Mar 9, 2018 - Spigolando nella rete, Storia&storie    Commenti disabilitati su Storidentikit

Storidentikit

AileanBreacStewartVi ricordate di Alan Breck Stewart?

Non è del tutto impossibile, considerando la frequenza con cui vi tormento in proposito, e in realtà ne abbiamo parlato di recente.

Ad ogni modo, questa volta non è del tutto colpa mia: potete biasimare Caroline Wilkinson, dell’Università di Dundee, cui qualche anno fa è parso bello fare una ricostruzione della faccia dell’Alan storico – Ailean Breac (o Breic) Stewart – e il risultato lo vedete qui accanto.

Come è successo? Be’, la professoressa Wilkinson ha trattato Ailean come ogni altro sospetto omicida di cui non si conosca la faccia: ha tracciato un identikit sulla base delle testimonianze.

Perché le testimonianze scritte ci sono – sia legate all’omicidio del detestatissimo agente della Corona Colin Cambell nel 1752, sia unrelated – e parlano di un giovanotto dalla faccia lunga e stretta segnata dal vaiolo, dagli occhi azzurri e infossati, dai capelli ricci e scuri e dal naso lungo…

A dire il vero parlano anche di uno scervellato violento e inaffidabile – ma a dirlo era James Stewart, il padre adottivo che fu impiccato per l’omicidio in questione, di sicuro ingiustamente e forse al posto di Alan, che si era reso uccel di bosco. Una punta di astio e/o di panico da parte del povero James sarebbe più che comprensibile, ma sospetto che il fascino di Alan sia tutta farina del sacco Stevenson, e l’originale fosse ben poco raccomandabile.

E in effetti, qui sopra, l’aria raccomandabilissima non ce l’ha, giusto?AppinMurder

Grazioso e simpatico esercizio – ma con un limite sesquipedale: le testimonianze essendo per l’appunto scritte e vecchie di duecentosessant’anni e passa, non sono verificabili in nessun modo. Non è come se a Dundee potessero convocare James Stewart, o l’avvocato di Colin Campbell presente all’omicidio, o gente dell’entourage di Ailean e chiedere loro se la ricostruzione è somigliante… Sono certa che la professoressa Wilkins abbia considerato altri fattori, come fenotipi e strutture facciali dei discendenti Stewart e dei ritratti d’epoca, ma non posso fare a meno di chiedermi a che punto sia intervenuta l’immaginazione dei ricercatori – magari colorata da Stevenson…

Oh well. Non sarò io a lamentarmi. In fondo non si tratta di risolvere un omicidio – anche se a volte, a sentire due Scozzesi che ne discutono, si sarebbe indotti a credere che l’Appin Murder sia faccenda della settimana scorsa – ma l’idea di applicare questo genere di strumenti per ricostruire facce storiche ha più che un po’ di fascino, e mi piacerebbe molto vederla utilizzata su altra gente. La National Portrait Gallery non ha prezzo. Per tutto il resto…

 

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* Yes, yes, I know: il povero David e tutto quanto. Non cominciamo nemmeno.

Mar 7, 2018 - il Palcoscenico di Carta, teatro, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Il Critico o l’Autore?

Il Critico o l’Autore?

9b71fcee417fE così ieri pomeriggio (ieri sera? nel tardo pomeriggio? verso sera?) abbiamo concluso la più recente avventura de Il Palcoscenico di Carta, chiudendo il nostro sipario immaginario su Il Critico, ovvero Le Prove di una Tragedia.

Sheridan è davvero spassoso – pur con una quantità di ovvia bile nei confronti di certa critica, ma ancor più di certi autori. Confesso di aver sempre pensato che questa commedia dovesse chiamarsi “l’Autore”, più che “il Critico” perché, pur decisamente presi in mezzo del primo atto, Dangle e Sneer diventano la voce della ragione prim’ancora che inizi la prova – e l’artiglieria di Sheridan cambia decisamente bersagli.

RMG0513TC071-732x1100Dangle è vanesio, malguidato e un po’ sciocco, e Sneer è perfido per il gusto di esserlo – ma gli autori? Sir Fretful Plagiary è un dilettante ultrapermaloso che plagia a tutto spiano e non lo fa nemmeno bene, e Mr Puff… Puff è un mercenario della penna che in vita sua ha scritto di tutto – dalle truffe per lettera all’ur-marketing per i banditori d’asta, dalla pubblicità sui giornali alla falsa beneficenza, dai pamphlet per conto terzi al teatro… e quando approda alla tragedia, ci caccia dentro di tutto.

