Browsing "teatro"
Nov 14, 2011 - guardando la storia, teatro    Commenti disabilitati su Aninha Torna

Aninha Torna

aninha, anita garibaldi, risorgimento, centocinquantesimo, unità d'italia, accademia campogallianiL’Accademia Teatrale Francesco Campogalliani di Mantova dedica l’edizione 2011-2012 de I Lunedì del D’Arco al centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia.

Il programma è vario: dalle donne del Risorgimento ai Martiri di Belfiore, passando tra l’altro per Aninha, il mio atto unico dedicato ad Anita Garibaldi – quasi un monologo, se non fosse per Garibaldi e gli altri.

Stasera alle ore 21.00, al Teatrino D’Arco, Cristina Dibiasi e Andrea Flora riprenderanno i personaggi che hanno già portato in scena l’estate scorsa a Governolo, in occasione delle celebrazioni per il Centocinquantesimo.



Sentivo il mondo muoversi appena oltre la cinta nera delle colline all’orizzonte, come un ruggire lontano di temporali nella notte. E me ne tornavo a casa piena di una fame senza nome e senza forma. E dietro le mie spalle mormoravano della Aninha selvaggia, la vergogna e il crepacuore di sua madre. Allora gettavo indietro la testa e fingevo che non m’importasse. Ero prigioniera…

Prima di Anita c’era Aninha, la figlia di un mandriano nelle paludi del Brasile, soffocata in un mondo troppo stretto – finché qualcuno non le diede un nuovo nome e nuovi sogni. Questa è la storia della ragazza che divenne Anita Garibaldi.

Nov 13, 2011 - teatro    Commenti disabilitati su Richard, Laurence, Peter

Richard, Laurence, Peter

Volevo fare un post domenicale semiserio sulla voce di Laurence Olivier, ma mentre cercavo qualche clip adatto mi sono imbattuta in una chicca – chicchissima.

Allora, prima guardate questo – Now is the winter of our discontent (dal Riccardo III) nella celeberrima versione di Sir Laurence Olivier:

Sì, lo so: alla fine c’è anche un pezzetto di necrologio della BBC. Pazienza. E adesso guardate Peter Sellers che imita il Richard di Olivier – sul testo di A hard day’s night, dei Beatles:

Capito che cosa intendo, quando parlo di post semiseri sulla voce di Laurence Olivier? Buona domenica a tutti.

Ott 10, 2011 - teatro    2 Comments

Di Uomini E Poeti – Il Debutto

di uomini e poeti, virgilio, eneide, accademia campogalliani, teatro bibiena, premio virgilio

Tradizione vuole che, in punto di morte, Virgilio abbia chiesto con insistenza la distruzione della sua opera incompiuta, il poema epico che ancora non si chiamava Eneide. Ma il poema era una straordinaria celebrazione – e ancor più un’edificazione del mito di Roma, bella nella sua incompiutezza: Vario Rufo, poeta a sua volta e amico di Virgilio, non ebbe cuore di obbedire alla richiesta e in seguito ebbe da Augusto l’incarico di curare la pubblicazione dell’Eneide così come Virgilio l’aveva lasciata.

È per una disobbedienza alla volontà di un amico defunto che il poema è giunto a noi attraverso venti secoli, con l’occasionale verso imperfetto, con qualche incoerenza, con le sue asimmetrie narrative e con un eroe cui forse – forse! – l’autore non ha fatto in tempo a instillare, a completamento delle virtù romane, la scintilla vitale.

I latinisti si sono interrogati a non finire sul brusco finale del Libro XII, e innumerevoli generazioni di studenti ginnasiali, me compresa, hanno storto il naso davanti al Pio Enea, più paradigma di obbedienza e abnegazione che essere umano. Rileggendo il poema con occhi adulti, e con la libertà e il gusto di cui non avevo beneficiato sui banchi di scuola, mi sono trovata a meditare, più che sulle vicende di Enea e dei suoi, su ciò che Virgilio non ebbe tempo di compiere prima di morire. La tentazione di considerare la gelida caratterizzazione di Enea un difetto da prima stesura era irresistibile – e non ho resistito. Il mio Virgilio, che torna nei sogni di Vario Rufo per deciderlo a bruciare il manoscritto incompiuto, non si preoccupa tanto dell’imperfezione dei versi, quanto di non avere avuto il tempo di tratteggiare compiutamente i significati e i messaggi che voleva nella sua opera.

