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Mag 26, 2012 - Somnium Hannibalis, teatro    4 Comments

E… Sipario

Posterellino fulmineo – e no, non sto riprendendo a postare tutti i giorni, ma ero in debito di un finale: qualora ve lo chiedeste, giovedì mattina abbiamo avuto il placet del perito più o meno all’ultimo momento utile, e stavamo forsennatamente puntando luci in un incrocio tra una prova tecnica e un bignamino quando Le Scuole sono piombate su di noi, colme di avido zelo teatrale.

Avido zelo e cicaleccio, bisogna dire, e confesso che ci siamo guardati in faccia e ci siamo chiesti: saranno capaci alcune centinaia di ragazzini di starsene in ragionevole silenzio per l’ora che occorre ad arrivare in fondo a un atto unico?

Ma siccome era un pochino tardi per porsi dei dubbi sull’idoneità didattica del progetto, we soldiered on. E, a dispetto di tutte le più radicate superstizioni teatrali, a dispetto del mese di travasi di bile e sconforto generale, a dispetto del terremoto e di tutto quanto, è andato tutto straordinariamente bene.

Fluido, vivido, efficace.

Sì, abbiamo avuto un paio di minor hitches, come quando le cantine dei senatori romani sono diventate panchine, o l’istante in cui la luce si è accesa sulla scala praticabile illuminando a perenne gloria futura la collisione tra il Piccolo Annibale e un membro del coro…

Ma son dettagli.

È andato tutto così bene che era quasi un peccato avere in platea solo Le Scuole… per carità, sono molto felice che abbiamo mostrato a Le Scuole del buon teatro, ma sarei stata contenta anche di un pubblico adulto a vedere quello che forse è stato il migliore Somnium di questi due anni. Perché ridendo e scherzando domani faranno due anni dal debutto, ed è stato bello tornare a ripeterlo nello stesso teatro in cui avevamo iniziato – ma con tanta esperienza e sicurezza in più, la musica giusta e un disegno luci che era bello a vedersi & funzionava senza intoppi.

Adesso, si capisce, tutta la gente che per un mese ho tormentato con i miei sinistri presagi (“Stavolta sarà un disastro. Davvero. Un disastro orribile. E so che lo dico tutte le volte, ma stavolta è proprio vero…”) mi dice che non sarà più capace di prendere sul serio le mie geremiadi teatrali. Pierino e il Lupo, immagino – ma non è colpa mia: stavolta sembravamo veramente avviati rotolon rotoloni alla catastrofe. Chiedete agli attori. Chiedete alla regista.

Solo che poi, alla fine, tutto si sistema. Come mai? Non si sa. È un miracolo, è lo Spirito del Bardo, sono gli arcobaleni gemelli – è la natura del teatro. E non sapete quante volte, in questi ultimi giorni, mi sono ripromessa di tornarmene ai miei romanzi, miles and miles away da teatri, compagnie, registi, attori, consolles luci e pubblico in sala…

Però non dicevo sul serio.

Mag 24, 2012 - Somnium Hannibalis, teatro    3 Comments

Entra Dal Fondo Il Destino Beffardo

Lasciate che vi racconti una piccola storia.

Oggi andiamo in scena – Somnium Hannibalis per le scuole, come da progetto originario. O forse sarebbe più accurato dire che dovremmo andare in scena…

Dovete sapere che il giro di prove in vista di stamattina è stato forse il più raccapricciante della mia esperienza teatrale. Tutto quello che poteva andare storto lo ha fatto, in una sarabanda di defezioni, guai, ritardi, idee abortite, allievi promossi sul campo e malcerti, litigi furibondi, incidenti di percorso, ulteriori defezioni dell’ultimo minuto, défaillances tecniche, sconforto profondo, ritirate sull’Aventino, interrogazioni di chimica, e disastri misti assortiti.

Ieri mattina abbiamo… abbiate pazienza: sono un nonnulla incoerente. Volevo dire che ieri mattina ci siamo ritrovati con un buco da coprire nel dramatis personae, non avevamo mai fatto una filata, il prim’uomo era demoralizzato, la prima donna riottosetta anzichenò, l’uomo delle luci risentito per il budget all’osso, la fonica lacunosa – e c’erano parti corali di cui ancora non sapevamo chi diavolo le avrebbe fatte…

“Be’, ormai credo proprio che sia capitato tutto,” ho incautamente detto a mia madre al telefono. “Why, che altro potrebbe succedere?”

