Mag 10, 2010 - anglomaniac, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Libri In Regalo

Libri In Regalo

Mi è capitato qualcosa che mi ha riportata alla lontana infanzia.

A titolo di regalo di compleanno tardivo, sono stata rapita e condotta in libreria, con l’ingiunzione di scegliere “dei libri”. Da anni acquisto la maggior parte dei miei libri su Internet (adesso, poi, li scarico direttamente sul Kindle), e quindi già la cosa in sé è stata molto sul genere tè-al-tiglio-e-madeleine. Ho girellato tra gli scaffali con quel senso di anticipazione e di scoperta che un tempo apparteneva alle sere di Santa Lucia – assoluta delizia!

E alla fine ho scelto Il Grande Gioco, di Peter Hopkirk, una magnifica storia della guerra di spionaggio tra Inglesi e Russi in Asia Centrale – praticamente lo sfondo di tante storie di Kipling! – e L’Uomo Dagli Occhi Glauchi, di Patrizia Debicke Van der Noot, romanzo storico incentrato su un meraviglioso ritratto tizianesco e sul servizio di spionaggio di Robert Cecil. 

E’ stato un incantevole regalo di compleanno. O di non-compleanno, se vogliamo virare sul carroliano – e io vorrei, perché il tutto è stato davvero un po’ nonsense.

Per di più, sabato è arrivato per posta The Infernal World of Branwell Bronte, di Daphne Du Maurier, e quindi adesso ho una piccola pila di tre libri che voglio tanto leggere, ma al momento non ho davvero tempo: se ne stanno lì, uno sopra l’altro come sirene rilegate, mi guardano ogni volta che passo nelle vicinanze, ammiccano, mi chiamano… Leggici, leggici, leggici! Lascia perdere il Riccio, dimenticati quel che devi recensire, prenditi una vacanzuola dalla storia bizantina. Leggi noi, noi, noi…

Per ora resisto, legata alla sedia maestra e con striscioline di to-do-lists appallottolate nelle orecchie. Fino a quando? Non si sa. 

Mag 9, 2010 - Spigolando nella rete    4 Comments

Teatrini

L’audio è in Olandese, ma non è del tutto rilevante. Ammirate, siore e siori, questo incantevole teatro giocattolo appartenuto, nel tardo Settecento, al barone Slingeland, e ancora funzionante con il meccanismo originale del XVIII Secolo. Inutile dire che quando sono stata ad Amsterdam non lo sapevo, altrimenti nulla mi avrebbe trattenuta dall’assistere a una delle piccole rappresentazioni che mostrano i quattordici meravigliosi scenari completi di luce di candela, onde in movimento, nevicate e altri prodigi assortiti…

 

Oh, come ne vorrei uno! Buona domenica a tutti.

Arte & Mestiere

Più o meno sapevo che questo post avrebbe avviato un principio di dibattito, perché l’argomento tocca corde tese (molto tese) tra l’immaginario collettivo e la cruda realtà, o almeno una certa percezione della cruda realtà.

L’idea generale sembra essere che la scrittura consista nell’aprire il proprio cuore e versare il contenuto sulla carta. Messy, se lo chiedete a me, e del tutto irrealistico, ma profondamente radicato. Per contro, il concetto che scrivere sia un mestiere che s’impara, che ha i suoi principi, le sue teorie, le sue astuzie, le sue tecniche e i suoi strumenti, fa inorridire molta gente. Addirittura, come si evince dai commenti a questo post altrui, l’uso di strategie viene visto come qualcosa di sleale o disonesto.

Credo che sia necessario fare una distinzione: da un lato c’è la tecnica della scrittura propriamente detta, dall’altro c’è il mercato editoriale.