Ma a complicare il dilemma di Vario, lacerato tra la lealtà all’amico e l’ammirazione per il poema, irrompono nel sogno i personaggi dell’Eneide – non l’eroe eponimo e vincitore, ma gli sconfitti: Creusa, Turno, Amata, colmi di risentimento e certi che solo la distruzione del manoscritto li libererà dalla sorte cui Virgilio li ha condannati. Ed ecco che la lotta per il rogo dell’Eneide diventa una metafora per l’intrecciarsi di arte e vita, dovere e istinti primari, libero arbitrio e destino, amore, sconfitta, giustizia e memoria – in una parola, l’umanità.

Difficilmente la questione di che cosa davvero mancasse al compimento dell’Eneide troverà una risposta inoppugnabile. Dove storiografia e filologia non possono giungere, tuttavia, al teatro è consentito tessere, con le incertezze di Virgilio e il rifiuto di Vario, una riflessione sul rapporto tra l’autore e la sua opera.

_______________________________________

Di Uomini E Poeti – ovvero Il Testamento di Virgilio – debutta venerdì 14 ottobre alle ore 21 al Teatro Bibiena di Mantova.

Ingresso gratuito e niente prenotazioni – a quanto pare, l’unica è non arrivare troppo tardi…

E se non potete venire, wish me luck! (ma non in questi termini!!)    

Set 18, 2011 - teatro    Commenti disabilitati su Piccole Magie Teatrali

Piccole Magie Teatrali

Ho mezza voglia di ripristinare il video della domenica…

Intanto cominciamo con questo sogno di teatrino in miniatura: The Ice Book, di Davy e Kristin McGuire. Nient’altro che carta, luce e magia…

 

E buona domenica a tutti.

Set 7, 2011 - Digitalia, Gl'Insorti di Strada Nuova, teatro    Commenti disabilitati su Good Things Coming

Good Things Coming

L’autunno si prospetta interessante.

Tanto per cominciare, Gl’Insorti di Strada Nuova torna… stavo per scrivere “in libreria”, ma non è proprio così. Strada Nuova è il mio secondo romanzo, un meta-arnese pubblicato sei anni fa con uno di quei microeditori senza promozione e senza distribuzione. Adesso è giunto il momento per lanciarlo nel mare digitale. Per cominciare, qui trovate qualche informazione e l’incipit. Nel corso delle prossime settimane vi terrò aggiornati, qui e su Twitter, sulle mie vicissitudini e tribolazioni di self-publisher. Seguitemi nella mia avventura, volete?

Poi il 14 di ottobre l’Accademia Teatrale Campogalliani debutterà al meraviglioso Teatro Bibiena di Mantova con il mio atto unico Di Uomini E Poeti – ovvero Il Testamento di Virgilio. L’occasione è importante: convegno virgiliano in occasione del 150° e conferimento dell’edizione speciale del Premio Virgilio honoris causa al poeta irlandese Seamus Heaney – Nobel per la letteratura 1995. Per cui, sì: un Nobel per la letteratura assisterà al mio atto unico. Non so quanto ne capirà, ma immaginate il mio stomaco invaso da tutto un gaio sciamare di lepidotteri. Grossi come altrettanti B52. L’Accademia Campogalliani riprenderà DUeP nel febbraio 2012: guardate qui e scendete* fino a Dal 9 Febbraio. Anche di questa faccenda, inutile che ve lo dica, sentirete parlare ancora.

Con la Campogalliani non ho finito – o meglio la Campogalliani non ha finito con me, visto che nella nuova edizione dei Lunedì del D’Arco, dedicata al 150°, offrirà letture drammatiche di Aninha e della Giudi. Tra novembre e dicembre – sarò più precisa.

E per finire una piccola novità che riguarda Senza Errori di Stumpa. Mattia Nicchio di Sudare Inchiostro ha dedicato un post a Lo Scrittore di Buon Senso, parlandone bene e tirandomi un pochino le orecchie perché non faccio molto per renderlo facilmente reperibile. Che dire? Mattia ha ragione – e io agisco. Come forse avrete notato, qui di fianco è germogliata una pagina dedicata al mio piccolo cotillon. Scaricate, leggete, fate circolare, venite a discuterne… Per ora c’è solo la versione .pdf, ma conto di arrivare a breve con MOBI – e probabilmente anche con ePUB.

