona. O meglio ancora, dovrebbe revisionare. All’atto pratico, appollaiata  nel suo angolo di divano, la Clarina fissa ferocemente un pezzetto di Capitolo Terzo sullo schermo del computer. E intanto si mordicchia il labbro, e agita le punte delle dita a un paio di centimetri dalla tastiera.

L’ospite P, insediata in poltrona, legge. E legge. E legge.

La Clarina sospira.

E P legge.

E la Clarina mugugna.

E P legge.

E la Clarina geme.

E P chiude il libro e contempla per un pochino la Clarina e poi…

P. “Perché, o Clarina, fissi ferocemente un pezzetto del Capitolo Terzo, e ti mordicchi il labbro, e agiti le punte delle dita a un paio di centimetri dalla tastiera, e sospiri, e mugugni, e gemi? Eh? Perché?

C. “Sono bloccata. Mi serve una battuta fulminante…”Zot

P. (prontissima) “Muori?”

La Clarina sussulta e si abbandona a un convulso di cachinni.

C. (tra un cachinno e l’altro) “Non… Non… non così drastica…”

P. (altrettanto pronta) “Be, allora Ti venisse un fulmine? È più soft, volendo.”

Eh. Volendo proprio tanto…

No, così. Perché queste cose a casa mia succedono davvero.

Dovevo mettervi a parte.

Apr 29, 2016 - angurie    Commenti disabilitati su Coda…

Coda…

Serpent

Vista la creatura? Vista la coda?

Ecco.

Vi spiegherò – portate pazienza.

Mar 18, 2016 - angurie    Commenti disabilitati su Fuoco!

Fuoco!

0395_light_my_fire.jpgCi sono cose che l’umanità comincia con l’adorare, poi ne fa un simbolo e come tale lo passa in letteratura – il che, a suo modo, è un’altra forma di adorazione più complessa.

Il fuoco appartiene alla categoria a pieno titolo.

Non c’è mitologia che non abbia la sua divinità del fuoco, dall’indù Agni, messaggero divino eternamente giovane che rinasce ogni mattina, all’irlandese Brigit, poetessa e signora delle fiamme alte, dal greco Efesto, protettore dei fabbri, al giapponese Kojin, che protegge i focolari e simboleggia la violenza degli elementi posta al servizio dell’umanità.

I significati simbolici associati al fuoco sono numerosi, positivi e negativi: rinnovamento, purificazione, immortalità, iniziazione, sacrificio, forgiatura, distruzione… basta pensare al mito della Fenice che brucia e rinasce dalle proprie ceneri, a Prometeo che ruba il fuoco agli dei per emancipare almeno un po’ l’umanità, alle fiamme che custodiscono il sonno della valkiria disobbediente, alla colonna di fuoco che guida Mosè e i suoi nell’Esodo, al fuoco inestinguibile di Vesta, alle fiamme della dannazione eterna.

Il fuoco è bello e pericoloso, benefico e distruttore, utile e terrificante: cosa potrebbe essere più adatto a rappresentare la divinità? E poi, essendo il poeta sempre un essere prometeico, il fuoco viene strappato all’esclusiva raffigurazione divina per diventare in letteratura un elemento simbolico della natura e delle azioni umane.

Frate Fuoco, secondo San Francesco, è “bello, et robustoso et forte”, ma qualche decennio più tardi “S’i fosse fuoco arderei l’mondo,” canta quel cattivo soggetto di Cecco Angiolieri, eleggendo le fiamme a segno della sua indole sfrenata. Più o meno negli stessi anni, Dante di fuoco ne sparge per tutto il suo visionario aldilà: il fuoco del tormento che lambisce “ambo le piote” ai simoniaci, o le lingue di fuoco che avvolgono i consiglieri fraudolenti, le fiamme dei lussuriosi nel Purgatorio e il fuoco mistico e luminoso del Paradiso.