Per cui, quando la prova inzia per davvero, nel secondo atto, Dangle e Sneer con i dubbi dell’uno e il sarcasmo dell’altro, diventano la voce di tutti noi…

Non si può non solidarizzare con i due spettatori perplessi, di fronte al modo in cui Puff non si (e ci) fa mangare nulla: plagi shakespeariani, allegorie fluviali, amori contrastati, storia, duelli, un diluvio di agnizioni, scene di follia, musica, esposizione, masque, richiamo patriottico, sottotrame irrilevanti, canarini, effetti speciali – e tutto doppio, ogni volta che si può. Pensiamo solo alla scena delle due nipoti che tentano, ciascuna per conto suo ma contemporaneamente, di pugnalare lo Spagnolo, i due zii che intervengono minacciando a fil di spada lo Spagnolo, che minaccia a sua volta di trafiggere le nipoti… impasse al quadrato? al cubo?  Per fortuna poi arriva il Guardiano con l’alabarda – che poi guardianissimo non è… criticphotosmanuelharlan

Tutto molto nonsense, tutto molto sopra le righe – ma d’altra parte, Sheridan si faceva beffe di un certo gusto del suo tempo, un certo tipo di teatro sovraccarico, dalle trame intricatissime e farcite di cliché e di effettoni, e dai dialoghi men che ispirati.

Satira ed eccessi a parte, tuttavia, l’Invincibile Armada di Mr Puff è un catalogo di faccende che sono ancora rilevanti in teatro – in fatto di stile e di pratica. Dell’esposizione abbiamo parlato, e poi ci sono i clichés, la concisione, l’effetto secchiaio, le necessità pratiche dei cambi di scena e di costumi, la progressione logica, il rapporto tra dialogo e azione, la caratterizzazione dei personaggi…

All in all, credo davvero che Il Critico dovrebbe essere lettura obbligatoria nei corsi di scrittura teatrale.

Intanto, però, lo possiamo considerare un’altra riscoperta del PdC – una riscoperta gradita, a giudicare dal successo dei tre incontri. È quasi un peccato aver già finito, vero? Ma torneremo presto. Abbiamo idee per il futuro… ne riparleremo a fine estate, volete?

Mar 5, 2018 - teatro    2 Comments

Hic Sunt Histriones Compie 10 Anni!

hic2Hic Sunt Histriones, il gruppo teatrale ostigliese, festeggia il suo primo decennio.

In realtà, il gruppo esisteva da prima – dal 2001, nato come costola rievocativa del Gruppo Archeologico Ostigliese. E infatti con le rievocazioni ha cominciato, partecipando anche, negli anni, ad alcune manifestazioni nazionali tra Roma e il Rovigoto… Poi, da rievocatori tout court, gli Histriones si son fatti teatranti.

Forse era inevitabile, soprattutto con una teatrante irriducibile come Gabriella Chiodarelli al timone. E perché è nell’umana natura, immagino, che la pura e semplice cronaca non basti: presto o tardi arrivano l’interpretazione e la narrazione… Teatro antico, dapprima: i mimi, le atellane, Plauto – poi un adattamento dell’Odissea per mano di Gabriella Motta e poi, di storia in storia (perché anche questo alla fin fine è inevitabile), Matilde di Canossa con la stessa autrice.

IMG_1703Ed erano a questo punto – non più rievocatori soltanto ma teatranti con il gusto della storia – quando sono salita a bordo nel 2009.  Somnium Hannibalis, dapprima – e non sarò mai grata abbastanza per questo episodio quasi anglosassone della mia vita: alle nostre latitudini non capita tutti i giorni di vedersi portare in scena un romanzo storico – ma a me è capitato, ed è stato meraviglioso.

E se credevo che fosse proprio solo un episodio, se credevo di arrivare, “fare” il Somnium, ringraziare e andarmene… ah well, non avevo fatto i conti per bene. Complice la presenza di Gabriella Chiodarelli – la mia insegnante di teatro back in the day – Hic Sunt Histriones mi ha adottata e assorbita fin da subito… 13895378_10205166157632771_6819211820654312786_n

E così ho scoperto la passione, i legami, il nonsense, l’allegria e la serietà di questo gruppo, che fa teatro con una tenacia ridente e avventurosa, gettandosi a capofitto in tutte le buone cause, in tutte le sfide, in tutte le insormontabilità apparenti.

Molte delle storie le avete lette su Senza Errori di Stumpa in questi anni: le prove, gli esperimenti, i brindisi prima dell’aprirsi del sipario, gli applausi, le trasferte, i piccoli drammi illuminotecnici, le maschere di rame, le passeggiate notturne nella neve, i salvataggi per il rotto della cuffia, i miracoli di scena…

È stato bello – ma no, che dico? È bello, perché HSH non ha nessuna intenzione di fermarsi, anzi. Intanto, domenica 11 celebreremo questo compleanno, nella Sala Consiliare del Municipio di Ostiglia, come dice la locandina rossa qui accanto. Ci racconteremo un po’, brinderemo con chi vorrà unirsi a noi, e presenteremo la nuova avventura: un Festival del Teatro per Passione che coinvolgerà generi diversi e compagnie venute da lontanto – e che spera, conta, ha tutte le intenzioni di essere il primo di una lunga serie.