Per cui, quando ieri sera mi sono avviata al teatro per una di quelle prove inclassificabili à la Rumori Fuori Scena* il mio cuore non era colmo di letizia. Diciamo pure che ero in preda al più cupo sconforto, e poi ero in ritardo, e poi pioveva… Persino il ciondolo shakespeariano che avevo al collo** mi pareva un assai magro conforto. Quando a metà strada è comparso il primo arcobaleno ho fatto un risolino amaro.

Poi gli arcobaleni sono diventati due, speculari, luminosissimi, e distanziati così che la strada sembrava dirigersi tra due pilastri curvi di luce versicolore – quasi che dovessi imboccare un ponte iridato…

“Che spreco di effetti speciali, O Destino Beffardo,” ho mormorato. “Francamente, mi sentivo già beffata a sufficienza senza gli arcobaleni…”

E poi arrivo, trovo parcheggio lontano dal teatro, tanto lontano quanto è possibile, e galoppo sotto la pioggia, ed entro in platea dall’ingresso di servizio, e…

Mi blocco incredula tra due tende di velluto rosso. Scena in corso. Campo cartaginese la sera di Canne. Annibale e Maarbale stanno recitando il loro litigio con una convinzione, efficacia e scioltezza che non si vedevano da mesi. La vivandiera arriva al momento giusto senza impallare nessuno. Il Coro*** sul fondo interviene come si deve, gli allievi (quelli  che ci sono) non incespicano e non gigioneggiano…

Resto dove sono, a bocca aperta. E poi lo sguardo mi cade sull’americana – dove ci sono tutti i fari che avevo richiesto – compresi i due tagli che l’uomo delle luci in mattinata sembrava propenso a negarmi.

Il cuore mi si allarga. Possibile? Possibile? Lo Spirito del Bardo, gli Arcobaleni, la condizione naturale del teatro che è una serie di ostacoli insormontabili sulla via del disastro immintente e poi tutto si sistema? Possibile?

E intanto la prova procede, liscia e vivida… ecco, se volessi, potrei obiettare che una generale così liscia e vivida promette, per immemorabile tradizione teatrale, magagne nella rappresentazione. Ma m’impedisco di pensarci troppo, e mi godo la prova, e trotto nelle mie funzioni di quasi-assistente-di-palcoscenico, fonico supplente, lighting designer e occasionale aiuto-regista…

E poi naturalmente succede.

Succede che arriva gente del Comune, con la notizia che martedì sera il proiezionista del cinema**** ha notato delle crepe e una caduta di calcinacci. Terremoto, naturalmente. Ma qualcosa nella comunicazione tra il proiezionista e il gestore, tra il gestore e l’ufficio tecnico comunale, tra l’ufficio tecnico e il perito non ha funzionato, per cui ieri sera ancora nessuno era venuto a constatare estensione e gravità dei danni.

Morale?

Morale, non si può far accedere del pubblico (men che meno le scuole) finché il perito non si è pronunciato, e il perito viene questa mattina. Alle nove. E noi andiamo in scena alle dieci e mezza. Dovremmo andare in scena. Ma in realtà non lo sappiamo. E quindi adesso io vado a teatro, e tutti ci andiamo come se dovessimo andare in scena, ma poi non è detto. Non è detto per nulla. E se il perito ha anche solo qualche dubbio, gli arcobaleni, lo Spirito del Bardo, l’improvviso rinsavimento della compagnia – tutti i piccoli miracoli di ieri sera saranno stati per nulla.

E intanto il Destino Beffardo sogghigna alle mie spalle. Beffardamente.

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* “Se questa è la prova tecnica, quando facciamo la generale?” “Ma se questa è la generale, quando facciamo la tecnica?”

** Non so, magari nella tenue speranza che lo Spirito del Bardo si commuovesse tanto da tenermi la man sul capo…

*** Don’t ask.

**** Struttura multifunzione. E infatti… but let’s not even start on that.

L’Escargot Sans Peur

[Tutto questo è, a suo modo, vero. O forse no – fate un po’ voi. Ed è per F. & L. Ed è anche per Gabri-La-Regista*, con cui non si arriverà mai ad essere d’accordo in fatto di teatro dell’assurdo… ]

III Campanello. Buio in sala.

SIPARIO.