La tecnica è la cosa che, quando abbiamo sedici anni e riempiamo vecchie agende di racconti scritti a biro, ci fa rabbrividire. Non c’è da stupirsi visto che viviamo in una temperie culturale istericamente ansiosa di porre tutta l’enfasi possibile su spontaneità, istinto, ispirazione e natura. Poi qualcuno dovrebbe prendersi la briga di spiegarci, mentre cresciamo, che spontaneità, istinto, ispirazione e natura da soli non bastano. Nemmeno il talento basta, se vogliamo perché, come l’elettricità, se non è incanalato, disciplinato e convogliato attraverso i giusti strumenti, non accenderà mai nessuna lampadina. Qui, badate bene, non stiamo parlando di genio, che segue regole tutte sue e non è classificabile. Parliamo invece di una combinazione di attitudine, gusto e immaginazione, che deve essere educata e disciplinata. Disciplina, altro tabù culturale: guai a dire che la pratica dell’arte richiede disciplina… o meglio, questo non è del tutto vero. E’ generalmente accettato che eseguire lavori altrui richieda applicazione e fatica. Tutti si aspettano grandi quantità di pratica e di sforzo da una ballerina classica o da un pianista, ma quando dall’esecuzione si passa alla creazione, ecco che torna alla ribalta l’immagine dell’artista libero, spontaneo e spettinato che lavora febbrilmente sotto la spinta irresistibile dell’ispirazione. Ebbene, sorpresa: l’immagine è carina, ma fasulla. Narrare una storia è una questione di logica, di causa ed effetto, di conseguenze e di estrema consapevolezza. Narrarla bene, poi, richiede di saper calcolare con accettabile precisione l’effetto di ogni singola parola, figura retorica e frase. E questi sono strumenti che s’imparano. S’imparano leggendo molto, provando a riprodurre, sperimentando strade nuove, leggendo ancora, studiando, scrivendo e riscrivendo, rileggendo ad alta voce, leggendo ancora un po’ studiando ancora di più… E’ il lavoro di una vita, se si fa sul serio. Ma, così come c’è differenza tra chi strimpella il pianoforte per il proprio piacere e chi si esibisce come concertista, allo stesso modo c’è differenza – una differenza nettissima – tra l’impegno richiesto a chi scrive per sé e chi pubblica.

E questo ci porta al mercato. Il mercato è molto, molto competitivo. Il mercato dovrebbe fornire una forma di selezione naturale. Il mercato non sempre funziona come dovrebbe, almeno non dappertutto e non a tutti i livelli. Il mercato non è una sudicia invenzione dei nostri tempi barbari e globalizzati – il mercato è sempre stato recipiente e stimolatore dell’arte, fin dalla prima occasione in cui qualcuno è stato pagato per una creazione artistica. Provate a contare quanti Caravaggio sono stati dipinti su commissione, e quanti perché il pittore si era svegliato in preda una piena alluvionale di spontaneità, istinto, ispirazione e natura.  Ma non divaghiamo e torniamo alla scrittura. Il mercato essendo quello che è, gli scrittori sviluppano strategie che integrano nella scrittura forme, diciamo così, di marketing. I Tre Ganci sono una di queste strategie, e il loro scopo non è quello di costringere con l’inganno l’ignaro lettore-pastorello a spendere i suoi sudati quattrinelli una porcheriola rilegata in brossura, ma di catturare l’attenzione di un potenziale acquirente bombardato da un’enorme quantità di offerte. L’onestà in scrittura è questione dai molteplici livelli, perché se non mi piacesse essere condotta in tondo per un po’, non leggerei romanzi, ma mi aspetto di essere condotta in tondo con finezza, grazie. Tuttavia, è onesto offrire sempre la migliore scrittura che si è in grado di produrre, in termini di struttura e di stile. Ciò detto, però, l’attenzione del lettore va guadagnata e mantenuta. Catturare il lettore, trascinarlo dentro la mia storia, tenercelo fino alla fine e lasciarlo andare desideroso di averne ancora, non è disonesto: è il mio mestiere. Cosa mi fa presumere che il mio stile, per quanto mi sforzi, sia così superiore a quello di chiunque altro da darmi l’incondizionata attenzione del lettore senza nessuno sforzo? Beata ingenuità, direi, e forse un soffio di presunzione.

Insomma, nel momento in cui decido di pubblicare una storia, essa assume una sua forma di vita indipendente da me. Dal punto di vista di questa vita, quanta gente legge la mia storia, quanta gente la legge fino in fondo, quanta gente la apprezza davvero, non sono questioni irrilevanti: sono rilevantissimi numeri che il mio libro dovrà contendere ad altri libri a colpi di molti tipi di superiorità e di appeal. E dunque, se voglio mandarlo Là Fuori, devo anche equipaggiarlo per la lotta.

Mag 7, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Pag. 35

Pag. 35

Dunque, l’ho iniziato. L’Eleganza del Riccio, intendo. E a titolo di segno di buona volontà, ci ho anche messo uno dei miei segnalibri preferiti (nastro di seta color porpora con un motivo a foglie)

Solo che, essendo una persona più furba della media, ho qualcosa che se non è un’influenza ci somiglia molto – a maggio! – e quindi al momento non sono una lettrice più fulminea del creato universo.