HSH10

Unitevi a noi, allora. Abbiamo una bella storia da festeggiare – una storia ricca e vissuta intensamente – e un’altra storia, ancor più lunga e vivida, a cui dare inizio: buon compleanno, Histriones – e ad maiora!

Mar 2, 2018 - considerazioni sparse, Ossessioni, Poesia, Spigolando nella rete    Commenti disabilitati su Nevica!

Nevica!

nevicata.jpgE no, in realtà non nevica più – e anzi, sta piovendo – ma ieri… ah, ieri è nevicato per tutto il giorno, ed è stata una di quelle giornate magiche e sospese…

Quindi sì, ho avuto la mia nevicata. La prima vera e propria nevicata da anni a questa parte – e mi ritengo soddisfatta.

Magari lo sarei ancora un nonnulla di più se non ci piovesse subito sopra… ma non cavilliamo, volete? Sono soddisfatta*.

E per dimostrarlo, ecco qui uno scampoletto rilevante di Maxence Fermine:

La neve è una poesia. Una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri. Questa poesia arriva dalle labbra del cielo, dalla mano di Dio. Ha un nome. Un nome di un candore smagliante. Neve.

>E, giacché ci siamo, anche una di quelle cose un pochino nonsense che si pescano girando qua e là per la Rete (o SNFSedSquando qualcuno, conoscendo la vostra ossessione per la neve, ve le segnala)…

Qui trovate un generatore di fiocchi di neve personalizzati. Dovete soltanto inserire un nome, una citazione – o, in realtà, qualsiasi cosa che si scriva in lettere, numeri e simboli – e vedrete comporsi il vostro fiocco di neve… Quello qui di fianco, per esempio, dice “Senza Errori di Stumpa”. And yes, I know – ma non vi fate idea di quanto sia grazioso. E addictive…

Ah well, niente. Così.

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* E in realtà c’è qualcosa nell’impermanenza delle nevicate… Prima o poi dovrò scriverci su qualcosa.

Feb 28, 2018 - elizabethana, grilloleggente    Commenti disabilitati su In Originale

In Originale

Mail:

Studio lingue, e devo leggere Shakespeare e Marlowe in originale. Non lo avevo mai fatto prima. Ci sto provando, ma faccio molta fatica. L’ho sentita parlare, e ha l’aria di qualcuno che lo fa spesso e ci trova anche gusto: mi dica qualcosa d’incoraggiante!

first-folioE io ho risposto dicendo quel che direi a degli ipotetici allievi, se insegnassi letteratura inglese – una rielaborazione di quel che a suo tempo fu detto a me. Non posso garantire nel più assoluto dei modi che funzioni per chiunque e ciascuno, ma di certo ha funzionato per me… Riassumiamolo in quattro comodi punti, volete?

I. Cominciamo con qualcosa che abbiamo già letto in Italiano. Avere un’idea di che cosa si sta leggendo, della trama e dei personaggi, è già d’aiuto, ma conoscere ragionevolmente bene una traduzione facilita molto le cose: sappiamo che cosa aspettarci, sappiamo dove siamo e non abbiamo bisogno di preoccuparcene. È l’equivalente dell’andarcene in giro con una mappa – e a questo punto siamo soltanto noi e la lingua.

II. Non leggiamo con il dizionario accanto, fermandoci ogni volta che non capiamo una parola. E non leggiamo con la traduzione a fronte – per carità: non c’è nulla di più noioso e frustrante. Tiriamo dritto, invece, senza concentrarci sulla singola parola – e nemmeno sul singolo verso. Seguiamo il flusso della lingua e del discorso, il ritmo, la costruzione, osservando e confrontando il modo in cui l’autore usa le stesse parole ed espressioni in contesti diversi. Scopriremo che, se non proprio tutto, in genere riusciamo ad afferrare il senso. Una volta finita la scena, ricominciamo daccapo, sottolineando quel che non capiamo : adesso è il momento del dizionario – monolingue, appena possibile.