Sono i frenetici minuti che preludono a una serata di prove. Prove d’insieme. Prove in cui cast&crew riuniti si misurano nell’ordine della cinquantina. Il luogo è saturo di gente che parla a voce troppo alta, di costumisti disperati, di bambini che corrono (oh, perché, perché, PERCHÈ abbiamo voluto bambini in scena?)… E la regista com’è suo solito è arrivata in ritardo, e l’aiuto-regista è affannata…

F. “Hai ricevuto la mia mail?”

C. “No… il mio account fa i capricci, in questi giorni. Ricevo un messaggio su dieci.”

F. “Fantastico. Be’, c’era scritto che siamo incasinati con la scena della battaglia navale, ma adesso lo vedi da sola. A volte non so come diamine ti vengano in mente certe cose…”

C. “Si chiama ispirazione. Considerala un complicato, quasi preternaturale processo alchemico. Facciamo un ululato congiunto, vuoi? Qui c’è urgente bisogno di disciplina.”

F. “Però senti, mi ha chiamata G.”

C. “Ossignor.”

F. “Non ti fai un’idea. Un’ora di telefono. E vuole che ti dica tutto tutto tutto.”

C. “Oh. Magari un altro momento, vuoi?”

F. “Ti telefono domani mattina?”

C. “Ssssì… No: mandami una mail.”

F. “Una… Ma se hai detto che non le ricevi!”

C. “Appunto.”

F. “Anch’io ti voglio bene.”

C. “Magnifico. Ululato al mio tre. Uno… due…”

Buio – quanto basta per un fulmineo cambio di scena.

Una enorme cucina lustra, tutta acciaio e piastrelle, dove una decina di persone si occupa di cucinare una cena vegana-macrobiotica. Lo spettacolo è andato bene, e la scena della battaglia è andata bene, e le notizie di G. sono passate sotto l’uscio, I believe, ma in realtà sono trascorsi alcuni anni, e nessuno se ne ricorda granché. F. è intenta a cucinare polpette di miglio con gli altri. C. non si azzarda a metter dito e conversa con L.

C. “Ma secondo te, le lumache hanno fegato?”

L. “In che senso?”

VOCE IN QUINTA “Questo non è il mio coperchio!”

C. “In uno di due possibili sensi. O magari anche entrambi. Imprimis: le lumache hanno coraggio?”

L. “Sì. Le lumache sono intrepide. Anzi, sono impavide.”

VIQ “Non sa di niente! Aggiungici della curcuma. Tanta curcuma.”

C. “Impavide, sì. E in secondo luogo: le impavide lumache hanno un organo che faccia le funzioni di quel che chiamiamo fegato?”

L. “Non lo so, ma in fondo la domanda è un’altra: Che Cosa Se Ne Fanno Le Lumache Di Un Fegato?”

C. “Oh, cosa mi fai ricordare…”

Flashback: in un angolo della scena un occhio di bue s’accende illuminando la cattedra di un’aula di liceo, vent’anni prima. Il Prof. interroga. E. è interrogata.

Prof. “Ma forse è il caso di chiarire una cosa: le lumache ci vedono?”

E. (dopo un istante di riflessione) “No, però sanno dove vanno.”

L’occhio di bue si spegne. Flashforward alla cucina macrobiotica.

VIQ “Lo zucchero raffinato è il Male Assoluto…”

C. “Comincio a pensare che le lumache abbiano ben poche necessità…”

F. (balza fuori da dietro una quinta d’acciaio e piastrelle e punta un indice accusatore) Ha! Ho sentito tutto!** E adesso tu questa cosa la scrivi, vero?”

C. (cerca di apparire contrita) “Peut-être.”

VIQ “Non hanno un’aria molto fritta. Hanno un’aria sciolta…”

F. “E fra una decina d’anni io mi ritrovo a due sere da una prima, a disperarmi con cinquanta persone, l’Uomo delle Luci, pittura color acciaio e costumi da lumaca?”

C. “Non mi era nemmeno passato per la mente, ma adesso che lo dici…” (spicca il balzo ed esce a destra)

F. “Bugiarda! Scrittori, vil razza… Ehi! Stai lontana da quel taccuino…!” (balza all’inseguimento ed esce a destra).

L. (a nessuno in particolare) “Io faccio la parte della lumaca. La lumaca impavida.”

VIQ “L’ho già detto che questo non è il mio coperchio -erchio -erchio -erchio…?”

Nuvole di vapore.