Ma oltre a queste connotazioni di contrappasso morale, il fuoco ne assume di più decorative e alphabet-light-writing.jpgdescrittive. Shakespeare, all’inizio dell’Enrico V, fa chiamare al suo prologo una Musa di Fuoco, necessaria a cantare gli eventi grandiosi e tragici che, o Spettatori, state per veder rappresentati. Il fuoco torna spesso in Shakespeare, con tutta la varietà possibile, dal fuoco pallido della luna al fuoco dell’amore – più difficile da spegnere di quanto non lo sia accendere il fuoco vero con la neve. Marlowe usa il fuoco in tutte le sue varietà simboliche e concrete nella maggior parte delle sue tragedie: i suoi personaggi seguono fuochi nel cielo, hanno temperamenti di fuoco e occhi fiammeggianti, muoiono di dolori che bruciano le viscere, incendiano città, palazzi e laghi (sì, laghi), invocano il fuoco alchemico, torturano e sono torturati con ferri incandescenti o vengono bolliti a morte, temono, minacciano e sperimentano le fiamme dell’inferno e portano molto fuoco in battaglia. Amore, peccato, fierezza, ambizione, sfida, orgoglio, bellezza, arte…

Tutto ben lontano dall’estasi febbrile di uno Schiller che, nell’Inno alla Gioia, decrive “noi” come “ebbri di fuoco”, dal fuoco che sussurra e mostra figure, unico e amatissimo compagno del fuochista che accoglie Nell e suo nonno nella dantesca fabbrica del Vecchio Negozio di Curiosità o, per restare con Dickens, dal fuoco che ruggisce allegro in ogni pagina di Canto di Natale. O ancora dal fuoco magico e benevolo in cui si manifesta il Dagda ne La Pietra del Vecchio Pescatore. Passione, gioia, ancora arte, entusiasmo, calore, sicurezza, protezione…

Ci sono metafore meno allegre e fuochi letterari più cupi. Ci sono incendi punitivi e vendicatori come quello appiccato dalla moglie pazza di Rochester in Jane Eyre, come le fiamme selvagge che distruggono il palazzo del tirannico Duca d’Ofena nelle Novelle della Pescara, o come l’ultima rivalsa della signora Danvers ne La Prima Moglie. Ci sono fuochi inquietanti, come quelli su cui si bruciano i libri (e occasionalmente i bibliofili) in Farhenheit 451. E ci sono le battaglie: l’incendio di Mosca in Guerra e Pace, le navi da battaglia in fiamme di Gli Androidi Sognano Pecore Elettriche, l’assalto alla prigione in Barnaby Rudge. Rabbia, furia incontrollata, vendetta, ferocia, distruzione, arroganza, guerra…

carols_hands.jpgCi sono anche fuochi in musica, come “l’orrendo foco di quella pira” (a tempo di valzerino), o l’autodafè e la “divina fiamma” del Don Carlos, o l’Uccello di Fuoco – che, incidentalmente, è anche una fiaba, la meta magico-mitica delle peregrinazioni di un principe piuttosto stupido. D’altra parte, anche nelle fiabe il fuoco non manca: avete presente, solo per citarne qualche caso, l’Acciarino Magico, il forno della strega di Hansel e Gretel, i fiammiferi della Piccola Fiammiferaia? Oppure, meno canonizzati ma onnipresenti, i fuochi fatui e le anime del purgatorio?

Insomma: religione, mito, fiabe, letteratura – non sembra esserci angolo del paesaggio interiore dell’umanità che resti immune al fascino pericoloso e fiammeggiante del fuoco. Non sarà più una divinità da tanti millenni – ma di sicuro il fuoco arde, ruggisce e illumina ben saldo nell’immaginario umano.

Feb 29, 2016 - angurie, cinema, Poesia, Shakespeare Year    Commenti disabilitati su Era una Giornata Bigia e Tempestosa

Era una Giornata Bigia e Tempestosa

brigadoon-jane-heronIl 29 di febbraio mi è sempre parso un equivalente di Brigadoon nel calendario… Voglio dire, appare solo una volta ogni quattro anni – per un giorno, perché è, per l’appunto, un giorno – e per il resto del tempo non c’è. Brigadoon.

