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Nov 6, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su A volte ritornano

A volte ritornano

Sì, sì, sì: ancora D’Artagnan. E’ più forte di me, che ci posso fare? E poi sono sicura che Cyrano non se la prende.

200px-Lets_make_love.jpga) Vi ricordate un film dei primissimi Anni Sessanta chiamato “Let’s Make Love”? Be’, a un certo punto Yves Montand (milionario in incognito) dice a Marylin Monroe (attrice molto svampita) di chiamarsi Alexandre Dumas. “Oooh,” cinguetta lei. “Come il tizio che ha scritto I Tre Moschettieri per la MGM! Non sarai mica tu, vero?”

  b) Dalla voce “The Three Musketeers” di Wikipedia (traduzione mia):

Influenza su opere successive

Nel 1939, l’autrice americana Tiffany Thayer pubblicò un romanzo intitolato Three Musketeers (Thayer, 1939). Si tratta di una rinarrazione della storia, ricreata con le parole dell’autrice, fedele alla trama originale, ma raccontata in un ordine differente e con punti di vista ed enfasi differenti rispetto all’originale. Per esempio, il libro si apre con una scena della gioventù di Milady e la storia della sua marchiatura a fuoco, in modo da sviluppare di più il suo personaggio e rendere più credibili e comprensibili le sue azioni e macchinazioni successive. La Thayer ttratta l’aspetto sessuale della storia in modo molto più esplicito rispetto alle traduzioni inglesi dell’originale, ciò che ha creato occasionali episodi di costernazione nei casi in cui il suo libro è finito per errore negli scaffali di letteratura per l’infanzia e nelle biblioteche scolastiche.

c) e infine, come potevo non citare Nizza e Morbelli? Spero di non infrangere i diritti di nessuno, se riporto qui l’entrata in scena del loro D’Artagnan che, nottetempo, bussa fragorosamente alla porta della taverna “Al Gatto Melanconico”:

– Olà, apri, cane di un oste, apri, se hai cara la vita!

i_quattro_moschettieri.jpgQuella voce era ben nota. Aveva rintronato secca e tagliente come una lama in tutti i crocicchi, sui ponti, ovunque c’erano il pericolo e la strage. Quella voce apparteneva ad un giovane cavaliere dal cappello piumato, alti stivali alla moschettiera, giustacuore di velluto cremisino, ampio colletto di pizzo d’Anjou, sguardo fiero e lampeggiante, capelli castani, baffi e pizzo stesso colore, altezza m .1.80, torace 90, dentatura sana, segni particolari: un neo sulla guancia destra. Quella voce apparteneva ad un Moschettiere del Re che – pur di nobiltà cadetta – aveva saputo conquistarsi con la spada e la cortesia larga rinomanza a corte: gran danzatore di pavana, goloso bevitore da taverna, appassionato in amore. I cuori  di tutte le donne di Parigi, dalle contesse alle fantesche, dalle trinaie alle forosette battevano per lui (ah, quando passava sul baio nei giorni di parata!)

D’Artagnan, ça va sans dire, non è da solo, ma con i suoi tre sodali. E insieme a loro si presenta cantando così*:

Noi siamo i prodi figli di Dumasse;

della paura, chi se ne impipasse?

Chiunque, non appena ci guardasse,

vedresse che noi siamo i Moschettier.

Dumasse nel romanzo ve lo scrisse

e poi svariate volte ve lo disse

che noi siam Athos, Portos e Aramisse

e il quarto del terzetto è D’Artagnan.

Da Nizza&Morbelli, I Quattro Moschettieri, 1935.

(*La canzone sarebbe da cantarsi sull’aria di “TRE” di Mascheroni, e io ve lo dico per dovere di cronaca, ma quanto a chi fosse Mascheroni e come fosse l’aria di “TRE”… eh!)

E con questo ho chiuso con D’Artagnan. Davvero.

Nov 4, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Colta in castagna!

Colta in castagna!

Ahi, ahi, Clarina! Colta in castagna sulle statue un’altra volta…

Ecco qui la statua di Cyrano a Bergerac, in Dordogna:

450px-Cyrano_de_Bergerac_%28statue%29.jpg

 

Sì, lo so: ho detto che non era un guascone, e in fatti non lo era. La sua famiglia era parigina, ma per via di matrimonio, a qualche punto, aveva acquisito la signoria di Bergerac, in Dordogna. E il cognome gli piaceva, ed era guascone quanto bastava per i Cadetti delle Guardie, e suonava debitamente gentilizio…

Anche D’Artagnan se l’era aggiunto da sé, il cognome, che dopo tutto apparteneva alla famiglia di sua madre. Parentele migliori, più utili a corte. E anche Alan passa un quinto del libro a ripetere a chiunque voglia ascoltarlo (e a un certo numero di persone che non ci tengono particolarmente) che lui porta un nome da re. Quindi sì: gli Sbregaverze sono ossessionati dal proprio cognome.

Sarà per questo che non ci sono Sbregaverze islandesi?

Già che ci siamo, ecco un altro ritratto (non tremendamente lusinghiero, if you ask me) del Cyrano storico.180px-Cyrano_de_Bergerac.jpg

E’ un’incisione del XVII Secolo, e quindi possiamo quasi considerarla una fonte primaria. Decisamente poco eroica: il Nostro ha tutta l’aria di essere in vestaglia e berretto da notte, occupato a scrivere. Decisamente dissimile dalla nostra idea di Cyrano, nevvero? Voglio dire, la penna e lo scrittoio vanno benone, ma dove sono la spada e il pennacchio, sacrebleu?

Tra l’altro, questo ci porta a un’altra questioncella: questa ed altre incisioni contemporanee ci mostrano un Cyrano dal naso pronunciato, ma non precisamente mastodontico. E’ pur vero che certa ritrattistica tendeva a minimizzare i difetti fisici, ma insomma, il celebre naso è decisamente esagerato da Rostand a fini drammatici. Ebbene sì: un naso drammatico, chi l’avrebbe mai detto?

Nov 3, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Cyrano de Bergerac, lo Sbregaverze Poeta

Cyrano de Bergerac, lo Sbregaverze Poeta

cyrano.jpgDirei che, subito dopo D’Artagnan, Cyrano è lo sbregaverze più celebre nella sua incarnazione letteraria. Quanto meno, tutti una volta nella vita abbiamo citato, più o meno seriamente, il celeberrimo “apostrofo rosa tra le parole t’amo”. Perbacco, un tempo c’era persino nei Baci Perugina! E nell’immaginario di tutti c’è Cyrano nasuto che, nascosto sotto il balcone di Rossana, incanta la fanciulla a forza di parole e poi guarda il bel Christian salire a raccogliere il premio…

Sul Cyrano storico, forse c’è un po’ più di confusione, ma tutto sommato non è grave, perché Cyrano fu, forse più di tutti gli altri, uno Sbregaverze anche in vita.