Buio.

La VIQ si spegne lentamente. -erchio -erchio -erchio…

SIPARIO

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ADDENDUM METATEATRALE:

R. (legge L’Escargot Sans Peur e cachinna) “A volte, Clarina, non so come ti vengano in mente queste cose…”

Clarina “Well, se dovessi davvero spiegarlo…”

R. “Si chiama ispirazione? Devo considerarla un complicato, quasi preternaturale processo alchemico?”

Clarina “O forse no. Fa’ un po’ tu…”

SIPARIO PER DAVVERO

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* Nulla a che vedere con il G. nominato più sotto. Stessa iniziale – tutt’altra persona.

** Si capisce che nella realtà dei fatti F. non ha ascoltato affatto – men che meno celata – ed è stato necessario ripeterle la conversazione per filo e per segno, ma converrete che tale ripetizione non funzionerebbe mai, da un punto di vista teatrale. Nemmeno in una pétite pièce absurdiste come questa. Anche se forse, ripensandoci... È una seconda stesura che vedo davanti a me?

Mag 13, 2012 - musica, teatro    5 Comments

Gilbert & Sullivan

Oggi sarebbe il centosettantesimo compleanno di Arthur Sullivan, la metà musicale di Gilbert&Sullivan, il duo operistico-brillante dell’Inghilterra tardovittoriana.

E allora, da Ruddigore, ecco qui The Matter Trio, un diabolico scioglilingua in musica – a tre voci.

Ruddigore, che agli Inglesi piace definire un’opera buffa, per gli standard continentali è piuttosto un’operetta, una deliziosa parodia delle storiellone gotiche e dei melodrammi, piena di eroine virtuose, nobiluomini (quasi) malvagi, baldi marinai, fantasmi, maledizioni, fanciulle impazzite per amore, promesse tradite, agnizioni, castelli minacciosi, streghe – e nulla di tutto ciò è preso particolarmente sul serio. gilbert and sullivan, ruddigore, corriere dei piccoli

A titolo di reminiscenza: nel 1978 Il Corriere dei Piccoli ne pubblicò una deliziosa versione a fumetti, e quella fu la mia introduzione a Gilbert & Sullivan – anche se allora non lo sapevo. Dopo tutto avevo solo quattro anni… Poi mi ci vollero vent’anni, Cardiff e Internet per scoprire che si trattava di un’operetta e che c’era della musica. Da qualche parte devo avere ancora videocassetta e libretto. Volevo persino proporre al mio gruppo di teatro di metterne in scena un versione adattata. Prosa, naturalmente. Poi non se ne fece più nulla, ma ripensandoci, l’idea mi piace ancora. Voglio dire, una storia gotica in parodia… Oh well

Buona domenica.

Mag 9, 2012 - angurie, teatro    4 Comments

Raccontami Un Romanzo (E, Già Che Ci Sei, Sorprendimi)

oliver twist, dickensPrendete tre Terze Medie – al cambio attuale fanno una settantina d’implumi.

Aggiungete insegnanti di lettere disponibili. A volte capitano quelli cui non importa un bottone del laboratorio, e allora non è divertente. Ma altre volte avete fortuna, e ve ne capitano tre su tre decise a collaborare.

Annaffiate il tutto con abbondante Dickens; condite con sale, pepe, rosmarino, una manciatina di confronto romanzo/sceneggiatura cinematografica, tre cucchiai rasi di metodologia di ricerca su Internet, una tazza di scrittura (argomentativa, creativa, narrativa, whatever) e storia quanto basta.

Mescolate meglio che potete, esponete al calor bianco di una platea tre volte più popolata del previsto, e state a guardare.

