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Mag 7, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Pag. 35

Pag. 35

Dunque, l’ho iniziato. L’Eleganza del Riccio, intendo. E a titolo di segno di buona volontà, ci ho anche messo uno dei miei segnalibri preferiti (nastro di seta color porpora con un motivo a foglie)

Solo che, essendo una persona più furba della media, ho qualcosa che se non è un’influenza ci somiglia molto – a maggio! – e quindi al momento non sono una lettrice più fulminea del creato universo.

Quindi, sì: pagina trentacinque in tutto e per tutto. Allora, la Portinaia tutto sommato m’intriga, mentre per ora la voce della Dodicenne Innominata suona… non so, in qualche punto della scala tra fasulla e pretenziosa, ma comunque irritante. Il contrasto tra la vacuità, la meschinità e la grossolanità sostanziale dei ricchi da una parte, e dall’altra l’amore per la conoscenza e la signorilità innata (anche se talora dissimulata) dei poveri mi sembra un po’ insistito. Magari è presto per dire, ma di sicuro è molto insistito nelle prime trentacinque pagine. Sospendiamo il giudizio, e ci mancherebbe.

Di sicuro, per un libro che si scaglia con tanta veemenza contro i luoghi comuni, l’inizio mi sembra singolarmente zeppo di luoghi comuni (l’idiotino di buona famiglia che si gasa leggendo Marx, la grazia inattesa del rugbista maori, la domestica portoghese, l’incompresa profondità dei manga…) ma può ancora darsi che sia un’impressione creata con uno scopo preciso, magari un ribaltamento, un twist di qualche genere. Stiamo a vedere.

Per ora non sono conquistata. Però, prima di chiudere il libro, ieri sera ho dato uno sguardo all’inizio del capitolo successivo: ricordi di scuola della Portinaia, parrebbe. Ripeto: la Portinaia m’intriga. Qui vit verra.

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Oh, e siccome il paragrafo che segue si qualifica come spoiler, i tre o quattro altri platanicoli che, come me, non hanno ancora letto il Riccio, faranno bene a fermarsi qui.

Ad ogni modo, la Dodicenne Innominata ha precise intenzioni suicide, a meno che non trovi qualcosa di tanto bello (umano, animale, vegetale o minerale) da convincerla che vale la pena di vivere. Perché ho il forte, fortissimo sospetto che questo qualcosa finirà con l’essere qualche tipo di amicizia con la Portinaia assetata di conoscenza e bellezza? Hm… talk of telegraphing a story!

Mag 6, 2010 - libri, libri e libri    2 Comments

Bandiera Bianca

E va bene, mi arrendo.

Cedo alla forza dei numeri.

Di solito non leggo i libri circondati da troppo hype. Non ho letto La Solitudine dei Numeri Primi, non ho letto nemmeno un romanzo di Camilleri o di Faletti, ho abbandonato Va Dove Ti Porta Il Cuore a pagina sei, non ho letto Il Codice Da Vinci, ho evitato Baricco per quanto potevo, non ho letto Il Cacciatore di Aquiloni, non ho letto Gomorra… L’ho detto più di una volta: vivo su un platano. E, mi si fa notare, probabilmente sono anche un pochino snob.

Però adesso sono sopraffatta dall’entusiasmo e dallo zelo missionario di troppe persone di cui mi fido letterariamente, tutte convinte che la mia vita manchi di un quid di luce e gioia se non leggo Il Libro. E quindi, dopo molti mesi di fiera resistenza, ecco che capitolo. Mi arrendo senza condizioni, e stasera (prove permettendo) comincio a leggere L’Eleganza del Riccio.

Oddìo, magari proprio senza condizioni no: non cedo con buona grazia, temo. Mi ci sento un po’ trascinata kicking e screaming, e parto prevenuta. Lo so che è pessimo da parte mia, ma non posso tacitare quella vocina subdola che continua a sussurrarmi “non ti piacerà. Non può piacerti. Sai benissimo che non può piacerti, per costituzione, per forma mentis, per spirito di contrarietà. Ti verrà qualche violenta reazione allergica, ci puoi scommettere. A pagina 10 sarai annoiata; a pagina 40 sarai di umore sarcastico; a pagina 65 considererai seriamente di piantare tutto – e sarai arrivata così avanti solo perché, essendoti sbilanciata su SEdS, ti sentirai in dovere di…

Plaf!

E questo era il rumore del cuscino che ho appena schiacciato sulla Vocina Subdola, nel tentativo di zittirla.

Quindi, stasera comincio. E vi farò sapere, vi terrò aggiornati con un bollettino di lettura, perché poi magari sono capace di cambiare idea e trovarlo incantevole – a volte succede anche questo: sono irragionevole, ma non irragionevolmente irragionevole.