Voglio dire: benché non fosse affatto guascone, Hercule Savinien de Cyrano, entrò a vent’anni come cadetto nelle Guardie perché gli piaceva menar la spada e perché non aveva un soldo. Aveva fatto buoni studi, aveva già un (proibitissimo) duello al suo attivo, e si era appropriato senza troppo diritto del cognome di Bergerac. La sua vita militare non durò a lungo: si fece onore, oppure si fece notare, che non è necessariamente la stessa cosa, all’assedio di Arras, e guadagnò qualche ferita. Cyr.jpgDopodiché se ne ritornò a Parigi a studiare, duellare, corteggiare le Preziose*, impicciarsi di politica e scrivere. La casacca delle Guardie l’aveva portata per un paio d’anni in tutto. Scrivere, dicevamo, e nulla di tranquillo o di normale. Poesia bizzarra, lettere assai barocche, tragedie, commedie (una fu persino plagiata da Molière!), un trattato di fisica non finito, della satira prima ai danni e poi in difesa del Cardinal Mazarino, e due “romanzi fantastici”: chi l’avrebbe mai detto? Coi suoi viaggi immaginari sulla luna e sul sole, Cyrano fu il padre della fantascienza. Va da sé che non conduceva una vita sanissima sotto nessun punto di vista. Cambiare spesso d’opinione in fatto di donne, politica e protettori non era inaudito, nel XVII Secolo, ma conduceva a conseguenze sgradevoli. Come parecchi nemici, raccolti nell’uno e nell’altro lato durante le sollevazioni della Fronda, e come la sifilide, allora chiamata con eufemismo significativo “il mal francese”. Poi, sia chiaro: Cyrano non era un personaggio importante, era solo un autore squattrinato con sporadici lampi di popolarità, senza alcuna influenza al di fuori di certi ambienti colti… I suoi nemici non avevano bisogno di fare granché. La mancanza di un protettore, di commissioni letterarie, di vero e proprio successo, bastavano a renderlo innocuo. Cyrano continuò con la sua vita di disordini e di letteratura, ma cercò la protezione di un duca e, abbandonate le satire politiche, si ridugiò in territori meno arrischiati, come la fisica e un secondo romanzo fantastico (che ebbe molto meno successo del primo). Morì davvero per le ferite causategli dal crollo di una trave, ma non nel chiostro di un convento, tra le braccia di Rossana e Le Bret, bensì, molto più prosaicamente, a casa di un suo cugino. Aveva 36 anni.

Visto? Tutto sommato, non c’era bisogno d’inventare molto: c’era già quasi tutto. Cyrano era già un personaggio perfetto, e l’abilità di Rostand sta nell’avere raccolto tutta l’abbondanza di dettagli, e averli usati magnificamente**.

Ne ha fatto un Guascone, questo sì. D’altra parte, era quasi necessario: ce lo vedreste un non-Guascone a intonare la tirata dei Cadetti di Guascogna? Certe volte, al diavolo la veridicità storica! A parte questo, la maggior parte della gente che entra in scena è assolutamente vera. Dall’attore contestato Montfleury, al poeta avvinazzato Lignières, a Carbon de Castel Jaloux, capitano delle Guardie, fino al pasticciere Ragueneau: tutti veri. Curiosamente, non è vero l’antagonista: il Conte de Guiche, ricco e potente, imparentato con Richelieu, rivale in amore e comandante sul campo, Guascone a sua volta, quando decide di ricordarsene, e nemico quasi pentito al quint’atto, è un personaggio di fantasia. Ma è un caso quasi isolato.

Prendiamo il sidekick di Cyrano, il buon Le Bret. Le Bret vorrebbe tanto essere la voce della ragione, ci prova… stavo per scrivere “con tutte le sue forze”, ma non è vero. Alla fin fine, Le Bret si lascia trascinare dall’irragionevolezza e dall’elan di Cyrano. Lo rimprovera per il suo orgoglio smisurato, la sua prodigalità, la sua abilità nel farsi nemici, ma lo ammira troppo per fare sul serio. Le Bret cerca sempre di riparare alle conseguenze, ma non è in grado di agire sugli effetti. Pallido sidekick, in realtà. Leale, fiaccamente prudente, un pochino ottuso… quasi non ci accorgeremmo di lui, se non fosse per la luce riflessa da Cyrano: “Ecco Le Bret che brontola***”, commenta il nostro, con affettuosa esasperazione, ogni volta che l’amico cerca di fargli intendere ragione. Salvo poi non dargli affatto retta. E comunque, un Le Bret c’era davvero: amico d’infanzia e fratello d’armi di Cyrano, dice l’edizione Flammarion del 1989****.

cyrano_de_bergerac_1989_reference.jpgD’altra parte, alcune funzioni del sidekick sono dirottate su Christian. Christian, come tutti sanno, è un bel ragazzo. E’ anche un po’ bète, e di suo Cyrano lo mangerebbe a colazione, tagliato a fettine sottili e tostato con il pane. Ma Rossana ci mette lo zampino, e Cyrano si trasforma in mentore per il ragazzo. Poi, Christian ha delle qualità: è coraggioso, leale, e non è del tutto stupido. Ci mette un po’, ma alla fine si rende conto che non è lui che Rossana ama… E a questo punto la prende nelle costole, come suol dirsi, sennò non potremmo avere il quint’atto che fa tanto piangere la Clarina. Quindi sì, senz’altro Christian muove la trama molto più di Le Bret, ed è lui l’ottuso che Cyrano svezza. Ciò ne fa almeno mezzo sidekick. E anche lui è esistito veramente: barone Christophe de Neuvillette, morto durante l’assedio di Arras.