E altre novità bollono in pentola per me e per SEdS, ma non ve le dico. Non ancora, almeno – perché, come tutti i narratori, torturo la gente di mestiere con vaghe promesse, premesse, prefigurazioni e appendimenti alle scogliere.

Stay tuned!

________________________________________________

* “Scrollare,” mi dice C. “Si usa scrollare!” Ma io non posso usare il verbo scrollare senza evocare immagini di enormi cani bagnati che si scuotono spargendo acqua ovunque… o almeno gente che fa spallucce. Per cui, nel senso di “far scorrere una pagina web usando il topo” continuerò a usare il buon vecchio scendere, o magari anche scorrere.

A Proposito Di Aninha – Una Piccola Storia, Una Considerazione E Un Corso O Due

Avevo promesso di raccontarvi le traversie del debutto di Aninha, vero?

Ebbene, approfittiamo della giornata di vacanza per farlo. Vi avverto, quella che state per leggere è una storia sanguinosa e truce. Se siete molto sensibili state alla larga.

Prima di tutto, Dramatis Personae:

L’Uomo delle Luci, henceforward known as UL: colui che alla vigilia, con un sorriso a molti megawatt, mi disse “ci abbiamo tutto – è tutto a posto. Ci ho anche delle barre a leds che sono la fine del mondo. Vai tranquilla.”

Flip: aiuto regista, donna saggia, scudo umano.

La Clarina: autrice, regista e  attrice avventizia di Aninha – e, in conseguenza di tutto ciò, a tutti gli effetti pratici una potenziale omicida in crinoline.

I Due Implumi: a mezza via tra i Connestabili di Molto Rumor Per Nulla e i Sicari di Macbeth

Aninha, Garibaldi, Manuel Duarte, gli Histriones: gli eroi della serata

La Folla, capeggiata dall’Assessore alla Cultura: un pubblico pieno di clemenza

E adesso, buio in sala, musica, sipario!

La data è il 23 di luglio, il luogo è Governolo, nel bel mezzo della Tregiorni Risorgimentale che da un anno andiamo laboriosamente organizzando, che gode del favore del meteo e che contempla un sacco di lavoro. Fra un paio d’ore va in scena Aninha, e io sto sperimentando le gioie del darsi attorno in costume ottocentesco. Immaginatemi mentre sgonnello su e giù per Governolo di Sopra popolato di figuranti in costume – gli ultimi momenti lieti prima che ben altre catastrofi che le crinoline piombino su di me.

Attorno alle sette si vedono gli Histriones, poi Aninha, e poi (ma molto poi – e appena giunto dalla Puglia) Garibaldi. Camerini di fortuna sopra la mostra e tutto quanto e poi, una volta cambiati e provvisti di bandiere catarinensi, prenderemmo possesso del palco per una piccola prova di movimento, se non ce ne scacciassero subito i danzatori ottocenteschi.

Ora, biasimo eterno sia alla sottoscritta per non essersi ribellata quando qualcuno ha avuto la brillante idea to sandwich Aninha between the halves of the Gran Ballo Risorgimentale. In teoria era previsto che avessimo tre quarti d’ora di tempo prima dello spettacolo, ma come non aspettarsi che i danzatori sforassero alla grande? I’m a fool.

Però l’UL è un idiota più grosso di me, perché quando finalmente i danseurs sgombrano il campo e noi, forti di una proverella nel prato davanti a un pubblico di anatre e galline, ci dichiariamo pronti, lui  comincia a perdere la testa.

“Non abbiamo mai provato,” ulula, con gli occhi di fuori.

Vero, ma non è un grosso problema – o così credo nel mio colpevole candore. Disegno luci all’osso e la mia assistente Flip (suona grand, vero?) pronta a dettarglielo passo per passo… che ci vuol mai?

“Abbiamo fatto di peggio, credimi. Adesso rilassati, e fai tutto quello – e solo quello che ti dice Flip.”

Ma avevo fatto i conti senza l’oste, si capisce. Alla prima istruzione, l’UL sbianca.

“Ma io non posso accendere solo i tagli di sinistra! Non mi hai detto che volevi accenderli separatamente!” E alla seconda istruzione, “Ma le barre a leds si accendono tutte insieme o niente! Non mi hai detto che…”

E mentre ringhio che l’unico motivo concepibile per cui uno può volere batterie distinte delle stesse luci in posti diversi è per poterle usare separatamente, sento alle mie spalle “Profe, profe!”