Non so come riuscirà il soufflé, ma le sorprese sono garantite. Perché, diciamo la verità, nelle sei settimane che avrete impiegato nella le due città, sydney carton, laboratori scolasticipreparazione (due ore la settimana in ogni classe) avrete avuto molti momenti di dubbio, amarezza, sconforto e furia pluriomicida. Oh, ci saranno state anche notevoli consolazioni, qua e là, e l’occasionale piccola rivelazione – come quando vi hanno detto che gente che a voi pare sveglia, attiva, interessata e partecipe è in realtà a rischio di bocciatura per non aver fatto un bottone in tre anni. Vi sarete infuriati oltre ogni dire davanti alla tradizionale scusa “Ma io non c’ero quando l’avete fatto”. Avrete constatato con divertita incredulità che i quattordicenni di entrambi i sessi sono sentimentali e s’identificano con Lucie Manette e Charles Darnay, ma non notano Sydney Carton nemmeno a metterglielo davanti dipinto di rosso vivo. Avrete dubitato del vostro buon senso nell’avere scelto Le Due Città. Ci avrete rimesso un set completo di tonsille nel tentativo di mantenere un minimo di silenzio in classe e ottenere risposte ragionate a domande che a voi non sembravano nemmeno orribilmente esoteriche. Avrete disperato della possibilità di arrivare alla Domenica Fatidica con alcunché di dignitoso da presentare. Avrete scambiato occhiate scoraggiate con ciascuna delle Insegnanti Disponibili. Vi sarete scapicollati per gli ultimi tre giorni alla ricerca di costume bits per colmare le lacune rimaste. Avrete avuto incubi di diserzioni, vuoti di memoria, disastri informatici e folle assetate del vostro sangue…

oliver twist, dickens, fagin, laboratorio scolasticoE però vi sarà sempre rimasto un vago, tenue, tremulo barlume di speranza, ravvivato due o tre volte la settimana da una domanda intelligente qua, una buona idea là, un segno d’interesse altrove, un PossofarloioDodgerprofeperfavoreperfavore? E poi a un certo punto, mentre voi eravate occupati a contemplare ansiosamente il vostro barlumino, i fanciulli ci si saranno messi d’impegno sul serio. Avranno annusato l’approssimarsi del palcoscenico come i cavalli la polvere del campo di battaglia. Avranno deciso che dopo tutto sono interessati alla faccenda – e allora dibattiti, presentazioni e colonne sonore saranno germogliati sotto i vostri occhi…

Poi sarà successo ancora di tutto – incompatibilità informatiche, diserzioni dell’ultimo minuto, sostituzioni avventurose (e talora fortunate), sforamenti altrui, parentesi di panico e ogni altro genere di cose che all’universo sarà piaciuto scagliare nella vostra direzione, tutto in mezzo a stormi di fanciulli che chiamavano “Profe, profe…”dickens, oliver twist, dodger, laboratorio scolastico, roncoferraro

E voi vi sarete chiesti, e non una volta sola, E Adesso? Andrà tutto storto? Sarà un disastro? Si dimenticheranno entrate e uscite? Perderanno parrucche e copricapi? S’impappineranno*? Sussurreranno, ingolleranno sillabe, renderanno altrimenti incomprensibile il povero piccolo testo? I Piccoli Tecnici Crescono faranno piantare il computer sul più bello?

E invece no. Non è un disastro affatto, perché al momento giusto i fanciulli tirano fuori entusiasmo e concentrazione e precisione, e prontezza di spirito davanti agli inconvenienti ed espressività – e tutto funziona (quasi) come dovrebbe, e poi arrivano gli applausi, e poi ve li ritrovate tutti attorno, i fanciulli, con dei sorrisi che interferiscono con la navigazione aerea… “È andata bene, vero profe? Vero che è andata bene?”

Ed è andata bene sì, e voi raccogliete i vostri costume bits e i vostri complimenti – e ve lo chiedete una volta di più: come, come, come avete potuto dimenticare che alla fine i fanciulli vi sorprendono sempre? 

Ma forse anche questo fa parte della ricetta e, se non vi lasciaste prendere dall’ansia e dai dubbi al momento giusto, non avreste modo di lasciarvi sorprendere alla fine…

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* “Profe, scommette cinque euro che m’impappino?”

 

Mag 6, 2012 - anglomaniac, musica, teatro    2 Comments

Oliver

Non crederete che ci si sia dimenticati di volgere in musical proprio Le Avventure di Oliver Twist, vero? Certo che no – ed ecco la versione della faccenda al Drury Lane Theatre di Londra:

E non crederete nemmeno che parli ancora di Dickens senza secondi fini, vero? Perché in effetti non è così: stasera alle 17.30, nella Corte Grande di Roncoferraro le mie III Medie presentano Raccontami Un Romanzo, ovvero Le Due Città e Oliver Twist visti e interpretati da loro.

No, così per dire.

E buona domenica.