Era anche davvero il marito di Rossana. La quale era davvero una Preziosa, e persino davvero cugina di Cyrano. E una volta vedovata trascorse davvero il resto della sua vita in convento. Non ci fu mai nessuna storia d’amore con Cyrano (che, tra l’altro, era più giovane di lei di dieci anni), ma in fondo conta davvero? Quel che conta è ciò che Rostand ha fatto di lei. Rossana è una creatura deliziosa, modaiola e frivola, pronta ad andare in deliquio per una frase ben tornita, innamorata delle idee, della bellezza, della poesia. E’ candidamente convinta che Christian, essendo bello, non possa non essere intelligente, colto e raffinato. Kalòs kaì agathòs in nastri e merletti. E Cyrano coltiva questa sua illusione al di là di ogni buon senso, perché così può parlar d’amore alla sua bella cugina e, al tempo stesso, illudersi a sua volta di proteggere Rossana. Perché Rossana va protetta: è ingenua a modo suo, l’abbiamo detto, non vuole saperne di sentirsi dire “ti amo” in due parole, perché per lei l’amore è un ricamo dialettico, e si confonde all’idea di un bacio. Versi e orazioni vanno bene, ma quando si tratta di passare alla realtà, ci vuole tutta l’eloquenza di Cyrano… Sapete una cosa? Tutto questo gioco tra Christian e Cyrano sembrerebbe quasi una beffa crudele ai danni della ragazza, e tanto più quando Rossana, che (nemmeno lei) è del tutto stupida, si rende conto di amare non tanto la bellezza di Christian, ma la sua anima. E la sua anima, noi lo sappiamo è di qualcun altro. Non è un caso che, a questo punto, sia Christian a volere che tutto venga svelato. Non Cyrano: Cyrano, dipendesse da lui, manterrebbe il segreto, continuerebbe a nascondersi dietro la bellezza di Christian. E anzi, lo fa, seppur nascondendosi dietro la sua morte… Si vergogna un po’ dell’inganno? O non si sente adeguato? O teme che Rossana dopo tutto non pensi ciò che dice? O gli va bene così, alla fin fine? Perché Rossana è, fra gli amori degli Sbregaverze, forse la più brillante, ma di fatto, Cyrano fa ben poco per averla davvero. Dopo la morte di Christian, aspetta quindici anni per confessare la verità, e lo fa solo in punto di morte, quando è troppo tardi…

A parte il fatto che ciò non depone a favore dell’acume di Rossana, volete vedere che abbiamo individuato un altro tratto dello Sbregaverze? Cyrano scrive e sogna di viaggi sulla luna; potrebbe avere successo cercando protezione, ma preferisce restare libero e sconosciuto*****; ama una donna che potrebbe avere, ma preferisce restare nell’ombra; compie imprese mirabolanti come una battaglia contro cento avversari, di cui il giorno dopo tutti parlano senza che nessuno l’abbia vista… Cyrano è l’eroe delle occasioni perdute, ma non è il solo. Alan si danna per la sua causa, ma la causa, lo sappiamo tutti e lui per primo, è condannata. D’Artagnan riceve il suo bastone da Maresciallo e la cannonata fatale insieme… cyranoroxane1.jpg

Lo Sbregaverze non arriva mai ad ottenere ciò che vuole, eppure il suo non è un fallimento. E’ una malinconia di tutta una vita, ma non un difetto. Nessuno di noi ne vuole allo Sbregaverze perché non consegue il suo scopo, anzi: lo amiamo ancora di più per questo. Lo scopo non è importante in sé, Rossana, il bastone da Maresciallo, il ritorno degli Stewart sul trono, non contano davvero. Volere e lottare per tutta una vita, questo è quello che ci fa appassionare e commuovere. Alla fin fine, è questo slancio che ha fatto di noi quello che siamo: il tendere a qualcosa appena (o molto) oltre la nosta portata è uno dei tratti più nobili dell’umanità, ed è proprio questa tensione che ritorna in tutti gli Sbregaverze. Non può essere un caso.

Se Cyrano sposasse Rossana, ne sono certa, non c’importerebbe poi troppo di lui. Cyrano che si crede troppo brutto per l’amore, Cyrano che alla realizzazione concreta preferisce il desiderio e il rimpianto e la fedeltà a un ideale, è la dimensione eroica di tutte le nostre aspirazioni inappagate e inappagabili. Di quel bisogno di sognare che, alla fine fine, è più forte di tutto il resto, se solo glielo consentiamo. Ed è per questo che lo amiamo.

 Sul fatto che forse Cyrano preferisca la “sua” Rossana idealizzata alla Rossana vera, e questo a prezzo della felicità di tutti quanti, lui compreso, preferiamo non soffermarci troppo. Almeno, non tutti i giorni.

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* Oh, d’accordo: non soltanto le Preziose…

** Ha cassato la sifilide ma, onestamente, come dargli torto?

*** “Voilà Le Bret qui Grogne.” Tanto lo sapevate che un pezzettino dell’originale da qualche parte dovevo ficcarcelo! E comunque, il Le Bret storico aveva le sue, di velleità letterarie: ha persino scritto una (fantasiosa, per la verità) biografia del suo amico Cyrano.

**** Comprata in una libreria alle Halles di Parigi durante gli anni del Liceo, e letta un’infinità di volte. Posso anche confessarlo: quando studiavo teatro, con un mio amico avevamo deciso di mettere in scena il Cyrano. Naturalmente lui (16 anni) avrebbe fatto Cyrano, e io (17) Rossana… Non è meravigliosa la criminale incoscienza degli adolescenti? Poi, fortunatamente, la nostra insegnante aveva più buon senso di noi.

***** Anzi, possiamo dire di più: quando, nel quinto atto *tears up a bit* Raguenau gli fa notare il plagio di Molière ai suoi danni (ciò che è, tra parentesi un anacronismo, visto che la commedia in questione fu rappresentata qualcosa come quindici anni dopo la morte del plagiato), Cyrano sospira che “Molière ha del genio, e Christian era bello.” Come se lui, avendo solo del talento ed essendo brutto, non avesse meritato la gloria letteraria e l’amore. E come se, non potendoli avere nel pieno splendore della perfezione, Cyrano fosse tutto sommato soddisfatto di rinunciare all’una e all’altro. E continuare a sognarli/rimpiangerli, anziché averne una versione minore…

Nov 1, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Chi l’avrebbe mai detto?

Chi l’avrebbe mai detto?

Considerando l’appeal generale della saga dei Moschettieri, e il suo enorme influsso sulla cultura pop, immagino che non dovrei stupirmene… eppure sono sinceramente basita.

 

Siete basiti anche voi, eh?

Mica solo io…

E torniamo ad occuparci di Sbregaverze, dopo questa piccola vacanza impromptu. Ricominciamo segnalando un sito, a dimostrazione del fatto che non sono l’unica a soffrire di questa malattia.

graphics%20web%20page%20art%203.jpgLa gente di questo sito, The Swashbuckling Press, ha una sua idea di Sbregaverze (decisamente più ampia della mia), e fa le cose in grande stile. C’è di tutto un po’, ed è divertente bighellonare di link in link.