Mi volto e mi ritrovo due degli Implumi di Uno Dei Mille.

“Ci pensiamo noi alle immagini, profe. Ci dà la chiavetta? Ci pensiamo noi alla musica. Ci dà il CD?”

Personalmente ho qualche misgiving, ma gli Implumi sfoggiano sorrisi che interferiscono con la navigazione aerea. Scambio uno sguardo terrorizzato con Flip, e cedo il bottino.

“Mi raccomando, ragazzi, seguite bene le istruzioni…”

E ancora una volta, little I know che il peggio deve ancora venire.

L’Assessora arriva con l’aria contrita di chi ha messo i danzatori ottocenteschi sul collo di qualcun altro e vuole farsi perdonare.

“Adesso parlo un po’ e tiro di lungo, così riuscite a fare tutto,” mormora, e sale sul palco e si lancia in una disquisizione lunga e ripetitiva mentre noi veniamo frettolosamente  microfonati e gli Implumi avviano il proiettore… e a questo punto la catastrofe comincia ad abbattersi su di noi sul serio.

Sappiate dunque che al decerebrato dell’UL non è saltato in mente di controllare che il proiettore e il computer fossero in buoni rapporti. Sento un gemito di Flip, mi volto e trovo gli Implumi frenetici. “Non funziona, profe! Non lo vede! Non ci sono le immagini…”

Toi.

Le mie immagini. Studiate, scelte con minuziosa cura, modificate, adattate, ritoccate, portate a un soddisfacente livello di quasi perfezione in molte ore di lavoro, destinate ad essere proiettate sulle vele… Le mie immagini non ci saranno.

“Non è configurato…” pigola l’UL. “Scusa, non è colpa mia, è che non è configurato…”

Devo avere un’espressione seriamente omicida quando lo guardo, perché si fa piccolo piccolo.

“Punta sulle vele qualcosa di bianco e fisso e non toccarlo più finché non te lo dico,” sibilo, e poi raggiungo gli altri sotto il palco, perché l’assessora ha esaurito abbondantemente quel che si poteva dire, ed è ora di cominciare.

“C’è qualcosa che non va?” domanda Aninha, e io le dico che è tutto a posto con un sorriso da un orecchio all’altro, e intanto il cuore mi cade ancora un po’ più in basso, perché la cosa bianca e fissa che l’UL punta sulle vele è una delle maledette barre a leds – una di quelle che sono la fine del mondo, una di quelle che possono solo accendersi tutte insieme.

Toi…

Poi iniziamo. Musica di tango, lento e languoroso. Due degli Histriones entrano in scena e ballano nella luce di taglio. Io ne volevo metà e color tramonto: ne abbiamo troppa e color pomodoro, ma la scena è abbastanza bella perché il pubblico trattenga il fiato. Tienmi la man sul capo, o divinità dei debutti, che forse ce la facciamo ancora. Silenzio, buio, luce – piazzato – cominciamo.

Ma naturalmente respiravo troppo presto. Entro in scena – ho solo quattro battute, ma non vi dico il terrore – convinta di non ricordarmi una parola. Invecemi ricordo. Peccato che nessuno senta: l’UL ha trascurato anche di controllare le batterie degli archetti, e guarda un po’! il mio è scarico. Ululo quanto posso, e mi ritrovo rauca e ghiaiosa come non mai in vita mia – e completamente senza rete, perché una cosa progettata al microfono cambia del tutto se la devi urlare – ma tanto, chi mi sente? Se gli sguardi potessero fulminare, l’UL che si spalma sul palco per spingere verso di me un panoramico, sarebbe già un toast. C’è di buono che la mia parte non è rilevantissima. Dico le mie quattro battute e mi precipito alla consolle per assistere gli implumi con la musica.

aninha, teatro, massachussets institute of technology“Accendo le barre a leds?” chiede l’UL.

Gli dico di no, di fare solo quello che dice Flip. E in realtà, visto che il delinquente ci ha disfatto in un colpo solo metà del disegno luci, rifacciamo tutto sul momento.

“Adesso accendo le barre a leds?”

Gli dico di no, e poi mi distraggo a notare che a) il microfono di Garibaldi salta che è una bellezza; b)Manuel Duarte ha appena chiamato Garibaldi “Generale Bonaparte”. Con Flip ci guardiamo incredule e, quando torno a volgere lo sguardo sul palco, le maledette barre a leds sono accese.