E adesso, a noi due, portinaia di Mme Barbery!

Apr 27, 2010 - libri, libri e libri    2 Comments

Giornata Mondiale Del Libro

“Mi aspettavo che facessi qualcosa per la Giornata Mondiale del Libro, però.”

“Taci, va’. L’ho scoperto la settimana scorsa, e non sai quanti tipi d’idiota mi sono chiamata. Voglio dire, se c’era un argomento adatto per il mio blog… ma no, devo lasciarmela sfuggire.”

Te ne sei accorta la settimana scorsa?”

“Sì. Era il 23 di marzo, o lo sarebbe stata se io non…”

“Sei diventata russa di recente, o cosa? 23 aprile, Rommel!”

* cue rumore di scatola cranica in collisione con piano di scrivania. Due volte. *

Abbiamo trasmesso: La Donna Che Perse La Giornata Mondiale Del Libro E Poi La Perse Un’altra Volta, dramma radiofonico in un atto, triste e molto istruttivo.

 

Apr 21, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Salvatore Siciliano & C.

Salvatore Siciliano & C.

“Mi chiamo Salvatore Siciliano e dal momento in cui leggerete questo testamento avrò una sola certezza: quella di non chiamarmi più Salvatore Siciliano.

In pieno possesso delle mie facoltà mentali decido di lasciare tutti i miei beni materiali alla persona che più ho amato…”

Lo so, l’avete già visto tutti, ed era sfuggito solo a me. Ad essere sinceri, quando ho ricevuto la prima mail con questo testo, l’ho scambiata per l’ennesima truffa web. Avete presente il sacerdote nigeriano o l’orfano del defunto ministro ugandese che vi offrono la percentuale sull’eredità purché voi (persona di estrema fiducia pescata a caso in rete) facciate questo, quello e quell’altro ancora? Ecco, pensavo a una cosa del genere, e ho letto distrattamente, aspettandomi da un momento all’altro l’offerta di una fetta dei 98 milioni di Euro depositati sul conto Unicredit. 

Poi invece la percentuale non c’era, ma c’era un link. Be’, chi l’avrebbe mai detto? ho pensato. Phishing in veste inedita! Così ho cestinato la mail e non ci ho pensato più. Poi si sa che per me Internet è il posto dove si cerca l’abbigliamento tardobizantino e si dà il tormento agli Addetti Navali, e quindi i fenomeni web a volte mi passano accanto senza che me ne accorga…

Credo proprio che di Salvatore Siciliano e del suo testamento mi sarei bellamente dimenticata se, a scuotermi dal mio placido oblio, non fosse arrivata la mail della Responsabile Web Marketing di Fazi Editore, con la spiegazione dell’arcano e tanto di cartella stampa in allegato.

E così scopro che Salvatore e il suo testamento abitano in un libro, e che avevo scambiato per phishing “la più grande operazione di marketing e comunicazione virale effettuata in Italia sul web”. Silly me.

Incuriosita, faccio qualche ricerchina e scopro questo sito minimale, che riporta il supposto testamento, la copertina del libro e un link al booktrailer su YouTube. BT scarno e ben confezionato, con musica incalzante, montaggio ansiogeno, un accenno di teoria complottista, tanto di richiamo a Dante, e l’informazione che Salvatore si aspetta di dover morire da un momento all’altro – e nel frattempo si svuota animo e coscienza. Il device letterario non è certo originale, ma è di quelli efficaci, e comunque vederlo applicato a facebook è stuzzicante.

Siccome sono una creatura diffidente, verifico anche l’affermazione secondo cui Google dà più di 200000 risultati per ITdSS. Ebbene, pare che fosse una stima prudenziale: al momento i risultati sono più di 250000. Mica male. Tutto vero anche per quel che riguarda i video di risposta su YouTube: mi sembra che molti siano parodie, e in mezzo al numero spunta anche un video intitolato Michael Jackson è vivo!, ma non stiamo a sottilizzare, perché l’importante è che se ne parli, e non si può negare: se ne parla eccome.

Dal punto di vista del rumore mediatico, missione compiuta, non c’è che dire. L’operazione è stata condotta bene (magari sono l’unica che ha scambiato il testamento per phishing!), in modo abile e sottile. Persino la scheda del libro è strutturata in modo da creare la massima confusione possibile tra il personaggio Salvatore Siciliano e l’autore Salvatore Cobuzio.

Come Siciliano, Cobuzio si occupa di web marketing, ci viene detto, ma quale dei due ha “deciso di sfruttare tutti gli attuali strumenti di comunicazione con l’intento preciso di metterli in discussione”? Quale dei due sostiene di essere stato dietro la creazione dei falsi gruppi di sostegno a Berlusconi su Facebook? La nebulosità deliberata delle informazioni è spiazzante e intrigante al tempo stesso. L’ho già detto: chiunque abbia ideato e preparato la campagna è abile. Molto.