Apr 29, 2012 - musica, teatro    2 Comments

Alice In Balletland

Non avevo, non avevo, non avevo idea che esistesse questa versione danzata di Alice. Coreografia di Christopher Wheeldon, musica di Joby Talbot, e il Royal Ballet:

 

E la Regina di Cuori di Zenaida Yanowsky:

Magico, vero? E intelligente, e brillante… Oh, to be in England, now that April’s there – and Alice is on!

Buona domenica.

Sei Secoli Di Pulzelle D’Orléans

Giovanna d'arco, christine de pisan, shakespeare, voltaire, schiller, mark twain, g. b. shawAvrei creduto che la Francia si scuotesse un po’ di più per il seicentesimo anniversario della nascita di Giovanna d’Arco, ma si direbbe che la contadinella-soldato, la piccola coronatrice di re con le voci e le visioni sia un po’ passata di moda – senza per questo avere mai smesso di ispirare legioni scrittori dentro e fuor di Francia. 

Nel corso degli ultimi sei secoli, Giovanna è stata scritta in poesia e romanzo, e ancor più a teatro e all’opera, caratterizzata in ogni possibile luce: santa, vittima, eroina nazionale, pedina politica, pastorella ingenua, fanatica, protofemminista, pastorella ingenua, strega…

Si cominciò molto presto, considerando Le Ditié de Jehanne D’Arc, il poema che Christine de Pisan compose nel 1429, quando Giovanna era ancora viva. E non stupisce particolarmente che la pia, coltissima e battagliera Christine, alla fine di una carriera letteraria senza precedenti per una donna del suo tempo, racconti Giovanna in elegia. 

Né, tutto sommato, stupisce troppo la ben diversa Pulzella nell’Enrico VI, Parte I. Shakespeare la ritrae bifronte – vergine ispirata agli occhi adoranti dei Francesi, strega per gl’Inglesi sconcertati dalla ragazza in armatura. Il punto di vista è quello inglese, naturalmente, e Giovanna è la principale antagonista, pericolosa, indecifrabile, eretica e in combutta con il demonio – no matter quante statue i Francesi (che dopo tutto sono Francesi!) vogliano innalzarle nelle chiese. Alla fine, al suo processo, Giovanna comincia col presentarsi virginale, ardente e pia ma, quando i giudici inglesi non si lasciano impressionare, cambia linea di difesa e si dichiara incinta, suggerendo un possibile padre dopo l’altro, alla disperata ricerca di un comandante francese che i suoi nemici possano rispettare… caratterizzazione molto umana e molto poco celeste

E ben poco di celeste c’è anche ne La Pucelle d’Orléans, il poema tra epico e sgiovanna d'arco, shakespeare, henry VI part Iatirico che Voltaire iniziò per scommessa letteraria e lasciò incompiuto. Parte demistificazione religiosa, parte divertissement licenzioso, la Pucelle destò scandalo, fu proibita e – come accade in questi casi – circolò clandestinamente in lungo e in largo.

Se invece volete vedere Giovanna presa sul serio, si può sempre contare su Friederich Schiller, uno che non si lasciava mai intralciare dai fatti storici sulla strada del dramma. La sua Pulzella è una protagonista visionaria, piena della saggezza dei semplici, preternaturalmente coraggiosa – e invincibile (per magia, mica per intervento divino) fino al giorno in cui s’innamora di un cavaliere inglese. Seguono sensi di colpa, allontanamento dalla corte, prigionia e morte in battaglia. Il processo? Il rogo? Dettagli – ma è di Schiller che stiamo parlando, e con la licenza poetica persino gli dei combattono invano.

Se state pensando che la Giovanna di Schiller sembra perfetta per l’opera, non siete i soli. Verdi, Tchaikowskij, Pacini e una mezza dozzina di altri, alla ricerca di un soggetto pulzellesco, scelsero proprio l’Inaffidabile Friederich, che in fatto di storia non soffriva di soggezioni*, ma aveva senso teatrale da vendere. Ci fu persino un balletto, ad opera di Salvatore Viganò, IL coreografo del primo Ottocento milanese. 

Ancor più sul serio faceva Le Brun de Charmettes, oggi dimenticatissimo but worth a mention, visto che a Giovanna, oltre a una biografia in vari tomi, dedicò l’Orléanide, per un certo numero di decenni il poema nazionale francese.