“Spegnile subito! Chi ti ha detto di accenderle?”

“Ma sono belle…” mormora tetragono l’UL.

A me viene da piangere.

Tra un danno e l’altro, proseguiamo. Aninha, che era agitata e rigida, comincia a aninha, teatro, massachussets institute of technologyrilassarsi. Gli Histriones sono una folla stilizzata e perfetta; Garibaldi è proprio bravo; gli Implumi fanno quel che possono ma mancano di sottigliezza; le luci sono un disastro; dell’audio non parliamo nemmeno.

Come piace al cielo, arriviamo verso la fine.

“Al mio segnale, cala lentamente a buio,” dico all’UL.

“Tutto buio?”

“Sì, ma gradualmente. Al mio segnale.”

“Adesso?”

“No, al mio segnale.”

“Ma quando?”

“Dopo che lei ha finito. Al mio se…”

Aninha finisce l’ultima sillaba – l’UL spegne di botto tutte le luci sul palco.

“No! No! No no no no nononono!!!!”

“Ma mi hai detto… che cosa faccio? Riaccendo?”

E qui, con il buon senso che la contraddistingue, Flip mi spinge verso il palco a raccogliere gli applausi. To’, gli applausi… ero così occupata a fulminare l’UL che non me n’ero nemmeno accorta. E invece sono tanti. E complimenti, e chiamate, e si vede che in qualche modo, in mezzo alla caporetto tecnica, gli attori sono riusciti a far passare il testo – e non è nemmeno piovuto.

“Profe, profe,” suggeriscono in coro gl’Implumi. “Però lei l’UL adesso lo ammazza, vero?” E, beata gioventù, non hanno idea di quanto sia tentata di mettere loro in mano un cavalletto a testa e mandarli a mettere in pratica.

E questa era la piccola storia. La considerazione è che sono un nonnulla sconcertata dal successo di Aninha. Si capisce che scrivendola ho fatto del mio meglio, tacitando le riserve nate dalla scarsa affinità con il personaggio e dall’uscire un nonnulla dal mio seminato abituale. E proprio non mi aspettavo che un sacco di gente mi dicesse che, tra tutti i miei lavori, Aninha è quello che preferisce. Personaggio che non mi è simpaticissimissimo, genere inusuale… capite perché sono perplessa,  vero?

Infine il corso. Visto che da qualche tempo, in particolare con gli Histriones, sembro avere ereditato funzioni semi-ufficiali connesse con le luci in generale, il disegno luci e la doma della gente alla consolle, ho deciso che è giunto il momento per un po’ di teoria. Così, dopo avere cercato un po’ in giro, mi sono imbattuta nel programma OpenCourseWare del MIT. Er… sì: nel senso di Massachussets Institute of Technology, ma aspettate a sghignazzare. Il MIT mette gratuitamente a disposizione online trascrizioni, materiali, esercitazioni, programmi e reading lists di una quantità di corsi su ogni genere di materie. Qui, per esempio, ci sono i corsi di scrittura, e qui quelli di musica e teatro. Mi sono guardata un po’ in giro, e onestamente non tutti si prestano troppo bene ad essere studiati a distanza, senza la parte pratica e senza l’interazione con docenti e classe, ma altri sono una meraviglia. Per ora ho scaricato il materiale di Playwriting I e Lighting Design for the Theatre, e vi farò sapere – ma in qualche modo tendo a pensare che un corso del MIT valga comunque la pena.

Intanto, ho la sensazione di avere cominciato a fare qualcosa per neutralizzare situazioni come la bagarre con l’UL. Anche se, a ben pensarci, che cosa faccio? La prossima volta che un UL non capisce il mio sofisticato e mittiano disegno luci, gli dico “E guarda che io ho studiato Lighting Design sui corsi del Massachussets Institute of Technology?

Er…sì. Anche di questo vi farò sapere.

____________________________________________

(Foto di Giorgio Andreasi – presto appariranno, numerose e in tutta la loro gloria, qui e/o sul mio sito.)

 

Ago 12, 2011 - scrittura, teatro, teorie    6 Comments

Romanzieri A Teatro

Secondo Jeffrey Sweet, i romanzieri a teatro costituiscono una popolazione maldestra e grigiolina – sia come autori che come personaggi.

Non posso dire che la cosa mi abbia colmata di gioia, perché da un lato sono davvero entusiasta delle altre teorie di Sweet, e dall’altro gli argomenti che adduce in proposito sono quanto meno sensati, e in tutta probabilità validi.