Qualora mancasse qualcosa, ecco – sempre verbatim dalla scheda – “alcuni esempi di temi trattati all’interno del libro”:

–         La censura di internet in Cina.

–         Il traffico del Tantalio.

–         La privacy.

–         La teoria sui clown (Berlusconi) e i buffoni moderni di oggi (Dario Fo, Luttazzi, Grillo, Santoro, Travaglio)

–         Obama e la politica americana del 2.0.

Sembra troppa carne al fuoco? Anche a me, ma è carne ben scelta: una grigliata mista delle ansie, rabbie e speculazioni dell’Italiano contemporaneo, con un occhio a Dan Brown e uno ai talk show. E in più c’è questa astuta operazione di marketing che promuove, in definitiva, sé stessa. Un supposto mago del web che scrive un libro in cui un mago del web mette in discussione il web (e si caccia, anzi, si è già cacciato in notevoli guai trafficando in ambito web), il tutto pubblicizzato viralmente via web… Come chiamiamo tutto questo? Meta-rete?  

Ho imparato che la promozione di un libro può essere molto più cerebrale del libro stesso, quindi la storia di Salvatore potrebbe tanto proseguire il gioco a incastro intellettuale della campagna, quanto rivelarsi un’avventura all’incrocio tra nuova comunicazione e complotti internazionali… Se siete curiosi, dicono il sito, il BT e la Responsabile del Web Marketing, il libro sarà negli scaffali a partire da venerdì.

Oh, e la Responsabile Web Marketing mi ha anche informata che Salvatore Cobuzio era disponibile per interviste via email. E dire che io speravo quasi che Cobuzio non esistesse. Che persino l’autore, con il suo curriculum scarno e le sue affermazioni bizzarre, fosse solo un altro elemento di questo rimarchevole gioco di scatole cinesi, con un libro “nascosto” nell’ultima scatola…

Allora, magari ragiono in modo contorto perché si diventa così scrivendo, ma dite la verità: non sarebbe tutto più elegante e più simmetrico se Salvatore Cobuzio non esistesse, se fosse la creazione di qualcun altro, né più né meno di Salvatore Siciliano?

Apr 19, 2010 - cinema, libri, libri e libri, Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Sempre di Film e di Libri

Sempre di Film e di Libri

Questo post è un enorme spoiler – lo dico perché una volta su aNobii sono stata vigorosamente accusata di avere spoiled il finale del Gattopardo…

Ad ogni modo, se leggete i libri per sapere come vanno a finire, fermatevi qui. Se v’interessa la meccanica delle storie, qui sotto c’è un’analisi comparata della Struttura In Tre Atti e Tre Disastri di Morality Play – Lo Spettacolo Della Vita, di Barry Unsworth, e di The Reckoning, il film che Paul McGuigan ha tratto dal romanzo.

Morality Play – Lo Spettacolo della Vita

The Reckoning

ATTO I

Nicholas Barber, un giovane prete in fuga dalla sua diocesi per avere conosciuto (senso biblico) una donna, si unisce a una compagnia di attori in viaggio e, insieme a loro, raggiunge una cittadina ancora scossa dall’assassinio di un bambino. Gli attori hanno bisogno di denaro per far seppellire un loro compagno, morto durante il viaggio, e mettono in scena una rappresentazione sacra nella piazza.

Nicholas, un giovane prete, fugge attraverso i boschi, si taglia i capelli per nascondere la tonsura e getta nel fiume il suo abito religioso – e nel frattempo ricorda la sua parrocchia, la giovane donna con cui ha commesso adulterio, e il marito di lei che li ha sorpresi in flagrante delicto.

DISASTRO n° 1

La rappresentazione va molto male e la compagnia è in bolletta. Il capocomico propone di provare un dramma di nuovo genere, ispirato all’omicidio appena avvenuto.

Nel bosco, Nicholas crede di assistere a un omicidio. Scoperto e catturato da quelli che in realtà sono attori girovaghi che assistono un compagno moribondo, decide di unirsi a loro.

ATTO II (parte I)

Per preparare il nuovo dramma, gli attori, e Nicholas con loro, fanno domande ai cittadini, raccogliendo informazioni sul bambino morto, sulla ragazza accusata del delitto, e sul confessore del signore locale, che ha scoperto le prove della sua colpevolezza. Una volta messa in scena, la storia non risulta convincente nella sua conclusione, ma raccoglie molto denaro, e gli attori decidono di ripeterla l’indomani, in occasione della fiera.