IIbis. Ricordiamoci che l’idea non è quella di tradurre in Italiano, ma di capire in Inglese…AsYouLikeIt

III. Dopo avere letto, andiamo a teatro. In originale. Il che nella maggior parte dei casi significa procurarsi qualche DVD, ma va quasi bene lo stesso. Shakespeare e Marlowe non scrivevano per essere letti, ma per essere rappresentati. Le parole recitate su un palcoscenico sono diverse dalle parole stampate sulla carta, eppure per l’ascolto-visione tutto sommato valgono gli stessi principi della lettura: invece di cercare di capire ogni singola parola, vale la pena di seguire il flusso, il ritmo…

IV. Insistiamo senza scoraggiarci. Tutto ciò non è facile e non funziona necessariamente al primo colpo. Ci vuole qualche perseveranza, ci vuole esercizio, ci vuole tempo. E ci vuole un pizzico di fede nel fatto che, insistendo a sufficienza, diventerà sempre più facile e più affascinante. Volendo, è del tutto possibile considerarla una caccia al tesoro particolarmente tosta: se fosse facile, che gusto ci sarebbe?

E volendo, c’è anche un punto V: adesso – e solo adesso – possiamo tornare alla traduzione, per il gusto di vedere che cosa si è conservato, che cosa è andato perduto, che cosa ha cambiato colore e gusto…

Ecco. E badate che non vale soltanto per l’Inglese elisabettiano, ma per qualsiasi lingua. Perché in fondo, l’Inglese cinquecentesco è, anche a conoscere l’Inglese, un’altra lingua. Il passato è un paese straniero, ricordate? Fanno le cose in modo diverso. E parlano in modo diverso. E pensano in modo diverso. E che si tratti del tardo Cinquecento, della Francia, dell’Uzbekistan, quale miglior modo d’impararne la lingua e capirne la mentalità se non attraverso le storie, la letteratura e il teatro?

 

 

Feb 26, 2018 - teatro, Vitarelle e Rotelle    Commenti disabilitati su Il Fantasma di Ciò Che È Stato

Il Fantasma di Ciò Che È Stato

bernardo-sceneE in realtà questo titolo si deve a qualcosa che ancora non vi posso dire – ma è qualcosa di bello all’orizzonte… Ma ve ne parlerò presto, credo. Per oggi pesco da Sheridan (che domani, ricordate, leggeremo al PdC) per illustrare come certe cose siano in realtà vecchie come le colline…

Il Fantasma di Ciò Che È Stato, appunto – ovvero antefatti, antecedenti, backstory, informazione pregressa… comunque vogliamo chiamarlo, è tutto ciò che ha condotto a Pagina 1 e di cui, in un modo o nell’altro bisognerà pur mettere a parte il lettore/spettatore. Un tempo i romanzi se la cavavano raccontando quel che andava detto in un numero variabile di pagine iniziali, affidate alla voce narrante. A teatro la funzione spettava spesso al Coro… poi il Coro andò per lo più in pensione, sostituito in parte dal Prologo… ma in realtà ci si accorse che era tutto molto più efficace se, invece di spiattellare Ciò Che È Stato in un’unica rata, lo si faceva passare un po’ per volta tramite il dialogo dei personaggi… Avete presente Orazio e i soldati che discutono delle brighe danesi, del Fantasma che somiglia al re defunto e della situazione generale all’inizio dell’Amleto?

Interessante ed efficace – anche perché veniamo a sapere di tutto ciò attraverso i dubbi, le paure e l’incertezza di Orazio e compagnia…

Mi piace considerare tutto ciò una tecnica eminentemente teatrale, per la sua natura dialogica. Però resta il fatto che, in teatro e in narrativa, occorre applicarla con qualche riguardo alla verosimiglianza. È molto bello che i personaggi s’informino a vicenda o discutano e ricordino Ciò Che È Stato… ma hanno delle buone e plausibilit ragioni per farlo?

Prendete per esempio questo scampolo di dialogo tra gli elisabettiani Christopher Hatton e Walter Raleigh, preso dalla tragedia-nella-commedia* di Sheridan:Hatton&Raleigh

SIR CHRISTOPHER
Ma dove? Come? Quando? Donde?
E quale Il pericolo sia, vorrei sapere.

SIR WALTER
Tu non ignori, amico, che due soli
E meno di tre lune eran mutati…
E sprezzando la pace già Filippo
Insidiava i commerci d’Inghilterra.

SIR CHRISTOPHER
Ben lo sapea.

SIR WALTER
Sai che Filippo è il fiero Re di Spagna.

SIR CHRISTOPHER
Invero.

SIR WALTER
E sai che opprime il popol suo
Con il credo di Roma; da noi invece
La fede protestante è praticata.

SIR CHRISTOPHER
Sollo.

SIR WALTER
Sai inoltre che l’orgoglio del suo regno,
L’invincibile Armada, ossia la flotta
Destinata dal Papa all’invasione…

SIR CHRISTOPHER
Ha preso il mare
E muove a questa volta; non lo ignoro.

SIR WALTER
E inoltre sai…

DANGLE Mr Puff, ma visto che sa già tutto quanto, perché Sir Walter continua a raccontarglielo?

PUFF Non mi direte mica che anche il pubblico sa già tutto.