Dev’essere bizzarro compiere gli anni in un giorno che c’è solo ogni tanto… Rossini, William Wellman, Balthus, Tim Powers: tutti nati il 29 di febbraio. Ripeto: dev’essere bizzarro.

Dopodiché non so come sia dalle vostre parti, ma qui piovono cani e gatti – e soprattutto tira vento da tre giorni. Magnifico, epico, glorioso vento…

E così ho pensato che sarebbe bella una tempesta in versi. Shakespeare, si capisce. Re Lear, atto 3, scena II.

LEAR
Soffiate, venti, a squarciarvi le guance!
cateratte del cielo ed uragani,
rovesciatevi a fiumi sulla terra,
fino a sommergere le nostre guglie
e ad annegarne i galli giravento.
Voi, fuochi di zolfo,
guizzanti rapidi come i pensieri,
avanguardie dei fulmini
che schiantano le querce,
scotennate questa mia testa bianca!
E tu, tuono, che tutto scuoti e scrolli,
percuoti la rotondità del mondo
fino a schiacciarla tutta, fino in fondo,Lear-in-the-Storm-ONeal-November-2015
stritola le matrici di natura,
spargi e disperdi in aria
tutti i germi che generano l’uomo,
mostro d’ingratitudine!
[…] Ròmbati il ventre, cielo! Sputa fuoco!
Scroscia, tu, pioggia! Pioggia, vento, tuono,
guizzi di fuoco, non sono figlie mie:
non vi posso accusar d’ingratitudine;
a voi non diedi un regno,
né vi chiamai mai figli. Voi elementi
non mi dovete obbedienza di sorta;
e allora rovesciate sul mio capo
i vostri orrendi sfoghi, a sazietà!
Io son qui, vostro schiavo, un pover’uomo
vecchio, debole, infermo, derelitto…
Vi chiamo tuttavia vili strumenti
al servizio di due figlie degeneri,
che scatenate dall’alto del cielo
le vostre schiere su una vecchia testa
canuta come questa. Oh, oh, è infame!

Be’, qui non abbiamo fulmini, tuoni e fuoco vario – ma nemmeno figlie snaturate. D’altra parte oggi è un giorno per le cose che non ci sono, giusto? E comunque è questione di poesia. La potenza, la furia. Animo umano e natura scatenata.

Oh well, buon 29 di febbraio, buon giorno che non c’è – o quanto meno, c’è di rado. E buon vento, se tira anche dalle vostre parti.

Feb 17, 2016 - angurie, scribblemania    Commenti disabilitati su Scatole Cinesi

Scatole Cinesi

Sì, è MacBeth. E Sì, c'è una ragione. E no, non so perché abbia un elmo alato.

Sì, è MacBeth. E Sì, c’è una ragione. E no, non so perché abbia un elmo alato.

Mentre scrivevo questo post, a un certo punto,  è successo che mi è germogliata un’idea. Capita abbastanza spesso – e di solito citicchio* Shakespeare a chiunque mi capiti a tiro – o, in mancanza di pubblico, al soffitto: è una storia quella che vedo davanti a me? Amici e famiglia hanno imparato a non fare domande, a cambiare rapidamente discorso e a fingere di nulla mentre mi impadronisco del taccuino e della penna più vicini e butto giù gli appunti del caso.

Qualche volta ne esce davvero una storia, qualche volta no, qualche volta succede ad anni di distanza, quando ritrovo l’appunto – e ad ogni modo va bene.

Questa volta, però, è successo qualcosa di leggermente diverso, perché la storia in fondo veniva da un’impressione vecchia di trentacinque anni. Il ricordo di un’impressione, se vogliamo, che era già una storia in embrione – solo che allora non lo sapevo. E quindi…Ideasinside

È una storia quella che la piccola (e leggermente gloomy) Clarina sta porgendo a sé stessa adulta attraverso i decenni? Oh dear… vedete? Questa è già un’altra storia – dentro una storia. O forse attorno a una storia. Ne scriverò una? Le scriverò entrambe? Le combinerò tra loro per farne un’ulteriore storia? Perché, a ben pensarci… è una terza storia che vedo davanti a me?