Sorprende semmai che a prendere sul serio Giovanna fosse Mark Twain – che non prendeva sul serio troppe cose**. Eppure le sue Personal Recollections Of Joan Of Arc sono un romanzo biografico pieno di trasporto e adesione sentimentale. Va’ a sapere quel che può fare uno scrittore quando s’innamora attraverso i secoli…

giovanna d'arco, g. b. shaw, saint joan, anne-marie duffNaturalmente non ci si può aspettare nulla del genere da George Bernard Shaw, e però la sua Saint Joan è a suo modo quasi altrettanto singolare. Qui abbiamo una ragazzina ignorante e piena di buon senso, che trascina soldati, capitani e re per pura incrollabilità di proposito, pur restando del tutto umana. Candida, sensata e devota, la Pulzella (“Ma in Lorena mi chiamano Jenny”) sale al rogo con i suoi dubbi di proto-protestante e la sua fede, e torna – in spirito o in sogno – a discutere con Carlo VII.

E con questo ho esaurito le Giovanne che ho letto di persona, ma ce n’è ancora un’abbondanza e varietà: dalla sindacalista di Brecht alla (quasi) partigiana di Anouilh, dall’aliena pericolosa di Farmer all’immortale di Michael Scott… E non dinemtichiamo una quarantina di film, un certo numero di canzoni (Leonard Cohen, anyone?) e, mi si dice, persino un paio di videogames.

E in realtà, il fatto è che Giovanna ha tutto quanto: il viaggio dell’eroe, le umili origini, il ruolo maschile, le accuse di stregoneria, le visioni, il martirio, la guerra, la religione… Di lei sappiamo molto più che della sua contemporanea media (sentiamo persino la sua voce nelle trascrizioni del processo) e al tempo stesso sappiamo abbastanza poco da poterle dare le intenzioni, il carattere e le funzioni simboliche che vogliamo. Con o senza coloriture particolarmente religiose, Giovanna può essere molte cose*** – e questa è sempre un’otttima base per una fortuna letteraria postuma.

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* Quando penso a tutti gli sforzi che Goethe profuse per fargli ottenere una cattedra di Storia all’Università di Jena… what was he thinking?

** Be’, a voler vedere, prese sul serio anche Delia Bacon, la squadrellata che sosteneva Francis Bacon come Vero Autore del canone shakespeariano. La cosa grave è che Delia sosteneva di sapere com’era andata più o meno per illuminazione…

*** Mi ci metto anch’io: nel mio Bibi e il Re degli Elefanti, atto unico per fanciulli, Giovanna è una degli amici immaginari della piccola protagonista, che trova in lei un simbolo di determinazione e resilience.

Apr 1, 2012 - musica, teatro    Commenti disabilitati su A (Musical) Tale Of Two Cities

A (Musical) Tale Of Two Cities

Ci sono alcune affidabili certezze nella vita – e una è che, prima o poi, qualcuno ricaverà un musical da… oh well, praticamente da qualsiasi cosa.

Per esempio questo – la versione musicale di A Tale Of Two Cities:

Echi di Les Misérables? Possibile, possibile – ma fa nulla. Quest’anno va così e siamo molto dickensiani.

E buona domenica a tutti.

Ritratto Dell’Artista

E non dico che tutto il mondo sia un teatro affollato di antistratfordiani, ma la sensazione che il povero Will Shakespeare non fosse del tutto qualificato per scrivere ciò che ha scritto dev’essere diffusa – e lo dico sulla base della quantità di Will letterari mostrati mentre non fanno altro che assorbire il loro materiale.

Lo Shakespeare letterario medio, quello che  si trova in un romanzo o a teatro, vive con il taccuino in mano – più o meno metaforicamente – annotando, raccogliendo o rubando ogni spunto che gli passa nel raggio di un miglio.

E non da oggi, se consideriamo Le Voyage de Shakespeare, di Alphonse Daudet, una faccenda a mezza strada tra la storia picaresca e il romanzo di formazione, in cui un giovane Will attraversa l’Europa e tutte quelle esperienze che mancano al figlio del guantaio di Stratford per diventare il Bardo.

In The Dark Lady Of The Sonnets, sconosciutissimo atto unico di G.B. Shaw, la faccenda è più teatrale e più spudorata: il nostro ragazzo incontra sul ponte di Londra la Signora Bruna, un Beefeater e varia altra gente, e per tutto il tempo non fa altro che appuntarsi ogni parola che dicono – irritando tutti da non dirsi.