SNEER   Giusto; ma io dico che qui non è risolto. Non si vede ragione per tutta questa comunicatività da parte di Sir Walter.

PUFF Dio santissimo, questa è una delle osservazioni più piene di ingratitudine che abbia mai sentito! – Secondo me, meno ragione ha di raccontarlo, più grato voi gli do­vreste essere perché ve lo racconta. Infatti se non fosse per lui voi non sapreste niente di tutto l’antefatto.

richard-brinsley-sheridan-200x290Appunto. È chiaro che, se Sheridan ci scrive sopra una commedia, il problema doveva essere vivo e diffuso duecentoquarant’anni fa come lo è adesso. E adesso come allora, il guaio si è che il Pubblico, nella sua congenita e nigerrima ingratitudine, di rado la vede come Mr Puff…

Possiamo forse consolarci, quando ci accapigliamo col Fantasma di Ciò Che È Stato, dicendoci che è un Problema con la maiuscola, vecchio di secoli e ancora complicato – ma ciò non toglie che dobbiamo sempre fare tutta l’attenzione possibile a chi espone cosa. E quando siamo tentati di far esporre a qualcuno informazioni che l’interlocutore dovrebbe conoscere nel sonno, potremo forse ricordarci di Sir Christopher che risponde “Sollo”, e comportarci di conseguenza.

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* “E di che tratta la tragedia?” “Well, è ambientata nel 1588, e si suppone che gli Spagnoli stiano arrivando in forze.” “Oh, l’Invincibile Armata?” “Esatto. E non a caso, la tragedia s’intitola proprio così.” “Chi l’ha scritta?” “Nessuno… that is, Sheridan per questa cosa. Ma l’autore nominale è Puff.” “E gli altri?” “Ah sì, Sneer e Dangle. I critici che assistono alla prova generale.” “Orrore! Ma chi invita i critici alle prove?” “Puff, evidentemente.”  Dialogo espositivo, see? Ciò Che È Stato.

Piccola Fenomenologia Del Segugio Tonacato

SegugiBrownPost lunghetto anzichenò, oggi, ma il fatto è questo: avete mai badato a quanti investigatori religiosi ci siano nei gialli – particolarmente nei gialli storici?

Il primo che mi viene in mente, in realtà, non è un caso di giallo storico affatto: il Padre Brown di Chesterton era contemporaneo – un pretino cattolico trasandato e acutissimo, che al suo amico e sidekick Flambeau (criminale riformato), perplesso sulla sua competenza in fatto di umana malvagità, dice: “Vi è mai venuto in mente quanto sarebbe improbabile che un uomo la cui occupazione consiste per lo più nell’ascoltare i peccati altrui fosse del tutto digiuno di umana malvagità?” O qualcosa del genere – cito a memoria e traduco a braccio, per cui… ma il sugo è quello, e forse è uno dei motivi della popolarità del sacerdote-detective: una combinazione di dimestichezza con gli aspetti meno edificanti dell’umana natura e di distacco dall’umana natura stessa…

Poi in realtà non tutti sono sacerdoti, non tutti sono confessori (anche se c’è una netta prevalenza di religiosi cattolici*) – ma tutti hanno qualche genere di passato.

segugiwilliam_de_baskerville_04Guglielmo da Baskerville è un ex inquisitore francescano. Apparentemente, una carriera nell’Inquisizione aguzza le meningi… oppure delle meningi aguzze favoriscono una carriera nell’Inquisizione. All’aprirsi del sipario de Il Nome Della Rosa, Guglielmo inquisitore non è più (disapprovava la quantità di innocenti arrostiti), ma è un ur-Holmes in saio con tanto di Watson – il giovane e candido novizio Adso da Melk, narratore e sidekick al prezzo di uno. Ma Eco va holmeseggiando in maniera spudoratamente metaletteraria – qualcosa che non tutti gli autori di historical whodunnit fanno.

Un altro con un passato è Fratello Cadfael, per esempio: monaco benedettino ed erborista nella turbolenta Inghilterra del XII Secolo, ma prima contadino gallese, servitore di un mercante di lana, crociato, armigero… tutte esperienze che gli vengono comode per la carriera di detective, al fianco dello Sceriffo di Shrewsbury, Hugh Beringar – di cui sarebbe il sidekick ufficioso, se le cose non stessero the other way ‘round. Naturalmente tutto questo passato (Cadfael ha persino un figlio saraceno convertito al Cristianesimo) e le idee non convenzionali che gliene vengono servono a molteplici scopi: conoscenze specifiche e non comuni, ma anche quel tanto di conflitto con i suoi superiori che non guasta mai e una giustificazione per quel genere di mentalità non proprio dugentesca che gli consente anche di fare da ponte tra l’epoca e il lettore.segugiDuLuc

Qualcosa del genere vale anche per Charles Du Luc, il giovane Gesuita di Judith Cook. Anche Charles ha un passato: squattrinato rampollo della piccola nobiltà provenzale, ex soldato, pieno di dubbi sulla revoca dell’Editto di Nantes per motivi famigliari, essendo parte dei suoi congiunti di fede ugonotta. Tutto ciò offre un’ombra di plausibilità storica alle idee non ortodosse di Charles, lo rende alquanto tollerante nei confronti dei peccati altrui e lo provvede di amatissima cugina ugonotta – lontana ma mai dimenticata – periodico attrito con i superiori (come sopra) e dosi ricorrenti di dubbio vocazionale.