Credo di avere un nonnulla di vertigini.

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* Right, è una parafrasi, ma ammettetelo: “citicchiare” ha un suo je-ne-sais-quoi.

Gen 29, 2016 - angurie, grilloleggente, libri, libri e libri, romanzo storico    Commenti disabilitati su Dentro Un Libro

Dentro Un Libro

12647153_504376653067983_4012154964606394078_nLa cosa qui a sinistra mi è giunta via Facebook – a me e ad altra gente – da parte di M. E quindi è tutta colpa sua, vedete? Non mi si può coinvolgere in una cosa del genere e pensare che mi limiti a rispondere con un titolo e basta…

E non si può perché da piccola leggevo Gianconiglio ed ero innamorata della biblioteca del Professor Dindon – che invece dei libri aveva delle porte che permettevano di entrarci, nei libri… E perché anche adesso che piccola non sono più, l’idea di quella biblioteca continua a sembrarmi almeno tanto attraente quanto quella del viaggio nel tempo. Se non addirittura lievemente di più.

Quindi non era come se potessi giocare a questo gioco a cuor leggero, giusto? O magari dapprincipio ho pensato di sì – ma dopo avere resistito alla tentazione di rispondere Lord Jim…

Sì, lo so. Non sembro nemmeno io. Ma il fatto è che ho affrontato la tentazione e ho resistito. O quanto meno… Qualche anno fa avevo scritto un piccolo racconto in proposito: la prossibilità di entrare in un libro, Lord Jim, il non-naufragio del Patna, la tentazione di interferire – ma poi… che ne sarebbe della storia se si interferisse a quel punto? Non era precisamente il tipo di esperienza su cui investire un desiderio usa-e-getta. Desktop-tablet-book-wallpapers-The-Book-of-Secrets-thumbnail

Quindi, dicevo, a quella tentazione ho resistito e, mentre consideravo possibilità alternative, ho cominciato a pormi domande di tipo tecnico. Per dire, che significa di preciso “un giorno”? Un giorno all’interno della storia – e se è così, lo scelgo io o mi capita in sorte? Oppure un giorno della mia vita – e allora a quanto corrisponde in termini del libro? Quel che posso leggere in un giorno o che altro? E mentre ponderavo questo genere di particolari, ecco che mi capita fra capo e collo la risposta di F., cui piacerebbe entrare in Uccelli di Rovo, nel ruolo di Mary Carson.

book-characters-coming-to-life-as-boy-reads-bmpE questo cambia le cose, perché avevo pensato che nei libri ci si entrasse come osservatori neutrali (e magari incorporei ed invisibili) oppure come personaggi aggiuntivi… Se invece ci si entra nel ruolo di un personaggio già scritto, è tutta un’altra faccenda. Per esempio, che succede al mio giorno quando il personaggio in questione non è in scena?  Perché se non voglio il ruolo del protagonista, odds are che sia fuori scena per parti consistenti della trama… Ammettiamo che scelga Rapito: non posso entrarci nei panni di Alan, perché Alan lo vorrei incontrare, e di sicuro non vogli entrarci nei panni di quell’idiota ottuso che è David – ma quale altro personaggio è in scena e a contatto con i protagonisti per un “giorno” intero? *

Ed ero a questo punto quando è arrivata l’ulteriore risposta di D., che invece nei libri vorrebbe book_world-1680x1050entrarci come sé stesso (I think) per visitare i posti descritti nei libri – certo di trovarci tutte le avventure che si possono volere. E questa è un’ulteriore e interessante possibilità, a dire il vero – anche se nel mio caso si tratterebbe più di tempi che di posti.

Altri tempi – o, più precisamente, la visione di altri tempi. Il Medioevo pittoresco e irreale di Scott? L’era elisabettiana da fondali dipinti di Josephine Preston Peabody? O quella tramontante e malinconica di Bryher? O quella amarognola e brillante di Burgess? O la Corfù nonsense di Durrell? O le fiamme notturne dei Gordon Riots secondo Dickens?