Insieme agli attori, Nicholas giunge in un villaggio dove è appena avvenuto un omicidio. Non potendo pagare il funerale, gli attori seppelliscono clandestinamente il loro compagno nella tomba del ragazzo assassinato e Nicholas officia il rito, rivelando di essere un prete. Impossibilitati a proseguire per un guasto al carro e a corto di denaro dopo una disastrosa rappresentazione sacra, gli attori si lasciano convincere dal capocomico Martin a mettere in scena un nuovo tipo di dramma, ispirato all’omicidio appena compiuto. Dopo avere incontrato la donna accusata del delitto, Nicholas prende parte alla rappresentazione, ma la logica della storia e le reazioni del pubblico non lo convincono. Gli attori non gli danno retta e si dispongono a partire l’indomani con il carro riparato.

DISASTRO n° 2

Per raccogliere ulteriori informazioni, il capocomico Martin visita in prigione la ragazza condannata all’impiccagione, se ne innamora, si convince della sua colpevolezza e decide di servirsi del dramma per scagionarla.

Riesumando il corpo del ragazzo assassinato, Nicholas vi scopre segni di violenza e i primi sintomi della peste, e rifiuta di partire con gli attori, lasciando che una donna innocente venga impiccata per un omicidio che non ha commesso.

ATTO II (parte II)

Durante la seconda rappresentazione, trascinati da Martin, gli attori dimostrano logicamente l’inconsistenza delle accuse del confessore. Il pubblico è sconvolto, e lo ancora di più quando arriva la notizia della morte del confessore. Impauriti dalle conseguenze delle loro azioni, gli attori si ribellano a Martin, e dichiarano l’intenzione di partire immediatamente.

Nicholas interroga il confessore del castellano, la cui testimonianza è stata risolutiva nella condanna della donna, e il monaco risponde ambiguamente, lasciando intendere di avere agito per ordini altrui. Poco dopo, il confessore viene ucciso simulando un suicidio. Con l’aiuto degli attori tornati a sostenerlo, Nicholas ferma l’esecuzione e denuncia alla folla la responsabilità del castellano. All’arrivo delle guardie, l’intera compagnia si rifugia nella chiesa, dove trova il castellano.

DISASTRO n° 3

I soldati del signore locale prelevano gli attori e li conducono al castello – nominalmente per recitare davanti al castellano, ma di fatto prigionieri.

Nicholas affronta il castellano con le prove della sua colpevolezza e rivelandogli la presenza del Giudice al villaggio. Quando il nobiluomo dichiara orgogliosamente la propria immunità dalla giustizia, Nicholas gli rivela che il ragazzo da lui violentato aveva la peste. Il castellano pugnala Nicholas.

ATTO III

Condotti davanti al castellano, gli attori danno inizio ad una terza rappresentazione, nel corso della quale Martin accusa, dapprima copertamente e poi con sempre maggiore sicurezza, “colui che il confessore serviva”. Il dramma è interrotto dalla figlia del castellano, venuta a chiedere l’assistenza religiosa di Nicholas per un moribondo. Separato dai suoi compagni, Nicholas fugge dal castello e raggiunge il Giudice del Re che alloggia in città, al quale riferisce la situazione. Il Giudice rivela a Nicholas di essere venuto ad arrestare il figlio del castellano, colpevole di avere violentato e ucciso quattro bambini, e promette di far rilasciare gli attori.

La folla, inferocita dall’omicidio del bambino, dal tentativo di far condannare un innocente e dall’attacco a Nicholas, assalta il castellano e lo uccide. Nicholas muore, e gli attori si preparano a lasciare il villaggio, dichiarando l’intenzione di continuare a rappresentare il nuovo dramma in omaggio a Nicholas, morto per amor di giustizia e verità.

Notate come alcuni eventi siano stati spostati (ad esempio l’incontro con la donna condannata a morte), e come il film tagli sulla preparazione del dramma, e sula parte che esso ha nel disvelamento della verità. Notate anche il finale del film, molto più drammatico di quello del romanzo.

Ma la differenza più significativa, strutturalmente parlando, risiede nel punto di vista. Nel romanzo, Nicholas è il narratore in prima persona e il testimone degli eventi, ma la storia è incentrata su tutta la compagnia, e sul dramma, per cui i disastri sono tali dal punto di vista collettivo degli attori. Nel film, invece, Nicholas è il protagonista e il propulsore degli eventi, e i disastri costituiscono gli snodi della sua vicenda e della sua indagine.