Per ragioni di voti e/o di regole monastiche, ogni mossa dei detective in tonaca va giustificata con la segreta connivenza di un superiore o con un atto di disobbedienza – e in genere in ogni giallo il protagonista mette insieme una buona collezione di entrambi. La cosa si complica quando il detective diventa una suora, che si suppone goda di minor libertà d’azione – e sarà forse per questo che ci sono meno esemplari femminili della specie. Al momento me ne vengono in mente due.

segugioFidelma-closeupSuor Fidelma è una religiosa irlandese del VII Secolo, ma è anche una principessa reale e un avvocato – il tutto compatibile con le peculiarità della chiesa celtica dell’epoca. E quindi anche Fidelma ha un passato, dei dubbi sui suoi voti, delle competenze e tutto l’armamentario del caso, compreso un marito, religioso a sua volta, erborista, sidekick e attratto dall’ortodossia romana. Conflitto, conflitto, conflitto… Abbastanza perché i casi di Suor Fidelma siano sempre diabolicamente complicati, pieni di sottotrame politiche, giudiziarie e sentimentali.

Le cose sono un po’ meno intricate con il Canonico Sidney Chambers, giovane ecclesiastico protestante che James Runcie piazza a Grantchester, nel Cambridgshire, nei primi anni Cinquanta. Irrepressibilmente curioso, Sidney indaga accanto all’amichevole ma impaziente Ispettore Keating – e si gioca molto sul contrasto tra l’idillio apparente della campagna inglese e le ombre gettate dalla guerra recente e dalla malvagità umana in generale. Una specie di Padre Brown protestante, sotto certi aspetti – se non fosse per l’età e perché Sidney ha guai personali di un genere più moderno, visto che i traumi del suo passato militare sono tanto un tormento quanto un aiuto nel comprendere i tormenti altrui. segugiPelagia

Non so granché invece di Suor Pelagia, protagonista di tre o quattro gialli di Boris Akunin. So che è una suora ortodossa, insegnante in una scuola per fanciulle nella Russia a cavallo tra Otto e Novecento, e so che agisce per conto del suo vescovo, ma ho letto solo qualche recensione – non abbastanza per avere le idee chiare. Sospetto, tuttavia, che come tutti i suoi colleghi, Suor Pelagia possieda qualche genere di passato e di competenze e di dubbi – sennò come potrebbe andarsene attorno a risolvere omicidi?

Perché sono certa che sto tralasciando parecchi nomi**, ma mi azzardo a dire che la scelta di un detective religioso in altri secoli sembra rispondere ragionevolmente a una serie di criteri: la summentovata combinazione di conoscenza e distacco; la plausibilità di una buona istruzione; la possibilità di accedere a vittime e sospetti della più varia estrazione senza violare (troppo) le convenzioni sociali del tempo; l’autorevolezza dell’abito; un’ambientazione con qualche grado di singolarità. E poi a tutto ciò si aggiungono i parimenti summentovati dubbi e passato – giusto per tendere un ponticello al lettore, e per giustificare una certa proclività alla disobbedienza senza la quale, sembrano implicare generazioni di giallisti, la verità non si trova mai.

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* e probabilmente legioni di sacerdoti e sacerdotesse antichi, druidi e druidesse, e vestali – d’accordo, forse quelle no)

** Naturalmente, per una certa quantità di secoli non è che l’Occidente offrisse una gran varietà di alternative – ma inclino a credere che per una fetta del pubblico anglosassone gli ordini monastici cattolici abbiano un certo genere di… esotismo? Mistero? Singolarità?

Il Labirinto nel Labirinto

AntiocoC’era una volta, tanto tempo fa, un Editor che fece notare alla Clarina come l’espressione “una mente diabolica” in bocca ad Antioco III di Siria fosse un potenziale anacronismo*. Alla Clarina venne freddo: un anacronismo!? La Clarina, che detestava e detesta gli anacronismi alla pari dei r (quelle orribili bestie con otto zampe che fanno le r-tele), tentò di difendere la sua scelta lessicale spiegando delle figure di demoni nelle varie mitologie antiche, ma dovette ammettere che il rischio era grosso, e che “demoniaca” era semmai ancor peggio. E tuttavia, come far definire al Re la mente di Annibale in quella specifica circostanza? Per la cronaca, si parlava di uno stratagemma che Annibale aveva ideato col duplice scopo di far ammattire il Temporeggiatore e metterlo in una posizione dubbia di fronte ai suoi, una di quelle astuzie greche che i Romani disprezzavano e che Antioco ammirava. Come esprimere in un aggettivo la fascinazione che il Re provava per la mente capace di concepire un piano del genere?