Cartoon Characters Coming Out Of A BookEcco, sì: credo che alla fin fine questo dovrebbe essere il mio criterio di scelta. Come R., che invece ha scelto il Segreto del Bosco Vecchio in cerca di un’atmosfera, farei bene ad andarmene in cerca dell’interpretazione di un’epoca. Di colori e luci e pittoresche occorrenze. E poi, una volta là – una volta allora – di certo le avventure arriverebbero.

Quanto a scegliere un libro… oh, non ho nemmeno cominciato. Ma almeno adesso ho un’idea di come provare a scegliere.

E voi, o Lettori? In che libro vi piacerebbe passare una giornata?

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* Be’, forse in realtà ci sarebbe Cluny MacPherson…

 

 

Dic 7, 2015 - angurie, tradizioni    Commenti disabilitati su I Giorni dell’Agrifoglio

I Giorni dell’Agrifoglio

holly_wreath_.jpgQuesto è un post parzialmente stagionale: dicembre torna e l’agrifoglio rimena…

Perché diciamolo: certe piante sembrano fatte apposta per invitare a sciami le leggende e i significati simbolici anziché le api – E l’agrifoglio… un sempreverde con le foglie spinose e lustre, infiorescenze bianche e bacche rosse. C’è veramente da stupirsi che già in età pre-cristiana fosse una pianta sacra?

C’è una lacrimevole storia nordica in cui Baldur, il figlio prediletto di Odino, trafitto a morte da una freccia*, cade sanguinante su un cespuglio. Per ricompensare il cespuglio che ha offerto a suo figlio l’ultimo abbraccio, Odino lo rende perenne e tramuta in bacche rosse le gocce di sangue di Baldur. Se le spine ci fossero già da prima non è chiaro, nel qual caso il giaciglio non doveva essere comodissimo… Ma l’agrifoglio era anche la pianta dei fulmini di Thor e dei tuoni di Freya. Pare che i cespugli di agrifoglio conducano i fulmini a terra con più facilità di altre piante – e restandone meno danneggiate, e questa era la ragione per cui un tempo, nei paesi del Nord, non c’era casa che non ne avesse uno accanto: una sorta di parafulmine naturale.

Una curiosa e antichissima tradizione vuole che, dal tipo di agrifoglio che viene portato in casa, si possa divinare quale dei coniugi avrà più autorità in casa durante l’anno a venire. Il fatto è che l’agrifoglio è maschio e femmina, e qui le cose si complicano. Secondo la mia fonte austriaca per questa storia, l’agrifoglio femmina è quello con le bacche rosse, più bello e decorativo e quindi scelto quasi invariabilmente, per cui la tradizione sarebbe una specie di omaggio al fatto che è sempre la donna a governare la casa. Questa teoria però mal si concilia con cose come la carola natalizia di origine medievale The Holly And The Ivy, in cui l’agrifoglio è associato all’uomo e l’edera alla donna (e, tra parentesi, l’agrifoglio ha tutti i doni e i vantaggi, ma il tono generale potrebbe anche essere lievemente sarcastico).

In effetti, nei culti druidici di ambito celtico, l’agrifoglio era associato al solstizio d’inverno e al vigore maschile, e già che c’era teneva lontani i demoni. Con l’arrivo dell’inverno, se ne portavano in casa rami e ghirlande a mo’ di evil-detector: si supponeva che gli esseri fatati benevoli venissero a giocare tra le foglie, mentre quelli poco raccomandabili si sentivano tenuti a starsene alla larga. L’agrifoglio era la pianta del Re d’Inverno, a mezza strada tra un’entità fatata e una divinità infera, un gigante bellicoso che regnava per metà dell’anno, incoronato di rosso e armato di un ramo di agrifoglio. Non avrei detto che, spine a parte, fosse un’arma particolarmente efficace, eppure nel Ciclo Arturiano il Re d’Inverno ricompare nella forma del Cavaliere Verde, che sfida a duello Galvano, armato soltanto di quello.