Per quanto riguarda la transizione dal romanzo alla scena, Sweet osserva che il romanziere medio, abituato ad avere la parola come unità di base del suo lavoro, fatica ad abituarsi all’idea di dover lavorare su un atomo diverso: l’attore. Un testo teatrale, dice, non è alta letteratura e/o brillante uso della lingua: è un programma di occasioni studiate per consentire all’attore di creare comportamenti atti a catturare l’attenzione e la simpatia del pubblico. Ma il romanziere (o, se è per questo il poeta) medio, abituato ad affidare tutto il suo significato alla parola, fatica a imparare il diverso meccanismo secondo cui il suo significato farà bene ad emergere attraverso il comportamento dell’attore piuttosto che a monologhi in prosa fiorita.

E a dire il vero, il problema sembra affliggere anche lo scrittore più che medio.

Sapevate che Henry James fra il 1894 e il 1895 tentò di dedicarsi al teatro? Non era ancora il romanziere che tutti ammiriamo, ma possedeva già una rispettabile fama di saggista quando scrisse le sue quattro commedie & un dramma. Non di meno, le quattro commedie, che scrisse “leggere” per incontrare quello che credeva fosse il gusto del pubblico londinese, non trovarono un’anima disposta a metterle in scena. Le pubblicò a sue spese in due volumi, ciascuno corredato di una prefazione che, diciamocelo, è di gran lunga migliore delle commedie stesse. Il dramma, Guy Domville, trovò un incauto produttore, debuttò, fu sonoramente fischiato, sopravvisse per cinque settimane e cadde nell’oblio. Dopodiché James decise solennemente di dedicarsi solo alla narrativa – e tutti ne siamo molto felici. Perché il fatto è che, pur teoricamente consapevole delle necessità e convenzioni del teatro, James non sapeva applicarle, mettendo in scena incidenti inadatti o cercando invano di vivacizzarli facendo entrare e uscire i suoi personaggi da un’infinità di porte.

E che dire poi di Foscolo? Foscolo era il poeta che sappiamo, ma quando tentava la via delle scene diventava disastrosamente prolisso e rigido. A differenza di James, Foscolo didn’t give a button per le necessità di attori e impresari, e si ostinava a considerare soltanto la struttura della tragedia classica e il proprio gusto. Risultato, non so se abbiate mai provato a leggere qualcosa come l’Ajace (quello dei Salamini!) o la Ricciarda: gente che entra in scena e si abbandona a quarti d’ora di paludato soliloquio, rimugina, impreca, maledice, si strugge e non fa mai nulla. Ogni tanto qualcuno riferisce qualcosa che è successo, altri esclamano e si torcono le mani e poi giù altri soliloqui… Statico, statico, tre volte statico – e altrettanto unsuccessful. Capite perché gli impresari nominassero l’Ugo nazionale facendo gli scongiuri?

E per una volta non è questione di essere ossessionati dalla fabula: per sua natura, il teatro non dà accesso al paesaggio interiore dei personaggi e al sottotesto se non attraverso il modo in cui i personaggi dicono ciò che dicono. Ora, il playwright può fare due cose distinte in proposito: può lasciare che Cappuccetto Rosso venga in scena e racconti diffusamente al cielo stellato che non ne può più di vivere sotto la campana di vetro delle paranoie di sua madre, oppure può mostrarcela mentre ascolta appena le raccomandazioni della mamma, e quasi le strappa le ciambelle di mano per metterle nel cesto, ansiosa com’è di una giornata di libertà nel bosco… Tolta l’opera lirica e tolto il musical — che funzionano un po’ diversamente — indovinate quale metodo funziona meglio in scena?

Per contro, dice Sweet, c’è altra gente molto adatta alla drammaturgia, perché possiede già la giusta forma mentis: i giornalisti, perché sono abituati a selezionare i dettagli rilevanti di una storia e riportarli con più immediatezza che dettagliate distinzioni psicologiche; e gli attori, perché hanno acquisito la loro formazione creando il comportamente che serve a mostrare il significato del testo — e verificandone di prima mano l’efficacia. E in effetti Dumas Père era forse più giornalista che romanziere quando scrisse i suoi vividi, pittoreschi e immensamente applauditi drammi storici. Si potrebbe dire che siano i suoi romanzi ad avere una notevole dose di teatralità.