Non per caso sulla loro homepage c’è l’immagine che vedete qui a sinistra. E il sottotitolo del sito è tutto un programma: “Questo è il solo modo in cui la storia dovrebbe essere raccontata!”

Ci sono, oltre al resto, varie pagine dedicate a Dumas, ai Moschettieri e al vero D’Artagnan e ci sono indici di libri e di autori di genere più o meno sbregaverzesco. Come molte risorse amatoriali in rete, mescola allegramente lampi di accuratezza storica, speculazioni selvagge, generalizzazioni, costumi in vendita e bizzarrie varie assortite, ma è molto colorato e pieno zeppo di immagini.

Per i finesettimana piovosi e le notti insonni, insieme a una tazza di cioccolata calda e qualche biscotto.

Ott 22, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Guilty as charged

Guilty as charged

Mi si fa notare che ho postato la foto del monumento ad Alan (in realtà sono le statue di Alan e David sullo Stevenson Monument a Corstorphine, Edimburgo), e non ho fatto nulla del genere per D’Artagnan.

Mi si fa notare che la mia spudorata predilezione per Alan non deve interferire con la completezza iconografica della Fenomenologia dello Sbregaverze.

Che posso fare? Arrossisco fino alle orecchie e corro ai ripari. Tanto più che si dà il caso che di statue, D’Artagnan ne abbia più d’una. Per la precisione, ne ha almeno tre:

Maastricht.jpgIl D’Artagnan storico a Maastricht (dove, molto prima di fare trattati, si fece un assedio sanguinoso…)

 

 

 

 

 

 

 

Auch.jpgUn D’Artagnan a scelta a Auch, in Guascogna

 

 

 

 

 

 

 

dartagnan-paris.jpgE il D’Artagnan del romanzo sul monumento a Dumas, a Parigi.

 

 

 

 

 

 

 

Ecco, queste sono le statue di D’Artagnan di cui sono a conoscenza. Qualcuno ne conosce altre? Per quanto ne so, sono tutte posteriori alla pubblicazione del romanzo, per cui è legittimo dubitare: qualcuno si sarebbe disturbato ad innalzare statue al moschettiere, se Dumas non lo avesse immortalato (e sbregaverzizzato) nelle sue opere?

Ott 20, 2009 - fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su D’Artagnan: Lo Sbregaverze Soldato

D’Artagnan: Lo Sbregaverze Soldato

Volete la prova inconfutabile che D’Artagnan è uno sbregaverze? Guardatelo diciottenne, in viaggio verso Parigi, nel primo capitolo de I Tre Moschettieri:

Arrivée.jpgDon Chisciotte pigliava i mulini a vento per giganti e i montoni per eserciti, D’Artagnan prese ogni sorriso per un insulto e ogni sguardo per una provocazione. E così fu ch’egli ebbe sempre il pugno chiuso da Tarbes a Meung e che dieci volte a giorno portò la mano al pomo della spada; tuttavia il pugno non si abbatté su nessuna mascella e la spada non uscì dal fodero. Non che la vista del malavventurato giallo ronzino non facesse spuntare più di un sorriso sul volto dei passanti; ma siccome sopra la rozza tintinnava una spada di misura rispettabile e al di sopra di questa spada fiammeggiava un occhio più feroce  che altero, i passanti reprimevano la loro ilarità o, se l’ilarità aveva il sopravvento sulla prudenza, si sforzavano almeno di ridere da una parte sola, come le maschere antiche. D’Artagnan rimase dunque maestoso e intatto nella propria suscettibilità fino a quella disgraziata città di Meung.*

Visto? C’è proprio tutto: il raffronto con Don Chisciotte, la facilità ad offendersi, la scarsa pecunia**… E anche l’inclinazione a mettersi nei guai: nel paragrafo successivo a quello citato, il nostro giovanotto è già occupato ad accapigliarsi (del tutto per caso) con il malvagio Rochefort; nel corso di una pagina o due è già nei pasticci su vasta scala… e non siamo ancora a metà del I Capitolo.

Quello che succederà dopo lo sappiamo tutti: l’arrivo a Parigi, il colloquio con il signor de Tréville, la triplice sfida a duello… Non è un caso che sia una combinazione di atti di scarsissimo buon senso a procurare a D’Artagnan i suoi tre grandi amici. I quali, a loro volta – ma di questo parliamo poi.

Per ora cominciamo dal fatto che quando Dumas père trovò i settecenteschi Memoirs de D’Artagnan***, il cuore dovette gli fece un triplo salto carpiato con avvitamento. Caspita, dovette dirsi, qui c’è una miniera! Un moschettiere guascone, un secolo pittoresco, una situazione politica tempestosa… che può chiedere di meglio un romanziere? Non molto, in effetti. E l’irrefrenabile Dumas si gettò a pie’ pari nella creazione di una delle più celebri avventure di tutta la letteratura, prendendosi le libertà che servivano per renderla più pittoresca e fiammeggiante che si potesse.

Per esempio, sapete, tutta la faccenda col Cardinale di Richelieu, la storia che tutti noi adoriamo? Be’…no. No davvero.

In realtà, di Charles de Batz de Castelmore, conte d’Artagnan, non abbiamo una data di nascita precisa. C’è che lo fa nascere fra il 1611 e il portrait%20B&W%20jpeg.jpg1615, chi fra il 1615 e il 1618… in ogni caso, arrivare a Parigi nel 1625 e arruolarsi immediatamente nei moschettieri gli sarebbe stato un nonnulla difficile. In realtà, arrivò in qualche punto tra il 1630 e il 1640, con la seconda data resa più probabile dal fatto che nel corpo dei Moschettieri ci entrò nel 1644, (quando Richelieu era già defunto) con l’appoggio e la protezione del Cardinale Mazarino. Ma come? Mazarino? Quel Mazarino? Quello di Vent’Anni Dopo? Solo un po’ meno malvagio e molto più spregevole di Richelieu? Ebbene sì: tutta la carriera del D’Artagnan storico si svolse all’ombra del Cardinale italiano, che gli procurò incarichi di prestigio e lo aiutò a comprare il grado di Capitano**** in cambio di una fedeltà a tutta prova. Delusi? Se lo siete, siete in buona compagnia: anche a Dumas dovette sembrare che questa clientela si addicesse poco a un eroe guascone, e così aggiustò date e fatti a suo gusto, per la gioia di generazioni di lettori.