P. F. Chisholm, che poi è Patricia Finney, nei suoi Carey Mysteries porta occasionalmente in scena un Will di questo genere – solo molto più tecnico e consapevole di quel che fa. A un certo punto Sir Robert Carey racconta del bizzarro piccolo attore della compagnia di suo padre*. Costui, dice Carey, ha l’abitudine di scovare gente di tutte le provenienze (nulla di troppo difficile a Londra) e pagarla un tanto all’ora per ascoltarla parlare o leggere ad alta voce. Per impadronirsi di ritmi, inflessioni e cadenze. He’s odd that way, commenta un perplesso Sir Robert – ma noi capiamo e sorridiamo.

Robert Brustein, in The English Channel, riprende l’idea l’idea di Shaw** con un Will che, in conversazione, continua ad interrompere se stesso e gli altri al grido di “this could be something” ogni volta che riconosce un giro di frase, una possibile trama o un’idea. Dopodiché uno dei suoi interlocutori è Marlowe, che non si diverte particolarmente ad avere la sua conversazione messa in versi – e meno ancora a constatare i piccoli furti di versi del suo ambizioso collega… E se vi chiedete il significato del titolo, ebbene, l’idea è che Shakespeare trasmetta, canalizzi voci e idee del suo tempo – in particolare del defunto Marlowe, il cui fantasma, in una bizzarra cornice di prologo & epilogo, c’informa di aspettarsi che Will continui il suo lavoro.

Ancor più radicale da questo punto di vista è Sarah Hoyt, che in Any Man So Daring ci mostra un prima perplesso e poi terrorizzato Shakespeare che scrive sotto dettatura di Marlowe. Un Marlowe che forse non è proprio morto, ma lo è sotto molti aspetti, e comunque questo è un fantasy piuttosto metaletterario in cui i personaggi fatati del Sogno e della Tempesta prendono vita, sono di grande aiuto e combinano innumerevoli danni, e quindi figuratevi che cosa non può fare un Marlowe tra il defunto e il fatato…

Inutile dire che, in tutto questo, Marlowe invece è sempre perfettamente capace di scrivere da sé, senza un gran bisogno di ascoltare, osservare o prendere a prestito altro che l’occasionale cronaca di Holinshed o atlante di Lonicerus.

Basta vedere certe scene di The Reckoning of Kit and Little Boots di Nat Cassidy, con un vulcanico Marlowe che scrive per tesi e uno Shakespeare a mala pena articolato, ma occupato a raccogliere l’essenza della natura umana. “Stories. People,” spiega in tutto e per tutto Will, accennando con le mani alla folla che lo circonda.

E certo è che, a giudicare dalle sue opere, non si direbbe che quell’egocentrico e ambizioso rimuginatore di Kit Marlowe si sia mai preoccupato soverchiamente di capire o osservare i suoi simili. Non doveva avere un grande interesse per l’aspetto people, quale che fosse la sua passione per le stories. Al punto che in quella bizzarria marloviana che è The Nine Lives of Kit Marlowe, Jay Margrave sente di dover giustificare in qualche modo la nuova umanità del Kit post-1953 – quello che, per intenderci, invece di morire a Deptford sopravvive e scrive l’intero canone scespiriano***. E così, tanto per cominciare, il giovanotto passa abbastanza tempo nascosto, travestito da donna e addestrato a comportarsi come una donna da sviluppare tutta una nuova comprensione per il genere femminile.

Ma eccentricità a parte, bisogna ammettere che stili, maniere e biografie autorizzano questo tipo di caratterizzazione. O forse sto assumendo opinioni bizzarre a mia volta, ma trovo del tutto convincente vedere un Marlowe che essuda e uno Shakespeare che assorbe come una spugna.

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* Carey era il figlio più giovane di Lord Hunsdon, Lord Ciambellano d’Inghilterra e mecenate dei Lord Chamberlain’s Men, la prima compagnia con cui Shakespeare lavorò.

** Direi che mi sono stupita di non trovare Shaw citato tra i precedenti letterari nella prefazione dell’autore – se non fosse che constato quasi quotidianamente la facilità con cui si scrive qualcosa di simile a qualcos’altro – senza averne la più pallida idea. *sospiro*

*** Mai usata in vita mia questa versione italianizzata dell’aggettivo, ma mi sono proposta di fare qualcosa di mai fatto prima almeno una volta al mese, Breakfast-at-Tiffany’s-wise. Ci sono mesi in cui baro un pochino. Scespiriano, scespiriano, scespiriano.