On the other hand, Dickens, con un percorso molto simile, e con una indefessa passione per il teatro, con i suoi drammi ottenne un successo piuttosto limitato.

A titolo di parziale consolazione, Sweet conclude che in realtà non c’è nessuna legge di natura per cui un romanziere non possa diventare un buon autore teatrale — a patto che si renda conto di dover imparare a camminare di nuovo, secondo tutt’altri principi. Dove invece resta drastico è sul fatto che, sappiatelo o Fellow Writers, gli scrittori sono pessimi protagonisti a teatro.

Anche qui, la  spiegazione è sensata: che cosa caratterizza uno scrittore? Il fatto di scrivere — ciò che avviene in solitarie e statiche sessioni notturne — e il fatto di osservare (e vampirizzare) l’umana natura — ciò che avviene per lo più nella testa dello scrittore stesso. Entrambi sono affascinanti processi, molto interessanti a leggersi in dettaglio all’interno di un romanzo, ma pressoché impossibili da rendere scenicamente. Provate a pensare a Stingo nell’adattamento teatrale di Sophie’s Choice, o alle varie incarnazioni di Christopher Isherwood nelle diverse versioni teatrali e cinematografiche di Cabaret, e troverete personaggi statici e persino un po’ passivi, gente che osserva invece di muovere dinamicamente il plot.

E qui, onestamente, c’è poco da fare, perché nessuna quantità d’impegno riuscirà a rendere i conflitti intrinseci della scrittura scenicamente utili — se non forse in veste allegorica, il che mi sembra una strada tanto datata quanto rischiosa da intraprendere.

La morale ad uso del romanziere che aspira a scrivere per le scene, stando a Jeffrey Sweet, è duplice: costui/costei farà bene a disporsi a imparare daccapo e, già che c’è, a scegliersi un protagonista che non sia uno scrittore e basta.

______________________________________________

Se siete interessati alla meccanica dei testi teatrali – e ancora di più se ne scrivete, potreste far di peggio che leggere il libro di Sweet. C’è solo in Inglese, ma credetemi: vale assolutamente lo sforzo:

 

E se invece foste curiosi di sapere perché il teatro di James non ha funzionato… be’:

 

Forma & Sostanza

Dopo essersi sorbito un certo numero di lai furibondi sulle lacune son et lumière del debutto di Aninha (una volta o l’altra vi racconterò), P. mi scrive così:

Senza troppi preamboli, ti dirò che non capisco il perché delle tue apprensioni per il mancato funzionamento degli effetti speciali. Capisco che, dopo aver lavorato alacremente agli effetti luce, al sonoro, e a tutti i dettagli che di sicuro rendono perfetta la rappresentazione, tu possa contemplare l’omicidio di vari tecnici. Però, gli applausi finali dovrebbero semmai darti ulteriore conferma che le tue opere hanno già molta sostanza, al punto che la forma, pur non inessenziale, può anche passare in secondo piano, purchè non si tratti di far recitare degli energumeni dotati solo dell’uso del dialetto etilico. Se le luci e il sonoro funzionassero alla perfezione, ma i tuoi lavori avessero poco da dire, il pubblico avrebbe probabilmente l’impressione di assistere ai fuochi della sagra, non credi?

Ebbene, sì e no.

Ormai è assodato che mi faccio venire attacchi di convulsioni con relativa e innecessaria facilità – ed è risaputo che della mancanza o imperfezione dei particolari del disegno luci in trentasei pagine il pubblico non si accorgerà mai. Quindi P. è ben lungi dall’avere tutti i torti.

On the other hand, però, non amo molto la teoria secondo cui la sostanza è tutto quel che conta, o almeno quel che conta di più, per la semplice ragione che in fatto di teatro, come di scrittura e di arte in genere, la forma è sostanza. Che cos’è l’arte se non espressione formale della sostanza? Metaesempio: tutti – o quanto meno molti – hanno la vaga impressione che la sostanza (nella vita reale) importi più della forma*. Però c’è voluto Shakespeare per dire che una rosa con un’altro nome profumerebbe allo stesso modo. E nel dirlo si contraddice, perché a rendere pressoché immortale la sua idea di forma/sostanza è proprio la forma. Ma in realtà, al di là degli aerei nonnulla che faceva sussurrare al suo adolescente innamorato, lo zio Will sapeva benissimo che, se si chiamasse acido tetrafenilcloridrico, la rosa conserverebbe forse lo stesso profumo, ma non troverebbe molta gente disposta ad annusarla per accertarsene…

In un romanzo, un racconto, un articolo o una poesia, ciò significa che stile e contenuto devono fondersi per stampare un’unica impronta nella mente del lettore. “Dice belle cose ma è scritto male”, oppure “E’ scritto divinamente ma non è che dica granché” sono due insegne di scrittura parimenti così così.