Ammettiamolo: D’Artagnan ci piacerebbe un po’ meno se fosse ossequioso con uno o più cardinali. Perché un’altra caratteristica dello Sbregaverze è quella di essere sempre in maggiore o minore urto con l’Autorità. Quand’anche non sia un fuorilegge per qualche motivo, è però sempre molto ansioso di mostrare che lui non piega la schiena davanti a nessuno, lui. E se questo è uno stereotipo romantico, tanto peggio. O tanto meglio, per dire la verità, perché a chi non piace una buona dose di stereotipi romantici, non foss’altro che nelle domeniche piovose? E quindi ecco che D’Artagnan si batte a duello nonostante la legge lo proibisca, e infilza un consistente numero di guardie del Cardinale (a cominciare dal celebre duello interrotto al convento dei Carmelitani), e alla fin fine vanifica i perfidi piani di Richelieu, che sarà anche malvagio, ma è pur sempre l’uomo più potente di Francia!

Siamo in pieno territorio sbregaverzesco: l’importante è difendere l’onore della regina e non macchiare il proprio, non cercare favori… Potete star certi che, se avesse ragionato così, Charles de Batz de Castelmore, conte d’Artagnan, non sarebbe mai diventato Capitano dei Moschettieri, governatore di Lilla, Maresciallo di Francia in pectore… Forse allora non sarebbe morto all’assedio di Maastricht, ma allora nessuno si sarebbe preoccupato di scrivere le sue memorie fittizie, e Dumas non avrebbe avuto la base storica del suo personaggio più amato e più celebre. Che ci sia un paradosso, qui? Un paradossino, almeno? Ma non divaghiamo: il fatto è che D’Artagnan fu celebre ai suoi tempi. Una celebrità minore ed effimera, ma sufficiente a giustificare la scena del Cyrano de Bergerac in cui un ormai maturo D’Artagnan onora il giovane Cyrano apprezzando la sua chiassata a teatro. Però non è casuale che l’episodio abbia senso alla luce della cronologia immaginaria di Dumas, e non di quella effettiva: a Rostand interessa il D’Artagnan da romanzo, lo Sbregaverze. Che se ne farebbe l’altrettanto Sbregaverze Cyrano dei complimenti di un buon cortigiano? Gioco di specchi, legittimazione letteraria a doppio senso di marcia, cammeo delizioso, omaggio a un autore ammirato… vedete un po’ voi. In ogni caso, questa è la materia di cui son fatti i sogni di un romanziere storico.

dartagnanmusketeers.jpgE per finire, vogliamo omettere del tutto i Moschettieri eponimi? Mais non, parbleu! Anche perché sarebbe un peccato, visto che Athos, Porthos e Aramis sono un raro caso di tre sideckicks al prezzo di uno. Athos, l’eroe romantico e tormentato con funzioni di mentore; Porthos, il gigante ottuso e fedele, permaloso e leale, pronto a seguire il suo Sbregaverze nel fuoco; e Aramis, la voce della ragione (politica), ma anche la mente fina quando serve. E sono storici anche loro, sapete? Dal primo all’ultimo, seppure ampiamente ritoccati: Armand de Sillègues d’Athos, Isaac de Portau e Henri d’Aramitz, tutti moschettieri, prima o poi. Caspiterina, meriterebbero quasi un post della Fenomenologia tutto per loro… Staremo a vedere. E non dimentichiamoci il servitore Planchet, il placido, rassegnato Sancio della situazione, ma sveglio quanto basta. Considerando che ogni moschettiere ha il suo servitore accuratamente coordinato alla personalità del padrone, abbiamo una situazione di sideckics multipli alla seconda. ‘Cidenti, signora Durrels!

Dimentico qualcosa? Ah sì: l’amour. Costanza Bonacieux. Siamo franchi: chi se ne stropiccia di Costanza Bonacieux? Chi si dispiace mai davvero quando muore avvelenata? Risposta: nessuno, e Dumas meno di tutti. Scommetto che l’avvelenamento, oltre a costituire l’ennesima riprova della malvagità di Milady (lei sì che è tosta!) e a dare a D’Artagnan motivi di vendetta personale, è stato un gran sollievo, per l’autore. Costanzina è fuori dai piedi una volta per tutte, et voilà: tre piccioni con una fava! Il che ci porta a identificare ancora un altro elemento caratteristico dello Sbregaverze: l’oggetto del suo amore può essere una donna ideale inseguita (invano) per decenni, un irrilevante plot device, o proprio nessuno. In ogni caso, di rado lo Sbregaverze quaglia in modo significativo. Di certo, nessuno penserebbe che Costanza sia l’influenza fondamentale nella vita di D’Artagnan*****: uno per tutti, tutti per uno, giusto?

Chiudiamo con la fine (la Regina di Cuori sarebbe orgogliosa di me!). In questo, Dumas non si è discostato troppo dalla realtà: dopo una vita da soldato, D’Artagnan muore da soldato, ucciso da una cannonata****** all’assedio di Maastricht. Ma se il vero D’Artagnan morì con il rimpianto di non essere stato creato Maresciallo di Francia, Dumas si prende la libertà di concedere al suo eroe il riconoscimento del Re di Francia. D’Artagnan lo riceve, il prezioso bastone, che va in pezzi sotto la stessa palla di cannone che uccide il fresco Maresciallo: il premio è arrivato, ma è arrivato troppo tardi. Non sia mai che uno Sbregaverze muoia lieto ed appagato, godendo il giusto guiderdone dei suoi servigi: proprio non si fa, che diamine!

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* Edizione Oscar Mondadori del 1970; bella traduzione Anni Cinquanta di Antonio Beltramelli.

** Sì, lo Sbregaverze non naviga mai nell’oro. Il D’Artagnan storico, detto per inciso, non se la cavava poi troppo male, ma sono dettagli.

*** Pubblicati nel 1700 a Colonia da Gatien de Courtilz de Sandras. Dumas lo prese in prestito nella biblioteca di Marsiglia e gli piacque tanto che non lo rese più. Ahi, ahi! Alexandre! Non si fa…

**** Niente di strano, niente d’illegale per l’epoca: in molti eserciti, i gradi da ufficiale si compravano e vendevano ancora fino al XIX Secolo. E costavano anche un’ira, se si voleva un reggimento alla moda.

***** Il D’Artagnan storico divorziò nel 1665 dalla moglie che gli aveva dato due figli. Tutt’altro che inaudito, ma nemmeno del tutto comune per l’epoca.