Quindi, sì: pagina trentacinque in tutto e per tutto. Allora, la Portinaia tutto sommato m’intriga, mentre per ora la voce della Dodicenne Innominata suona… non so, in qualche punto della scala tra fasulla e pretenziosa, ma comunque irritante. Il contrasto tra la vacuità, la meschinità e la grossolanità sostanziale dei ricchi da una parte, e dall’altra l’amore per la conoscenza e la signorilità innata (anche se talora dissimulata) dei poveri mi sembra un po’ insistito. Magari è presto per dire, ma di sicuro è molto insistito nelle prime trentacinque pagine. Sospendiamo il giudizio, e ci mancherebbe.

Di sicuro, per un libro che si scaglia con tanta veemenza contro i luoghi comuni, l’inizio mi sembra singolarmente zeppo di luoghi comuni (l’idiotino di buona famiglia che si gasa leggendo Marx, la grazia inattesa del rugbista maori, la domestica portoghese, l’incompresa profondità dei manga…) ma può ancora darsi che sia un’impressione creata con uno scopo preciso, magari un ribaltamento, un twist di qualche genere. Stiamo a vedere.

Per ora non sono conquistata. Però, prima di chiudere il libro, ieri sera ho dato uno sguardo all’inizio del capitolo successivo: ricordi di scuola della Portinaia, parrebbe. Ripeto: la Portinaia m’intriga. Qui vit verra.

______________________________________________________________

Oh, e siccome il paragrafo che segue si qualifica come spoiler, i tre o quattro altri platanicoli che, come me, non hanno ancora letto il Riccio, faranno bene a fermarsi qui.

Ad ogni modo, la Dodicenne Innominata ha precise intenzioni suicide, a meno che non trovi qualcosa di tanto bello (umano, animale, vegetale o minerale) da convincerla che vale la pena di vivere. Perché ho il forte, fortissimo sospetto che questo qualcosa finirà con l’essere qualche tipo di amicizia con la Portinaia assetata di conoscenza e bellezza? Hm… talk of telegraphing a story!

Mag 6, 2010 - libri, libri e libri    2 Comments

Bandiera Bianca

E va bene, mi arrendo.

Cedo alla forza dei numeri.

Di solito non leggo i libri circondati da troppo hype. Non ho letto La Solitudine dei Numeri Primi, non ho letto nemmeno un romanzo di Camilleri o di Faletti, ho abbandonato Va Dove Ti Porta Il Cuore a pagina sei, non ho letto Il Codice Da Vinci, ho evitato Baricco per quanto potevo, non ho letto Il Cacciatore di Aquiloni, non ho letto Gomorra… L’ho detto più di una volta: vivo su un platano. E, mi si fa notare, probabilmente sono anche un pochino snob.

Però adesso sono sopraffatta dall’entusiasmo e dallo zelo missionario di troppe persone di cui mi fido letterariamente, tutte convinte che la mia vita manchi di un quid di luce e gioia se non leggo Il Libro. E quindi, dopo molti mesi di fiera resistenza, ecco che capitolo. Mi arrendo senza condizioni, e stasera (prove permettendo) comincio a leggere L’Eleganza del Riccio.

Oddìo, magari proprio senza condizioni no: non cedo con buona grazia, temo. Mi ci sento un po’ trascinata kicking e screaming, e parto prevenuta. Lo so che è pessimo da parte mia, ma non posso tacitare quella vocina subdola che continua a sussurrarmi “non ti piacerà. Non può piacerti. Sai benissimo che non può piacerti, per costituzione, per forma mentis, per spirito di contrarietà. Ti verrà qualche violenta reazione allergica, ci puoi scommettere. A pagina 10 sarai annoiata; a pagina 40 sarai di umore sarcastico; a pagina 65 considererai seriamente di piantare tutto – e sarai arrivata così avanti solo perché, essendoti sbilanciata su SEdS, ti sentirai in dovere di…

Plaf!

E questo era il rumore del cuscino che ho appena schiacciato sulla Vocina Subdola, nel tentativo di zittirla.

Quindi, stasera comincio. E vi farò sapere, vi terrò aggiornati con un bollettino di lettura, perché poi magari sono capace di cambiare idea e trovarlo incantevole – a volte succede anche questo: sono irragionevole, ma non irragionevolmente irragionevole.

E adesso, a noi due, portinaia di Mme Barbery!

Mag 5, 2010 - guardando la storia    2 Comments

Ei Fu… in Ucronia

Molti anni fa – neanche moltissimi, pensandoci bene: nel 2001 – ho partecipato a un gioco promosso da Rai Radio Tre. Si trattava di una versione del celebre What If, in cui si stabilisce un’ipotesi ucronistica e poi ci si ricama sopra. Cosa sarebbe successo se, invece di X fosse successo Y?