Nel libro, Martin comincia per amore dell’arte e poi prosegue per amore della ragazza muta. Alla fine molti interrogativi rimangono aperti (che sarà successo agli attori nel frattempo? Cosa ne sarà della compagnia che è venuta meno al suo ingaggio? Vorranno ancora gli attori fidarsi di Martin? Nicholas resterà con loro?) ma la cosa importante è che il dramma, come esperienza di arte e conoscenza, e come simbolo dell’avventurarsi della mente umana in territorio inesplorato, ha condotto alla verità e alla giustizia. Nel film, al contrario, Nicholas* agisce fin dapprincipio per amor di giustizia, e così va incontro alla sua fine. E’ la sua ostinazione a portare alla luce la verità e scagionare l’innocente, e alla fine tutte le domande trovano risposta.

Francamente, l’arco narrativo del film è più solido, ma al romanzo resta la superiorità di una magnifica, originale e potente metafora della conoscenza che il film sacrifica alla trama gialla.

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* Vero è che nel film Nicholas ha anche ucciso il marito della sua bella, per cui ha più da redimere e meno da perdere… Ma, a parte le motivazioni del tutto diverse, il Nicholas del libro e quello del film non hanno poi molto in comune.

Apr 15, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Non i miei dieci libri preferiti, ma dieci libri che sono davvero seccata di non avere scritto io. E’ diverso.

1) Lord Jim, di Joseph Conrad. Ma va’? direte voi. E’ una questione di potenza, di bellezza, d’intensità e di nitidezza. Nonostante la selva di narrazioni indirette, Conrad riesce a mettere tutto quanto in una prospettiva vertiginosa, centrata su un singolo errore del protagonista, conseguenza dopo conseguenza. Credo che potrei mentire, rubare, truffare e uccidere per saper fare questo…

2) History Play, di Rodney Bolt. Il più brillante, raffinato, intelligente e spiritoso gioco letterario che mi sia capitato di leggere – e ci sono pure cascata in pieno. Ci ho messo un bel po’ di pagine a capire che i dubbi su Shakespeare erano costruiti ad arte e che parte delle fonti erano immaginarie… e quando me ne sono accorta, ero talmente catturata dal gioco che non mi sono nemmeno seccata. Vorrei saper barare con tanta finezza e grazia.

3) Un Uomo Per Tutte Le Stagioni, di Robert Bolt*. Francamente non è che mi piaccia molto, e di sicuro non ho simpatia per Thomas More, ma accidenti, se vorrei saper mettere in scena dei personaggi storici (per tacere dell’occasionale figura allegorica) e farli parlare di ragion di stato, di Dio, di coscienza e di massimi sistemi con la plausibilità e naturalezza che a Bolt riesce così bene!

4) Poesie, di Emily Dickinson. Non scrivo poesia, ma quelle immagini che ti folgorano come un raggio di luce improvvisa e poi ti rimangono dentro, lustre e taglienti come gemme, chi è che non vorrebbe saperle mettere su carta?

5) Gli Ultimi Giorni di Costantinopoli, di Sir Steven Runciman. E’ rigorosissimo, ma si legge come un romanzo; è ricco e tumultuoso, e perfettamente chiaro al tempo stesso; e fa sperare, gioire e soffrire con i difensori, anche se sappiamo tutti benissimo come va a finire. Storia scritta al livello più entusiasmante.

6) Un libro qualsiasi di Gerald Durrel. Con la possibile eccezione di Storie Dal Mio Zoo, che posso accettare serenamente di non avere scritto io, sono tutti piccoli capolavori di humour leggermente surreale, memorie famigliari, viaggi e divulgazione scientifica, frullati con un’apparenza di disinvoltura noncurante che è tutta la mia invidia.

7) Kipling, di Renato Serra. Un gioiello di critica letteraria per profondità, intuizione, spessore, entusiasmo contagioso e bellezza della scrittura. E’ semplicemente impossibile non lasciarsi trascinare da Serra.

8) Annibale, di Gianni Granzotto. Letto e riletto così tante volte che la copertina si sta sbriciolando: una combinazione perfetta ed appassionante di rigore storico, capacità divulgativa e adesione profonda al personaggio, con l’occasionale speculazione intelligente.

9) La Figlia Del Tempo, di Josephine Tey. Già il fatto di dare ritmo a un giallo in cui l’investigatore è a letto con una vertebra fratturata non è impresa da poco. Qualora non bastasse, il giallo diventa una meravigliosa riflessione sulla storia e sulla verità, ed è anche condito di dialoghi scintillanti. Molto vicino alla mia idea di perfezione, grazie.

10) Il Pozzo Delle Trame Perdute, di Jasper fforde. Magari la trama non è la più tesa e compatta fra le avventure di Thursday Next ma, per una volta, non m’importa: è alla meravigliosa burocrazia del mondo dei libri, agli artigiani che producono pezzi di ricambio per i romanzi, al Gatto del Cheshire bibliotecario e a tutto questo splendore d’invenzioni metaletterarie che vorrei avere pensato io!