Allora, dopo avere inutilmente ponzato e cogitato alla ricerca dell’aggettivo perfetto, la Clarina prese un foglio di carta, qualche penna e un’Anima Paziente e, così armata, si mise a far rimbalzare idee. Insieme all’A.P. buttò giù una lunga lista di tutte le idee, le associazioni, le connotazioni e le immagini che il suo Antioco legava alla mente di Annibale, e la lista era quella che vedete qui sotto. Brainstorming.png

Molte di queste parole erano parziali, perché coprivano solo un aspetto di ciò che il Re pensava; alcune c’entravano fino a un certo punto, ed erano più che altro ponti che conducevano verso altre parole; altre ancora erano del tutto pertinenti, ma non erano L’Aggettivo – o almeno non L’Aggettivo che serviva in quello specifico punto.

Insomma, per farla breve, di parola in parola si giunse a quel labirintica che era perfetto per la bisogna… a dire il  vero, si sarebbe giunti a labirintina, che suona ancor meglio per la bisogna – ma l’Editor fece notare che “labirintino” in Italiano non esiste, e il fatto che ne esista un equivalente in Inglese non bastava affatto…

labirintoChissà, probabilmente adesso la Clarina punterebbe i piedi e difenderebbe l’Aggettivo Perfettissimo – ma allora, giovane e inesperta, ripiegò sulla versione più ortodossa, che tutto sommato andava abbastanza bene anche così. Dopo tutto, con tutte le connotazioni mitologiche di gente smarrita, di oscurità, di pericolo, di astuzia, di stratagemmi, d’inganni, di fili provvidenziali**, col ricordo delle figure dipinte sulle rovine di Creta, con tutti i significati simbolici associati all’idea del labirinto, poteva esserci aggettivo più adatto? E, a dire il vero, poteva esserci sport migliore che dare la caccia a un aggettivo lungo tunnel di parole?

No davvero, on both accounts.

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* Ecco, tra parentesi, una delle cose a cui serve un editor: io avevo usato diabolica in un senso che non era davvero anacronistico, ma mi ero lasciata sfuggire completamente il piccolo particolare che il senso più comune del termine ne poteva fare un anacronismo grosso come una portaelicotteri. Ugh! Mi ero sentita come Foscolo con il Re dei Salamini!

** Ed ecco un’altra parola che non va bene…

Feb 19, 2018 - grilloleggente, libri, libri e libri, musica    Commenti disabilitati su Colonne Sonore

Colonne Sonore

Un tempmusicaLargeo ascoltavo molta più musica. Nel senso di dieci, dodici, a volte anche quattordici ore al giorno. Mentre studiavo, mentre leggevo mentre scrivevo, mentre lavoravo… sempre musica. Anni fa, quando facevo tutt’altro lavoro, ero descritta nell’ambiente come “quella che in ufficio ha sempre la musica classica/l’opera”. E siccome procedevo per infatuazioni, ed ero capace di ascoltare e riascoltare lo stesso disco all’infinito, non era infrequente che finissi con l’associare un particolare pezzo a un libro, a un esame, a un progetto…

Così, per esempio, benché siano passati quasi trent’anni, non potrò mai sentire la IV Sinfonia di Brahms senza pensare al Deserto dei Tartari. L’Allegro non troppo e le travi scure della Fortezza Bastiani sono legati indissolubilmente per me. E la cosa buffa è che non mi ricordo nemmeno se nelle descrizioni di Buzzati la fortezza avesse davvero queste travi, ma è come la immaginavo ascoltando questa musica, e dubito che cambierò mai idea.

RambaudAltra associazione definitiva: le Five Variants of Dives and Lazarus di Vaughan Williams e le truppe napoleoniche accampate sull’isola di Lobau ne La Battaglia, di Patrick Rambaud. Mi si è fatto notare che non c’entra un bottone (e io protesto: non è del tutto vero), mi si è fatto notare che in anni successivi ho ascoltato le dannate Variants in ogni genere di altre circostanze, con o senza libri di mezzo… può darsi, ma quando violini&arpa attaccano il tema, io rivedo i fuochi da campo sull’isola.