Il gioco è affascinante, e ha intorno tutto un genere letterario, il cui maestro indiscusso è Harry Turtledove. Avete presente il suo Per Il Trono d’Inghilterra, in cui la Envencible Armada, anziché affondare ingloriosamente, conquista l’Inghilterra, e Shakespeare si ritrova invischiato in un intrigo politico letterario per rovesciare l’occupazione spagnola? Assolutamente fantastico. In Italia c’è La Saga di Occidente, in cui Roberto Farnesi ipotizza un’Italia in cui il Fascismo non è caduto. Affascinante serie di speculazioni.

Se parlo oggi di tutto ciò è perché nel gioco radiofonico di cui dicevo all’inizio, l’ipotesi era che Napoleone fosse fuggito dall’Elba negli Stati Uniti (e per dissennata che l’idea suoni adesso, c’erano fumosi piani in proposito e cospiratori intenzionati a metterli in atto). Come sarebbe cambiata la storia europea?

La mia ucronia cominciava così:

Napoleone raggiunge gli Stati Uniti dove, con sua somma delusione, si ritrova circondato soltanto da gruppi di bonapartisti alquanto velleitari e non troppo bene informati che agiscono in semiclandestinità, concionano di Ideali Rivoluzionari e, in un patetico tentativo di segretezza, si affannano a chiamare il loro ospite “Mr.Goodside”…

Napoleone non moriva più a Sant’Elena il 5 maggio 1821, ma nell’America del Sud, quindici anni più tardi. E Alessandro Manzoni dedicava all’avvenimento un’ode intitolata Il Quattordici Settembre:

Ei fu. Di guerra il fulmine

nel Messico lontano

si tacque. E rugge il tuono

che mosse la sua mano,

che il suo voler, mancando,

dietro di sé lasciò.

 

Dorme la spoglia immemore

nell’or di Montezuma.

Gloria, potere ed impeto

svaniro come bruma,

e ‘l due volte imperadore

il capo alfin posò.

 

E via dicendo per altre quindici o venti sestine – che non ho scritto. Però, se qualcuno avesse voglia di leggere l’intera storia, la può trovare qui.

Mag 2, 2010 - musica    1 Comment

Somewhere Over The Rainbow

Sara è stata la mia insegnante di danza classica quando ero bambina, adesso è la mia maestra di ginnastica e abbiamo lavorato insieme a due spettacoli – Isabella e La Notabile Fabbrica – di cui lei ha curato la coreografia e io i testi. Se non bastasse, l’ho vista di recente all’opera con i bambini che, tra molte altre cose, avvicina alla musica con sensibilità e intelligenza. E non credeva che l’avrei citata, e invece lo faccio.

Nonostante Sara cerchi di accopparmi due volte la settimana a furia di addominali, bande elastiche e stretching assassino, ecco accolta la sua richiesta:

E buona domenica a tutti!

Apr 29, 2010 - pennivendolerie    2 Comments

Epistolario MetaDickensiano Mignon

Ed ecco Nebbia, Pioggia, Tempeste & Aria Fresca (completo di un naufragio e un interludio svizzero) – Premio Speciale della Giuria a Stagionalia 2010.

Caro Mr. Dickens,

il mio amico Steerforth mi ha consigliato di scriverLe. Dice che, essendo il nostro Autore, Lei può far succedere le cose. Sarebbe di troppo disturbo per Lei farmi tornare a casa con la Mamma? Non è che non mi trovi bene a Salem House (anche se piove sempre, non tutti i maestri sono gentili, e il preside mi fa portare sulla schiena un cartello che dice “Attenti, morde!”), ma…

Il resto della storia è qui

Buona lettura!

Apr 28, 2010 - Oggi Tecnica, scrittura    9 Comments

Come Si Cattura Un Lettore Con Il Primo Capitolo

Questa è una tecnica quasi più da editor che da scrittore, ma direi che conoscerla non guasta, ed è basata sul comportamento del Lettore Tipo in libreria. Diciamo che stiate passeggiando tra gli scaffali. I motivi che vi spingono a prendere in mano un libro possono essere diversi: il nome dell’autore, il titolo, la copertina… non ha importanza. Resta il fatto che leggerete la quarta di copertina (oppure il risvolto della sovraccoperta), e poi, se siete ancora interessati, passerete alla prima pagina.

Capitolo I.