****** Un colpo di moschetto alla gola, alla realtà. Non so se Dumas ignorasse il particolare o se una palla di moschetto gli sembrasse insufficiente per il suo Moschettiere. Inclino per la seconda ipotesi (anche perché bisognava pur distruggere anche il bastone…)

E per finire, il trailer dell’irresistibile versione cinematografica del 1948. Quanto a fedeltà al testo, dubito che sia peggio di tante altre, ma lo spirito è senz’altro quello giusto. Il technicolor, i duelli che sembrano balletti, il Richelieu di Vincent Pryce… Dumas l’avrebbe adorato!

 

 

Ott 15, 2009 - cinema e tv, considerazioni sparse, fenomenologia dello sbregaverze    Commenti disabilitati su Noterella

Noterella

Dunque, mi si chiedono notizie della trasposizione televisiva di Kidnapped citata nel post su Alan.kilt2.jpg

Personalmente sono certa, più che certa, certissima che lo sceneggiato (allora si chiamavano così) sia stato trasmesso anche in Italia. Dalla RAI, ovviamente, nei primissimi anni Ottanta. Andava in onda all’ora di cena. O forse, date le abitudini di casa mia, a un’ora che potrebbe essere considerata “subito dopo cena”. Solo che, a quanto pare, me ne ricordo soltanto io. Lo sceneggiato fantasma: io sola l’ho visto, e persino la RAI, interpellata in proposito, nega che sia mai avvenuto alcunché di simile. Però io me ne ricordo benissimo, e non posso essermi sognata delle scene intere, inquadratura per inquadratura, giusto? Per non parlare della colonna sonora… Se qualcun altro ne ha memoria, please, fatemelo sapere. Mi sarebbe di grande consolazione.

Ad ogni modo, di adattamenti cinematografici e televisivi di Kidnapped se ne contano a decine… be’, no, non esageriamo: se IMDb è degno di fiducia, se ne contano 13 fra il 1917 e il 2005. Di questi 13 ne ho visti (in parte o totalmente) 6, e lo sceneggiato di cui parlo, produzione anglo-tedesca del 1978, pur avendo quell’inevitabile Seventish feel, è piuttosto fedele e piuttosto curato. I punti di forza sono la fotografia, la colonna sonora e David McCallum nel ruolo di Alan. Concesso: McCallum è troppo “carino” per il ruolo (altra caratteristica dello Sbregaverze: non è mai bello in senso convenzionale), ma oltre ad avere il vantaggio di un accento scozzese autentico, trovo che catturi molto bene l’irascibilità, la volubilità e lo spirito sardonico di Alan. Può darsi che sia un pochino carente nel dipartimento “dancing madness”, ma che vogliamo fare? E comunque, ha quell’aria da bantam da combattimento che associo ad Alan, senza diventare caricaturale. E’ un rischio che chiunque interpreti uno sbregaverze corre, e non sempre il risultato è ideale. Per esempio, Iain Glen nei panni di Alan è, per usare la definizione della mia amica Victoria, “più Jack Sparrow che Stevenson.” Ugh. Delusione nera: mi aspettavo di meglio da Glen. Ma d’altro canto, benché Michael Caine sia uno dei miei attori preferiti, non l’ho mai visto tanto fuori parte come nell’interpretare Alan. Caine magari erra nell’altro senso: talmente rigido ed inespressivo! E anche Peter Finch… no, no, no.

Un’altra cosa che mi piace di questa produzione, è che fa uno sforzo per definire il background di Alan, anche se per farlo deve discostarsi dal romanzo.* Per esempio, il Nostro ci viene mostrato alla battaglia di Culloden, forse in un ruolo un po’ più centrale di quello che sarebbe toccato persino all’Alan fittizio, ma efficacemente brusco e combattivo. Più tardi, lo vediamo alla non-corte francese di Bonnie Prince Charlie (che non esce troppo bene da questa sceneggiatura), mentre legge invece di partecipare a una partita di qualche sport. Anche questa è una scena che non esiste nel libro, ma fa riferimento alla pagina in cui Stevenson, attraverso David, parla delle molteplici perfezioni artistiche e intellettuali di Alan. Tutto ciò nel romanzo è detto e non mostrato, con l’eccezione dell’abilità nel suonare la cornamusa; lo sceneggiatore fa uno sforzo per mostrarlo, anziché dirlo. Nello stesso contesto, ci viene mostrato anche che Alan non è un buon cortigiano, che ha poca pazienza per le esitazioni del principe, e non ne ha affatto per le frivolezze dell’entourage. Se ne può dedurre che la Causa non abbia soverchie speranze, e che Alan lo sappia fin troppo bene. Ma tutti sappiamo, nevvero? che la Causa Persa è per lo Sbregaverze come il miele per l’ape.

Ad ogni modo, dubito molto che lo sceneggiato sia reperibile, men che meno in Italiano. Se qualcuno avesse voglia di dare un’occhiata comunque (non fosse altro che per sentire la bella colonna sonora), se ne può avere un assaggio su YouTube. Digitando “Kidnapped Stevenson” nella search box, si arriva a questa pagina, dove si trovano varie cose, tra cui un po’ di clip di questa versione** qualche pezzetto di una versione del 1938 (in bianco e nero, terribilmente holliwoodiana e solo vagamente imparentata con il libro), il video di un blogger che ha sgambato per tutte le Highlands ricostruendo il viaggio di Alan e David*** e anche, credo, qualche scena dalla versione con Michael Caine.

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* So perfettamente che cosa avete pensato, là dove c’era l’asterisco. Avete levato gli occhi al cielo, e vi siete detti: figurarsi se, trattandosi di Alan, la Clarina non perdona l’infedeltà al testo! Fosse stato qualunque altro personaggio, fosse stato il povero David (Idiota Ottuso), figurarsi gli alti lai! Vero che l’avete pensato? 🙂 

** Sotto il nome di “Kidnapped, aka David Balfour”, oppure “Fo Bhruid”, che è Gaelico per “Rapito”.

*** Sì: c’è gente strana, a questo mondo…

 

Alan Breck Stewart: Lo Sbregaverze Quintessenziale

Cominciamo da Alan, con il quale sarebbe forse più logico finire, perché Alan è la pietra di paragone su cui ho modellato l’intera categoria, ma fa lo stesso. Quando ho scoperto che Henry James ha definito Alan “il personaggio più perfetto della letteratura inglese” mi si è allargato il cuore. Perché adoro Alan.

statuevert.jpgAlan entra in scena a pagina 83* di “Rapito”, di R.L. Stevenson, balzando a bordo di un brigantino da una barca speronata nella nebbia e, da quel momento in poi, ruba la scena a tutti gli altri, compreso il protagonista nominale. Sgombriamo subito il campo, qui: il protagonista semi-eponimo e narratore è David Balfour, ma David, ci viene fatto capire, è un ragazzino singolarmente ottuso, il cui ruolo effettivo è quello di sidekick. Non c’è rischio che David (o chiunque altro nel libro, se è per questo), possa competere con Alan, che ripete a chiunque voglia o non voglia sentire che lui porta “un nome regale”, che si compone da sé una ballata per celebrare un duello ben riuscito, e che ha occhi nei quali brilla “una specie di luce danzante un po’ folle che attirava e allarmava nello stesso tempo.”**

Ora, questo Alan è largamente una creatura dell’immaginazione di Stevenson, perché l’originale storico era meno attraente.  