Poi ci sono accostamenti seriamente dissennati, come la X Sinfonia di Mahler e l’Introduzione alla Sociologia Generale di Roucher (a cui andrebbe aggiunto anche il tè al bergamotto), oppure Dio che nell’alma infondere, dal Don Carlo di Verdi, e tonnellate di Economia Politica, o le Danze Ungheresi di Brahms e EC Law… l’ho già detto che ascoltavo musica mentre studiavo? Questi sono del tutto casuali, ma non per questo meno durevoli, visto che non sono svaniti in vent’anni e rotti, e sono solo alcuni di un numero notevole. E siccome non ho uno straccio di memoria visiva, ma ricordo perfettamente quello che studiavo o leggevo o facevo in corrispondenza di decine e decine di pezzi musicali, ne deduco che il mio cervello funzioni molto meglio con i suoni che con le immagini. Quando dovevo ricordare a memoria formule o elenchi, l’unico metodo veramente efficace era appiccicarli a un pezzetto di musica. Non c’è niente da ridere: è così che, dopo vent’anni abbondanti, mi ricordo ancora che nella quollah etiope si coltivano dura, mais, cotone e tabacco*. O almeno ci si coltivavano trent’anni fa**.musica8

Qualcun altro funziona nello stesso modo? Che cosa e come associate? E qualcuno che ragiona e ricorda per immagini?

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* Da  cantarsi sull’aria di “Maramao perché sei morto?” Don’t. Ask.

** Sì, lo so: una di quelle nozioni che non sai mai quando potranno servirti nella vita…

Feb 16, 2018 - grilloleggente    Commenti disabilitati su Duecentosettanta Pagine Più Tardi

Duecentosettanta Pagine Più Tardi

the-end-The-EndRicordate quel che dicevamo qualche giorno fa sul finale di Kidnapped? Ebbene, ne ho avuto questa reazione:

Ma davvero non ti sei mai accorta che mancava il finale? Proprio tu, che ti attacchi alle tende se una storia non ha l’arco aristotelico – o come cavolo si chiama?  Tu, che sei capace di mugugnare su un finale che non ti piace per anni, e hai poca pazienza con le multilogie perché i libri individuali non finiscono? Non offenderti, ma ci credo poco.

E in effetti è tutto vero – ossessioni per la fabula, mugugni, scarsa pazienza e tutto. Well, nego di essermi mai attaccata alle tende, se non in senso metaforico – ma per il resto… E però resta il fatto che, se non mi fosse stato fatto notare, difficilmente mi sarebbe mai saltato in mente di inserire Kidnapped in un eventuale elenco di Libri che Non Finiscono – e ciò benché, come dicevasi, di fatto non finisca.

E allora com’è?

KidnBankLa reazione di cui sopra mi ha fatto venire in mente un vecchio post, in cui mi domandavo che cosa mi rendesse più indulgente nei confronti di certi libri che di altri, e come mai potessi adorare certe storie nonostante la presenza di difetti che bastavano a farmene detestare altre. A parte l’idea che l’età renda soffici, ipotizzavo ragioni di spudorata parzialità per ambientazione e lingua, per poi concludere che in realtà dev’essere una questione di qualità della scrittura: un finale molliccio ma ben scritto non solo è più digeribile di un finale molliccio scritto male, ma si redime da sé anche in termini non comparativi.

E questo probabilmente vale anche per Kidnapped: quando lo lessi per la prima volta avevo vent’anni – età in cui non si è soffici affatto – ed è vero che avevo sviluppato di recente una parzialità per l’Inglese, ma le Sollevazioni Giacobite erano terreno interamente sconosciuto, seppure attraente. Semmai, a catturarmi furono la scrittura e la capacità narrativa di Stevenson e, soprattutto, l’incomparabile Alan Breck…

Quindi si direbbe uno di quei casi in cui, da uno scrittore che sappia davvero quel che fa, sono disposta a tollerare dispetti come un finale molliccio? È del tutto probabile, come dicevo – ma in realtà, a ben pensarci c’è qualcos’altro. C’è il fatto che, quand’ero entusiasticamente a metà lettura, scoprii l’esistenza di un seguito e me lo procurai al volo – cosicché, la sera in cui giunsi sulla soglia della British Linen Company, non feci altro che appoggiare un libro sul comodino, prendere l’altro, e ricominciare a leggere. kidnandCat

E insisto nel dire che Catriona nel suo complesso non è soddisfacente nemmeno la metà di Kidnapped – non foss’altro che per la limitata presenza di Alan – ma ci riprende esattamente sulla stessa soglia dove ci aveva lasciati, ci conduce attorno per qualche centinaio di pagine e, quando finisce, finisce.

E quindi è proprio vero: non mi sono accorta che il finale mancasse, perché ho trattato i due libri come uno solo. Il finale in realtà c’era – bisognava soltanto andarlo a cercare duecentosettanta pagine più tardi.

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