E poi, a dire il vero, è dura fermarsi qui**. La scelta non è stata facile: sono molti i libri che ammiro, e l’elenco si allunga continuamente (cosa che prendo per un buon segno). Però questa lista è già indicativa di quello che voglio non solo da quello che leggo, ma da me stessa quando scrivo. A giudicare dai titoli qui sopra, direi che intensità, idee, rigore, vividezza e personaggi che non si dimenticano sono sul menu, con un po’ di nonsense per dessert.

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* Non avevo mai fatto caso all’omonimia con l’autore precedente. Non so se ci sia parentela.

** Tant’è vero che debbo citarne almeno un altro: Jonathan Strange e il Signor Norrel, di Susanna Clarke, non foss’altro che per la brillante idea dei maghi inglesi che confondono le idee alle truppe napoleoniche spostando a destra e a manca strade, fiumi e villaggi di Spagna!

 

Apr 14, 2010 - libri, libri e libri, Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Liberamente Tratto – Parte II

Liberamente Tratto – Parte II

morality.jpgParlavamo di libri&film, ricordate?

Qualche tempo fa ho inavvertitamente noleggiato un film chiamato The Reckoning, con Paul Bettany* e Willem Dafoe, credendo che parlasse di Christoper Marlowe. Insomma, c’era il titolo, c’era il “boh, credo che parli di attori, di teatro…” di M.T… Come potevo non pensare che parlasse di Marlowe?

Invece era tutt’altro, la storia di un giovane prete nei guai che, nell’Inghilterra del tardo Trecento, si unisce a una compagnia di attori girovaghi. Naturalmente accadono cose impreviste, hanno bisogno di denaro, hanno un capocomico con delle idee eterodosse, c’è un omicidio… E’ un buon film, cupo e asciutto, ben fatto e bene ambientato, con un numero limitato di anacronismi minori, un arco narrativo solido e un finale parzialmente inaspettato. Se ho un’obiezione, è che è doppiato così così. Di solito i doppiatori italiani sono stratosferici… qui non proprio, ma pazienza – un momento o l’altro troverò il modo di vederlo in versione originale.

A film visto e restituito, una rapida indagine ha rivelato che The Reckoning è tratto da un romanzo storico di Barry Unsworth, Morality Play, tradotto in Italia come Lo Spettacolo della Vita (Frassinelli 1997, poi CDE 1998), e ho deciso che dovevo leggerlo. E’ stata una buona idea. Non è bizzarro come a volte un caso si leghi a un altro caso? Morality Play, scoperto noleggiando il film sbagliato, si è rivelato uno dei migliori libri che abbia letto da qualche tempo in qua.

Se vi capita, leggetelo, perché Unsworth sa il suo mestiere, ha un favoloso senso del periodo e sa come trasmetterlo vividamente al lettore. Nicholas Barber, narratore in prima persona, è credibile e attraente fin dalla prima riga: il suo sistema di valori, il suo terrore dell’inferno, il suo rimpianto per i suoi peccati e per il mantello perso, i suoi piccoli sfoggi di latino, di logica e di teologia suonano sinceri e perfettamente medievali. Il linguaggio è meraviglioso: niente contrazioni, qualche costruzione arcaica, un lessico pertinentissimo senza stravaganze**, ed abbiamo questo senso di secoli passati, ma non di estraneità. Poi non tutto è perfetto: il finale è un po’ floscio rispetto al resto della storia (anche se devo ammettere che la conversazione notturna con il giudice itinerante trasmette un serio senso di spiazzamento e di conclusione al tempo stesso: l’atmosfera è giusta, peccato che gli eventi siano tronchi), sir Roger de Yarm sembra un personaggio un po’ buttato lì, e non tutto è debitamente risolto. Ma la cosa davvero straordinaria è il modo in cui l’arte dei teatranti viene usata a fini narrativi. I dettagli della vita quotidiana della compagnia, pittoreschi e mai gratuiti, sono di per sé una gioia, ma Unsworth fa ben di più che portarci dietro le quinte. Morality Play è un giallo, in qualche modo, ma per una volta, individuare il colpevole e gl’innocenti prima di subito non toglie granché alla lettura. Quello che importa è il modo in cui la preparazione di un dramma diverso dai canoni viene usata per risolvere il delitto. Il teatro assurge da forma d’arte a forma di conoscenza: gli attori abbandonano il repertorio della sacra rappresentazione per l’ambizione del capocomico Martin, un visionario ansioso di sperimentare forme nuove, ma poi continuano trascinati dal modo in cui la logica narrativa del dramma rifiuta le facili soluzioni per l’omicidio commesso nel villaggio. Il dramma viene recitato tre volte, e ogni volta cambia e ramifica in direzioni diverse, sulla base di nuovi elementi che da soli non sembravano significare molto, ma che prendono vita appena portati in scena. Arte, conoscenza, verità e paura s’intrecciano in modo sempre più intricato, portando Nicholas e i suoi nuovi amici in direzioni inattese e molto, molto pericolose. E’ un po’ un peccato che tanta tensione non regga fino alla fine, ma l’insieme è così intelligente e profondo che si possono perdonare molte cose.