Ailean Breic Stuibhairt, per citare la versione gaelica del nome, era il nipote orfano di un capo di seconda schiera all’interno del clan Stewart di Appin, nelle Higlands scozzesi. Per qualche motivo si arruolò nell’esercito inglese (non oso immaginare cosa avranno pensato di lui i suoi parenti…), da cui disertò nel 1745, alla battaglia di Prestonpan, per unirsi ai Giacobiti scozzesi. I Giacobiti erano Scozzesi cattolici, per lo più delle Highlands, che sostenevano le rivendicazioni al trono di Scozia (e già che c’erano, anche d’Inghilterra) da parte degli Stewart esiliati dopo la Glorious Revolution. Nel 1745, appunto, il principe Charles Edward Stewart sbarcò in Scozia per guidare una sollevazione. Non andò a finire bene. Sconfitto a Culloden, Bonnie Prince Charlie dovette tornarsene in Francia armi e bagagli, con un vasto seguito di ex insorti, tra cui Alan. Una volta in Francia, Alan si arruolò in un reggimento scozzese del Re di Francia, tornandosene in Scozia in incognito, di quando in quando, a raccogliere/estorcere il tributo dei clan per il sovrano in esilio. Fatto si è che, durante uno di questi suoi passaggi in patria, nel 1752, un agente scozzese del Re d’Inghilterra venne assassinato ad Appin. Alan non godeva di buona fama: era violento, collerico e imprudente, e persino il suo padre adottivo lo descriveva come “uno sciocco furioso”. Per di più, aveva dichiarato in pubblico sentimenti poco affettuosi nei confronti della vittima… Per farla breve, Alan fu accusato di omicidio, ma riuscì a scappare, e al suo posto venne impiccato il padre adottivo, come mandante. Fine.

O meglio, “fine” se non fosse per R.L.Stevenson, che ebbe modo di leggere le carte del processo e si appassionò alla vicenda, tanto da costruire il suo “Kidnapped” attorno all’omicidio di Appin, e all’innocenza di Alan. Peccato che l’Alan storico non andasse molto bene. Insomma, siamo onesti: chi è che vuole uno sciocco furioso per eroe?

Ed ecco allora entrare in campo la sbregaverzizzazione.

Alan è l’opposto di tutto ciò che è stato inculcato al nostro narratore ottuso. Mentre David è un buon protestante e un buon suddito, allevato nella massima sobrietà morale e materiale, Alan è un cattolico, un fuorilegge, allegramente spavaldo nei suoi abiti sgargianti, pronto di lingua e di spada, pronto a mentire, rubare, truffare e uccidere per il suo re in esilio – a patto che il suo onore non debba soffrirne. Però, quando il capitano del brigantino (buon protestante e whig, lui, ma non proprio di specchiata onestà) decide di assassinare il nuovo venuto per impadronirsi dell’oro che porta, David non impiega molto a decidere da che parte stare. E noi lettori impieghiamo ancor meno.

Questo è il primo di molti episodi in cui David è costretto a rivedere le sue convinzioni (e noi siamo costretti ad ammettere che anche le migliori %7B8C264151-BB67-4059-85CF-F841B174DFB1%7DImg100.jpgconvinzioni possono essere riviste). Per diciotto anni si è sentito ripetere che i Giacobiti sono gente pericolosa, eretica e immorale, e certo Alan non è molto rassicurante, con la sua enorme spada, il carattere irascibile e la luce un po’ folle negli occhi… ma si rivela onorevole, leale e generoso, ed è uno contro nove!

Segue scena di battaglia nel castello di poppa, che forgia questa bizzarra amicizia tra due uomini che non potrebbero essere più diversi. D’altra parte, si può capire David: chi potrebbe resistere a un nuovo amico che, appena ricacciati indietro i nemici in schiacciante superiorità numerica, vuole subito sapere se è o non è uno spadaccino tosto?*** Ed è qui che Alan si compone la ballata… scena meravigliosa. Perché Alan, dice David, “se apprezzava il coraggio negli altri uomini, lo ammirava soprattutto in Alan Breck.”

Poi, sia chiaro: Stevenson sa il suo mestiere, per cui non c’è nulla di manicheo. David rimane riluttante, e Alan è tutt’altro che immune da difetti: vanesio, irascibile, occasionalmente irresponsabile, insopportabilmente orgoglioso, e con un codice morale un tantino tortuoso, che a noi non fa troppo effetto, ma doveva sconcertare non poco i contemporanei di Stevenson. Eppure, il successo di “Kidnapped” fu enorme fin dal principio, a riprova del fatto che Stevenson sapeva far amare e ammirare Alan con tutti i suoi difetti, prima tra tutti la tendenza a vedere offese ovunque. Notatelo bene, questo tratto, perché lo ritroveremo. Oh, se lo ritroveremo…

Ma non c’è nulla di caricaturale, in Alan. Stevenson, attraverso David, ci informa che Alan non è affatto un soldataccio zotico o un avventuriero da quattro soldi: oltre ad essere un buon tiratore e l’eccellente spadaccino che sappiamo, ha viaggiato molto, parla diverse lingue, ha letto molti libri in Inglese e Francese, suona diversi strumenti ed è un buon poeta. Un uomo colto e un artista.