In teatro, alla buona scrittura devono aggiungersi la buona recitazione, la buona regia, le buone luci, le buone scene, i buoni costumi, le buone musiche e il Something-something creato dal felice combinarsi di tutti questi elementi. Se ne manca anche solo uno, il risultato resterà sempre così così. Non intendo imperfetto – l’imperfezione è un’altro mantello dell’arte – ma proprio leggermente mediocre. Lacking in quality. Dilettantesco. Un tantino naufragato sugli scogli che stanno tra intenzione e realizzazione dell’intenzione stessa.

Come dicevasi più sopra, ciò si applica anche a tutte le forme di scrittura – seppure in modo meno spinoso, perché il romanziere, il poeta e l’articolista hanno molto più controllo sulla loro forma di quanta il playwright possa mai sperare di averne sulla forma del risultato finito, che deve combinare le sue intenzioni e competenze con le intenzioni e competenze di un sacco di altra gente.

Il principio però rimane lo stesso: in qualsiasi disciplina, la più solida e profonda delle sostanze non è una scusante per le lacune della forma. E a dire il vero, cercare questo genere di scusanti cessa di sembrare una buona idea non appena si considera che curare la forma è il modo più efficace per affinare l’espressione della sostanza.

__________________________________________

* Francamente non sono molto d’accordo nemmeno per quanto riguarda la vita reale, ma questo è un altro post.

Ago 2, 2011 - Somnium Hannibalis, teatro    Commenti disabilitati su Somnium Hannibalis A Ostiglia

Somnium Hannibalis A Ostiglia

SH torna in scena in grande stile: gli Histriones si sono provvisti di fuoco vero, e l’effetto delle fiamme – un enorme braciere che i personaggi alimentano a turno, più un certo numero di torce e lumi – è più emozionante di quanto si possa immaginare. 

E’ perfetto, perché in SH l’imagery più ricorrente ha a che fare con fuoco, fiamme, roghi, pire e cose che ardono, ed è un regalo che ci facciamo ogni volta che si recita all’aperto. Fiamma rituale, pira funeraria, falò celebrativo, simbolo, luce, distruzione, impeto… – il nostro braciere in scena significa molte cose. Ah, respirare l’odore del fuoco mentre Annibale parla del mare di roghi nella piana sotto Canne…

Intanto ieri sera abbiamo provato la bellissima sequenza iniziale in cui, sullo sfondo di una musica che posso definire solo haunting, tutti gli spettri di Annibale si presentano all’appello, si confondono, prendono le armi e tornano a perdersi in una luce di crepuscolo senza però andarsene del tutto – ombre indistinte e sempre presenti, la lunga processione di tutti coloro che Annibale ha perduto nell’inseguire la sua chimera. Gabriella Chiodarelli è un genio di regista, e questa scena mi dà i brividi ogni volta che la rivedo. Anche in pieno giorno. Anche in jeans e maglietta. 

Questa ripresa promette davvero bene.

somnium hannibalis, hic sunt histriones, teatro, ostiglia



Lug 20, 2011 - guardando la storia, teatro    2 Comments

Aninha

Sentivo il mondo muoversi appena oltre la cinta nera delle colline all’orizzonte, come un ruggire anita, garibaldi, teatro, governolo, centocinquantesimo, unità d'italia, laguna, brasilelontano di temporali nella notte. E me ne tornavo a casa piena di una fame senza nome e senza forma. E dietro le mie spalle mormoravano della Aninha selvaggia, la vergogna e il crepacuore di sua madre. Allora gettavo indietro la testa e fingevo che non m’importasse. Ero prigioniera…

 

Perché prima di Anita c’era Aninha, la figlia di un mandriano nelle paludi del Brasile, soffocata in un mondo troppo stretto – finché qualcuno non le diede un nuovo nome e nuovi sogni. La storia della ragazza che divenne Anita Garibaldi.

 

 

anita,garibaldi,teatro,governolo,centocinquantesimo,unità d'italia,laguna,brasile