E il film? Ecco, il film è tutta un’altra cosa. Ho già detto che è un buon film, ma pur essendo tratto dal libro, non si può negare che racconti un’altra storia. I personaggi portano gli stessi nomi (tranne un paio di casi, per motivi meglio noti alla divinità che veglia sui cervelli dei produttori), ma sono molto diversi, così come sono molto diversi i rapporti tra loro, i loro peccati e le loro intenzioni. Più cinematografici, si capisce. E più cinematografico è il finale che, una volta di più, mette tutta la vicenda in una luce completamente diversa.

Ora, il fatto è che sarebbe stato impossibile finire il film nel modo in cui finisce il libro, o caratterizzare i personaggi del film come quelli del libro, o tenerli lungamente a guardare un torneo da una finestra, o lasciare al dramma, alla sua preparazione e alle sue implicazioni intellettuali il peso che hanno nel libro. Non avrebbe mai funzionato sullo schermo, e questo è fuori discussione. Però, per renderlo cinematografico, gli sceneggiatori hanno dovuto amputare a Morality Play proprio quegli aspetti che ne fanno un libro straordinario. Hanno fatto, tutto considerato, un buon lavoro, ma hanno raccontato un’altra storia, con un significato diverso e gente diversa. Che cosa dobbiamo dedurne? Probabilmente che Morality Play non si prestava ad essere ridotto per lo schermo. E allora? Vale davvero la pena di trarre un film da un libro che non si presta?

Lo dico una terza volta, a scanso di equivoci: The Reckoning è un buon film, molto buono, ma con Morality Play ha in comune l’ambientazione, alcuni nomi, l’atmosfera cupa e la forma base della trama. Come si chiama, davvero, il rapporto tra film e libro in un caso come questo?

Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa Barry Unsworth.

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* Sì, mi piace Paul Bettany, perché?

** Credo che persino Josephine Tey l’avrebbe considerato accettabile.

Apr 12, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Nella Pancia della Bestia: un Italiano a New York

Nella Pancia della Bestia: un Italiano a New York

Tra65_Bestia150.jpgFrancamente, non tutti i blog si prestano a essere convertiti in libri, checché se ne dica, ma Nella Pancia della Bestia – Dritte e rovesci sulla vita a New York, di Michele Molinari (Vivalda 2009) funziona benissimo.

E’ il diario di un anno nella Grande Mela, scritto in un’ottica lontana tanto dal turista appena sbarcato quanto dal finto-naturalizzato-americano-a-tutti-i-costi. Lo sguardo è quello di uno straniero bene inserito, curioso, acuto, ironico (e autoironico), pronto a cogliere luci, colori, eccessi e meraviglie della vita ipermetropolitana.

Lettura durante si sorride, si pensa, si sfatano montagne di stereotipi (sempre salutare), si fanno affascinanti scoperte sui call-center, i taxi e la vita dei gatti americani, si riflette sull’Occidente, si desidera molto imbarcarsi sul primo aereo.

E’ chiaro che Molinari ama New York, la conosce in modo non convenzionale e si sforza di capirla, anche quando l’esercizio richiede elasticità mentale e sense of humor: leggere il suo libro è come farsi accompagnare per la città da qualcuno che ci vive con gli occhi, la mente e il cuore bene aperti. Per di più, il tono è fresco, immediato e accattivante, ma non rifugge l’occasionale riflessione: se il libro si legge come una chiacchierata, è senz’altro una chiacchierata intelligente.

Sarà davvero un piacere presentarlo, venerdì 16 Aprile alla UTE (Mantova, Via Mazzini 20) alle 15.30. Ci saremo l’autore e io, per un po’ di conversazione su New York, l’America, gli Americani, la vita, i blog, le foto e i massimi sistemi.

Una buona occasione, direi, per accostarsi a New York al di là dei luoghi comuni.

 

Apr 9, 2010 - considerazioni sparse, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su A Volte Buzzati Interferisce

A Volte Buzzati Interferisce

000012055579.jpgOggi tagliano la tuia.