Stevenson non si è limitato a cucire una personalità completamente fittizia su un nome trovato in un vecchio atto processuale, e non ha tentato di farne un “bravo ragazzo” a tutti i costi. Invece, ha preso le caratteristiche negative dell’Alan storico, ci ha mescolato una manciata di buone qualità del tutto fittizie, e le ha modellate in un insieme a tutto tondo. La facilità alla collera, la mancanza di buon senso, la diserzione a Prestonpan, gli abiti sgargianti, l’arroganza, la propensione alla violenza dell’originale (e francamente, chi non pensa che fosse un individuo sgradevole, alzi la mano), vengono rivoltati come guanti in altrettanti tratti di caratterizzazione, la cui somma è ben diversa dall’intero da cui eravamo partiti: un Alan Breck Stewart talmente affascinante, che vogliamo a tutti i costi credergli, quando sostiene di essere innocente. Vogliamo credergli perché si affeziona a David non superando le differenze, ma nonostante le differenze; e perché è così ostinatamente, irragionevolmente fedele al suo Re Oltre il Mare; e perché regala a David uno dei suoi bottoni d’argento come salvacondotto per Appin (“come se fosse stato un principe, con un esercito ai suoi ordini”), e il bottone funziona; e perché dopo avere perduto in una notte di vino e di carte tutto il denaro proprio e di David è terribilmente contrito, ma troppo orgoglioso per ammetterlo; e perché non avrebbe nessun bisogno di David, ma lo aiuta per buon cuore… e per un’infinità di altre ragioni.

Stevenson credeva nell’innocenza dell’Alan storico. Ci credeva tanto da creare un Alan fittizio che ha trascinato generazioni di lettori a condividere la sua certezza. Studi recenti sembrano dargli ragione, ma onestamente, non credo che abbia molta importanza. Quello che conta è l’Alan di Stevenson, che fugge attraverso le Highlands trascinandosi dietro David, che si cruccia di non essere un po’ più alto, che si costringe a perdere con buona grazia una tenzone di cornamusa, che porta un nome regale, musicista, poeta occasionale, spadaccino, soldato di una causa persa e buon amico: il più perfetto degli Sbregaverze.

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* Edizione BUR del 1982, traduzione di Piero Gadda Conti (non da morirci sopra, ma con più meriti che colpe)

** Nell’originale: [His eyes had] a dancing madness in them, that was both engaging and alarming.

*** Nell’originale: “Am I no a bonnie fighter?”, frase che trovo intraducibile nel suo senso più sbregaverzesco e più scozzese. Ok, giuro che mi tratterrò da ulteriori citazioni dall’originale.

In compenso, ecco qui un filmatino da una trasposizione televisiva di Kidnapped della fine degli Anni Settanta. E’ piuttosto accurata e fedele, e secondo me David McCallum è il migliore Alan dello schermo. Notare: a 2.25: “Oh David, I love you like a brother!” e subito dopo, a 2.28: “Am I no a bonnie fighter?” [E credete che quell’idiota di David gli dica di sì? Andiamo, o stoccafisso! Ti ha appena salvato la vita…]

 

Kit o non Kit?

[Questa è solo una piccola nota di servizio, perché in realtà sono in città alla lezione dimostrativa di un corso di Danze di Società dell’Ottocento. Quindi, mentre leggete qui, immaginatemi mentre saltello leggiadramente a tempo di polka. O di quadriglia. O di danze scozzesi, ancora non lo so.]

Allora, il mio dubbio feroce, come da titolo del post, è se includere o meno Christopher Marlowe nella mia Fenomenologia dello Sbregaverze… Non il Marlowe reale, s’intende, ma la sua versione letteraria ad opera di Anthony Burgess. Sì, lo stesso Burgess di Arancia Meccanica, ma era un signore estremamente eclettico: romanziere, librettista, drammaturgo, compositore, filologo, giornalista, traduttore… che posso dire? Chapeau! Comunque, il suo ultimo romanzo è il meraviglioso A dead man in Deptford, che racconta appunto vita e morte di Marlowe.

Marlowe,Christopher01_small.jpgIn realtà, di libri su Marlowe ce n’è a bizzeffe. E’ un soggetto molto amato dagli autori anglosassoni, e in tutte le salse, dalla biografia pura e semplice, al giallo, alla pièce teatrale, al romanzo storico propriamente detto, fino a un’abbondante produzione di fantasy storico.

La cosa non dovrebbe meravigliare: anche senza il tramite di un’interpretazione letteraria qualsiasi, il personaggio è notevole di per sé. Figlio di un calzolaio, studente a Cambridge, Master of Arts, il più grande drammaturgo elisabettiano dopo Shakespeare (e suo precursore, visto che il blank verse è una creazione di Marlowe), poeta, spia, eretico, frequentatore di circoli filosofici sospetti, attaccabrighe, duellatore, parlatore incauto, morto a 29 anni in una rissa da taverna in circostanze mooooolto dubbie.

E’ il personaggio perfetto, con quel tanto di mistero e d’incertezza che consente infinite speculazioni*, e anche, prima facie, uno Sbregaverze perfetto.  

Ma… c’è un ma. Uno dei primi criteri che ho adottato nella scelta dei miei Sbregaverze è la marginalità del personaggio reale in vita. Kit Marlowe non è stato marginale, perbacco!** E’ stato un grande, celeberrimo scrittore, persino più celebre di Shakespeare, per diversi anni. La sua produzione è limitata perché è morto giovane,*** ma di sicuro è una figura maggiore nella storia della letteratura mondiale. E questo è il motivo fondamentale per cui, invece di essere stato pescato dall’oscurità, ricreato e portato in vita da un singolo autore come una versione dello Sbregaverze archetipico, appare in molteplici vesti, in molteplici opere, ad opera di molteplici autori.

Quindi, davvero non so, e la questione è metodologica: Kit è uno Sbregaverze? Probabile. Uno dei miei Sbregaverze? Probabilmente no. Resisterò alla tentazione di fare uno strappo ai miei accuratamente stabiliti criteri? La questione va ponderata.

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* C’è un’infinità di gente pronta a giurare che la rissa a Deptford fu soltanto una messa in scena, e che Kit, fuggito sul Continente, condusse una vita lunga e piena, scrivendo, tra l’altro, tutte le opere che noi attribuiamo a Shakespeare. La teoria è talmente bislacca che è affascinante. Una volta o l’altra, posterò in materia.

** Si capisce tanto che ho un debole per Kit?

*** Facendo due calcoli, se Shakespeare fosse morto a 29 anni, di suo avremmo soltanto le tre parti di Enrico VI, Riccardo III, e I Due Gentiluomini di Verona. E non è nemmeno detto. Sarebbe ugualmente Il Bardo? Ho i miei dubbi.

Ultima nota, e sono stufa di asterischi: il ritratto qui sopra è generalmente identificato come Marlowe, ma in realtà non ci sono prove a sostegno, se non la coincidenza dell’età del soggetto, e il fatto che sia stato ritrovato a Corpus Christi College. Pura speculazione. Comunque, Marlowe avrebbe potuto somigliare a questo giovanotto…

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