Se la prima frase vi attira a sufficienza, è verosimile che arriviate fino alla fine della pagina, giusto? Ma nelle ultime righe deve esserci qualcosa che vi spinge a voltare pagina per vedere cosa succede. A questo punto, se non avete rimesso il libro nello scaffale, potreste essere già catturati a sufficienza da comprarlo, oppure restare sospettosi – ma intrigati – e continuare a leggere. E questo è il motivo per cui il I capitolo dovrebbe essere piuttosto breve, e chiudersi con qualcosa, qualcosa che vi incuriosisca, che non vi permetta di mettere giù il libro.

Diamo un’occhiata, a titolo di esempio, al primo capitolo di Harry Potter E La Pietra Filosofale

Il signore e la signora Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante, dice l’incipit, che funziona come primo gancio. E in effetti, questa ringhiosa affermazione di normalità ci incuriosisce e ci induce a pensare che molto presto ai Dursley capiterà qualcosa che normale non è.

Nel resto della pagina ci viene descritta la perfetta normalità – e notevole sgradevolezza – dei Dursley. Il secondo gancio, a fine pagina, riprende il primo e non solo gli dà corpo, ma allarga la prospettiva dalla famiglia Dursley a tutto il paese: Quando i coniugi Dursley si svegliarono, la mattina di quel martedì grigio e coperto in cui inizia la nostra storia, nel cielo nuvoloso nulla lasciava presagire le cose strane e misteriose che di lì a poco sarebbero accadute in tutto il paese.

Segue una serie di scene in cui le cose strane e misteriose cominciano ad accadere. Dapprima è solo gente bizzarra che fa discorsi ancora più bizzarri, voli inusitati di gufi, stelle cadenti, accenni incomprensibili, notizie inconsuete al telegiornale, gatti nella strada, in un crescendo d’informazioni incomplete che culmina nell’apparizione di Silente, McGrannit e Hagrid a Privet Drive. Finalmente scopriamo che lo Harry* eponimo è un orfano di maghi, sopravvissuto a un evento cataclismatico – nel bene e nel male – e che sta per essere affidato ai suoi parenti, proprio i detestabili Dursley. Tutto finisce con i maghi che si dileguano e il piccolo Harry che dorme sulla soglia in attesa di essere “trovato”. Non poteva sapere, dice il terzo gancio, che in quello stesso istante, da un capi all’altro del paese, c’era gente che si riuniva in segreto e levava i calici per brindare “a Harry Potter, il bambino che è sopravvissuto”. E’ un ottimo terzo gancio: chiude il capitolo costruendo sugli altri due, ampliando ulteriormente la prospettiva e lasciando il lettore pieno di domande e di curiosità.

Chi è questa gente che brinda? Perché lo fa in segreto? Perché il fatto che Harry sia sopravvissuto è così importante? E via così. Ormai il lettore è catturato e, a meno che non detesti il genere**, non gli sarà facile piantare la lettura e rimettere il libro nello scaffale.

Voilà: Struttura in Tre Ganci del I Capitolo. Badateci, e vedrete che molti libri contemporanei di autori anglosassoni cominciano in questo modo, con tre ganci per incuriosire il lettore, trascinarlo dentro la storia e non lasciarlo più sfuggire. Vale la pena di tenerne conto: male non fa di sicuro e, se è vero che è destinata al lettore finale, comincia col dimostrare all’editor/editore che sapete quello che state facendo.

__________________________________________________________________________________

* Qualcun altro si è domandato perché, persino nei suoi documenti scolastici, Harry venga chiamato con quello che è un diminutivo? Non so: possibile che almeno la formalissima McGrannit, o qualche aspetto della burocrazia scolastica, o il Ministero della Magia non lo designino mai come Henry, o Harold, o qualunque sia il nome intero di cui Harry è diminutivo?

** Nel qual caso, però, forse era nel settore sbagliato della libreria fin dapprincipio.

Apr 27, 2010 - libri, libri e libri    2 Comments

Giornata Mondiale Del Libro

“Mi aspettavo che facessi qualcosa per la Giornata Mondiale del Libro, però.”

“Taci, va’. L’ho scoperto la settimana scorsa, e non sai quanti tipi d’idiota mi sono chiamata. Voglio dire, se c’era un argomento adatto per il mio blog… ma no, devo lasciarmela sfuggire.”

Te ne sei accorta la settimana scorsa?”

“Sì. Era il 23 di marzo, o lo sarebbe stata se io non…”

“Sei diventata russa di recente, o cosa? 23 aprile, Rommel!”

* cue rumore di scatola cranica in collisione con piano di scrivania. Due volte. *

Abbiamo trasmesso: La Donna Che Perse La Giornata Mondiale Del Libro E Poi La Perse Un’altra Volta, dramma radiofonico in un atto, triste e molto istruttivo.