La tuia ha più di ottant’anni – l’aveva piantata il mio bisnonno – ed è alta una ventina di metri. Non è uno di quegli alberi con cui fai conversazione, è lì e basta, di sentinella accanto a un cancello, altissima e diritta. L’estate scorsa la stupida Tess ci si è arrampicata fino a metà e ci è rimasta per un giorno e una notte, salvo poi balzare giù come se niente fosse. Dopo che avevamo fatto venire i VVFF con l’autogru. Ultimamente la tuia non sta molto bene: ha la punta secca, cosa che – mi dicono – non preannuncia nulla di buono. Se crolla per il verso sbagliato, la tuia ci abbatte la casa dei custodi. Se crolla per il verso meno sbagliato, ci butta giù un garage. Oppure, con un minimo d’impegno, può anche centrare i fili elettrici.

Così oggi tagliano la tuia.

Da qui sento le motoseghe al lavoro, e i tonfi dei pezzi di tronco che cadono, ed è strano, considerando il lavoro che facevo prima, che ci siano pochi rumori che odio come una motosega che morde il legno.

E so anche che è stupido piangere per un albero, e che è diventato davvero pericoloso lasciarla su, e che ad ogni colpo di vento cade qualche ramo. E che pianteremo subito un’altra tuia. Lo so benissimo, grazie.

Però…

Avete letto Il Segreto del Bosco Vecchio, di Buzzati? Non parlo del film (chiunque abbia avuto l’idea di scritturare Villaggio per il ruolo del Colonnello Procolo dovrebbe essere sculacciato sulla pubblica piazza, anche se è Olmi in persona!!), ma della novella.

Ecco, stamattina mi pare che il Genio della tuia debba essere seduto qui sulla poltrona alle mie spalle, e che, se mi azzardassi a voltarmi, mi guarderebbe con aria di rimprovero. E mi pare anche che il venticello che soffia fuori non possa essere Matteo – troppo timido: dev’essere Evaristo.

Altro tonfo, più sordo: fra cinque minuti, della tuia non sarà rimasto più niente. Sono passati un po’ di anni dall’ultima rilettura, e non mi ricordo che cosa succede al Genio quando l’albero viene tagliato. C’è una scena, questo sì, con il Genio seduto sconsolatamente sul tronco abbattuto, e tutti i suoi simili attorno. Dopo di questo non mi ricordo. Forse il Genio svanisce e basta.

Ecco, hanno finito. Fuori c’è un meraviglioso profumo di ginepro.

Ed è stupido, proprio stupido, lacrimare così sulla combinazione di un libro e di un albero, vero? Stupido oltre ogni misura.

Mar 22, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su La Sovrana Lettrice

La Sovrana Lettrice

Alan Bennet è, fra l’altro, l’autore de La Pazzia di Re Giorgio, un testo teatrale intelligente, raffinato e amarognolo, da cui è stato tratto anche un film. Sia in teatro che sugli schermi, Re Giorgio era Nigel Hawthorne, e ho ancora il rimpianto di non essere riuscita a procurarmi un biglietto per vedere la commedia al Festival di Edimburgo.

Nel 2007, sedici anni dopo Re Giorgio III e la sua supposta porfiria, Bennet è tornato ad occuparsi della Corona d’Inghilterra (e delle teste che la portano), con The Uncommon Reader, tradotto in Italiano come La Sovrana Lettrice. La “paziente” questa volta è Elisabetta II, e la “malattia” è meno preoccupante della porfiria: tutto comincia quando la Regina scopre il piacere della lettura, che una vita fitta d’impegni regali non le ha mai permesso di coltivare. Ma naturalmente nulla è del tutto privato a Buckingham Palace: l’improvvisa passione per i libri non è senza conseguenze per Sua Maestà, il numerosissimo (e alquanto cinico) staff che la circonda, i sudditi  in udienza e, in definitiva, tutta l’Inghilterra…

Bennet dipinge un quadro graffiante della monarchia inglese, ma la Regina ne esce a testa alta – altissima – come una deliziosa anziana signora, lievemente eccentrica, ma di buon senso, determinata e provvista di un certo tipo di sovrano candore. Benché gli eventi siano immaginari, mi piace immaginare che il ritratto sia, almeno in parte, veritiero: l’idea della Regina d’Inghilterra che discute di Dickens con i suoi sudditi in udienza è troppo incantevole per essere completamente dismessa.

La Sovrana Lettrice (gradevolissima traduzione di Monica Pavani per Adelphi) è un libro di una sera, delizioso, spassosissimo e intelligente. Dall’iniziale sconforto del Presidente della Repubblica Francese interrogato su Jean Genet, Bennet ci conduce, di libro in libro, fino al coup de théatre finale – proprio all’ultima riga – regalandoci una piccola storia perfetta, leggermente nonsense e dalla prospettiva inattesa. E, volendo, c’è anche di che meditare: di più non si può chiedere.