Questo carattere guerresco dell’agrifoglio, insieme alla capacità di scacciare il male, ricompare pari pari nei miti giapponesi, i cui dei ed eroi desiderano la pianta dalle bacche rosse e si forgiano armi prodigiose con il suo legno. O almeno manici di armi prodigiose, come nel caso del Principe Yamato (che comunque non fa una gran bella fine) e Daikoku, che tiene lontani i demoni scuotendo rami di agrifoglio. In Giappone si appendono rami di agrifoglio per buona fortuna, proprio come da questa parte del mondo – a dimostrazione del fatto che certe simbologie sono universali.

Tornando alle usanze celtiche, è in tutta probabilità lì che i Romani pescarono l’agrifoglio per associarlo al culto di Saturno, e il fatto che Plinio il Vecchio consigliasse di piantarne un cespuglio vicino a casa per scacciare gli esseri maligni sembra proprio la ripresa di una tradizione nordica.

Il Cristianesimo assorbì pianta e significati simbolici con giustificabile entusiasmo: abbiamo già detto che l’agrifoglio è scenograficamente perfetto. Secondo una leggenda, l’agrifoglio avrebbe avuto in origine bacche bianche, diventate rosse dopo che i suoi rami furono usati per la corona di spine di Gesù; oppure sarebbe stato deciduo fino a quando durante la fuga in Egitto, la Madonna non pregò Dio di restituire le foglie all’arbusto dietro cui si nascondeva col Bambino Gesù, per nascondere entrambi alla vista dei soldati di Erode. Altre leggende associano l’agrifoglio a una variante del collaudato schema narrativo del Dono del Pastore: in queste storie c’è sempre un pastorello particolarmente povero che giunge alla capanna con un dono vegetale del tutto inadeguato, oppure non ha il coraggio di avvicinarsi per mancanza di dono. A questo punto un intervento miracoloso consente al pastorello di arrivare portando una rarità botanica. Nel caso dell’agrifoglio Gesù Bambino trasforma la corona di alloro del pastorello in una ghirlanda dalle foglie lustre e dalle bacche scarlatte; in una variante sono gli angeli a intervenire, dopo che il pastorello timido si è ferito con le spine dell’agrifoglio.

E se ci badate, con le gocce di sangue abbiamo chiuso il cerchio, tornando a una forma simbolico-narrativa molto simile a quella della storia di Baldur. C’è un che di rassicurante, in questo ritorno dell’umanità alle stesse storie, agli stessi simboli. Si direbbe che, a tutte le latitudini e in tutti i secoli, dopo tutto siamo sempre noi.

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* Una freccia di vischio, innocentemente scagliata da un fratello cieco – dietro assai meno innocente consiglio di un altro fratello geloso… Queste divinità nordiche hanno dinamiche famigliari decisamente inquietanti.

Nov 27, 2015 - angurie, Kipling Year    Commenti disabilitati su Mr. K. e lo Stregatto

Mr. K. e lo Stregatto

MrKandtheCatIT

E niente, così.

Che posso dire? Vedere questa citazione di Kipling e immaginare il dialoghetto è stato tutt’uno.

E potrei dire che, essendosi il Quindici tanto l’Anno di Kipling quanto l’Anno di Alice, la faccenda è, nel suo nonsense, del tutto sensata. O almeno vagamente sensata.

Potrei dirlo. Potrei dire molte cose. Potrei dirle con aria innocente e convinta. Potrei. No, davvero.

Ma il fatto è che siamo tutti un po’ matti qui – e d’altra parte, chi è che non è un po’ matto sotto qualche aspetto?

Sarà meglio che mi fermi qui e svanisca – lasciando un sogghigno sospeso a mezz’aria.

Oggi funziona così.

E buon noncompleanno a tutti…

♫ La luna sorge all’orimon
♫ E il palmipedon
♫ Neppu-ur…