Apr 15, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Dieci Libri Che Vorrei Avere Scritto

Non i miei dieci libri preferiti, ma dieci libri che sono davvero seccata di non avere scritto io. E’ diverso.

1) Lord Jim, di Joseph Conrad. Ma va’? direte voi. E’ una questione di potenza, di bellezza, d’intensità e di nitidezza. Nonostante la selva di narrazioni indirette, Conrad riesce a mettere tutto quanto in una prospettiva vertiginosa, centrata su un singolo errore del protagonista, conseguenza dopo conseguenza. Credo che potrei mentire, rubare, truffare e uccidere per saper fare questo…

2) History Play, di Rodney Bolt. Il più brillante, raffinato, intelligente e spiritoso gioco letterario che mi sia capitato di leggere – e ci sono pure cascata in pieno. Ci ho messo un bel po’ di pagine a capire che i dubbi su Shakespeare erano costruiti ad arte e che parte delle fonti erano immaginarie… e quando me ne sono accorta, ero talmente catturata dal gioco che non mi sono nemmeno seccata. Vorrei saper barare con tanta finezza e grazia.

3) Un Uomo Per Tutte Le Stagioni, di Robert Bolt*. Francamente non è che mi piaccia molto, e di sicuro non ho simpatia per Thomas More, ma accidenti, se vorrei saper mettere in scena dei personaggi storici (per tacere dell’occasionale figura allegorica) e farli parlare di ragion di stato, di Dio, di coscienza e di massimi sistemi con la plausibilità e naturalezza che a Bolt riesce così bene!

4) Poesie, di Emily Dickinson. Non scrivo poesia, ma quelle immagini che ti folgorano come un raggio di luce improvvisa e poi ti rimangono dentro, lustre e taglienti come gemme, chi è che non vorrebbe saperle mettere su carta?

5) Gli Ultimi Giorni di Costantinopoli, di Sir Steven Runciman. E’ rigorosissimo, ma si legge come un romanzo; è ricco e tumultuoso, e perfettamente chiaro al tempo stesso; e fa sperare, gioire e soffrire con i difensori, anche se sappiamo tutti benissimo come va a finire. Storia scritta al livello più entusiasmante.

6) Un libro qualsiasi di Gerald Durrel. Con la possibile eccezione di Storie Dal Mio Zoo, che posso accettare serenamente di non avere scritto io, sono tutti piccoli capolavori di humour leggermente surreale, memorie famigliari, viaggi e divulgazione scientifica, frullati con un’apparenza di disinvoltura noncurante che è tutta la mia invidia.

7) Kipling, di Renato Serra. Un gioiello di critica letteraria per profondità, intuizione, spessore, entusiasmo contagioso e bellezza della scrittura. E’ semplicemente impossibile non lasciarsi trascinare da Serra.

8) Annibale, di Gianni Granzotto. Letto e riletto così tante volte che la copertina si sta sbriciolando: una combinazione perfetta ed appassionante di rigore storico, capacità divulgativa e adesione profonda al personaggio, con l’occasionale speculazione intelligente.

9) La Figlia Del Tempo, di Josephine Tey. Già il fatto di dare ritmo a un giallo in cui l’investigatore è a letto con una vertebra fratturata non è impresa da poco. Qualora non bastasse, il giallo diventa una meravigliosa riflessione sulla storia e sulla verità, ed è anche condito di dialoghi scintillanti. Molto vicino alla mia idea di perfezione, grazie.

10) Il Pozzo Delle Trame Perdute, di Jasper fforde. Magari la trama non è la più tesa e compatta fra le avventure di Thursday Next ma, per una volta, non m’importa: è alla meravigliosa burocrazia del mondo dei libri, agli artigiani che producono pezzi di ricambio per i romanzi, al Gatto del Cheshire bibliotecario e a tutto questo splendore d’invenzioni metaletterarie che vorrei avere pensato io!

E poi, a dire il vero, è dura fermarsi qui**. La scelta non è stata facile: sono molti i libri che ammiro, e l’elenco si allunga continuamente (cosa che prendo per un buon segno). Però questa lista è già indicativa di quello che voglio non solo da quello che leggo, ma da me stessa quando scrivo. A giudicare dai titoli qui sopra, direi che intensità, idee, rigore, vividezza e personaggi che non si dimenticano sono sul menu, con un po’ di nonsense per dessert.

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* Non avevo mai fatto caso all’omonimia con l’autore precedente. Non so se ci sia parentela.

** Tant’è vero che debbo citarne almeno un altro: Jonathan Strange e il Signor Norrel, di Susanna Clarke, non foss’altro che per la brillante idea dei maghi inglesi che confondono le idee alle truppe napoleoniche spostando a destra e a manca strade, fiumi e villaggi di Spagna!

 

Apr 14, 2010 - libri, libri e libri, Oggi Tecnica    Commenti disabilitati su Liberamente Tratto – Parte II

Liberamente Tratto – Parte II

morality.jpgParlavamo di libri&film, ricordate?

Qualche tempo fa ho inavvertitamente noleggiato un film chiamato The Reckoning, con Paul Bettany* e Willem Dafoe, credendo che parlasse di Christoper Marlowe. Insomma, c’era il titolo, c’era il “boh, credo che parli di attori, di teatro…” di M.T… Come potevo non pensare che parlasse di Marlowe?

Invece era tutt’altro, la storia di un giovane prete nei guai che, nell’Inghilterra del tardo Trecento, si unisce a una compagnia di attori girovaghi. Naturalmente accadono cose impreviste, hanno bisogno di denaro, hanno un capocomico con delle idee eterodosse, c’è un omicidio… E’ un buon film, cupo e asciutto, ben fatto e bene ambientato, con un numero limitato di anacronismi minori, un arco narrativo solido e un finale parzialmente inaspettato. Se ho un’obiezione, è che è doppiato così così. Di solito i doppiatori italiani sono stratosferici… qui non proprio, ma pazienza – un momento o l’altro troverò il modo di vederlo in versione originale.

A film visto e restituito, una rapida indagine ha rivelato che The Reckoning è tratto da un romanzo storico di Barry Unsworth, Morality Play, tradotto in Italia come Lo Spettacolo della Vita (Frassinelli 1997, poi CDE 1998), e ho deciso che dovevo leggerlo. E’ stata una buona idea. Non è bizzarro come a volte un caso si leghi a un altro caso? Morality Play, scoperto noleggiando il film sbagliato, si è rivelato uno dei migliori libri che abbia letto da qualche tempo in qua.

Se vi capita, leggetelo, perché Unsworth sa il suo mestiere, ha un favoloso senso del periodo e sa come trasmetterlo vividamente al lettore. Nicholas Barber, narratore in prima persona, è credibile e attraente fin dalla prima riga: il suo sistema di valori, il suo terrore dell’inferno, il suo rimpianto per i suoi peccati e per il mantello perso, i suoi piccoli sfoggi di latino, di logica e di teologia suonano sinceri e perfettamente medievali. Il linguaggio è meraviglioso: niente contrazioni, qualche costruzione arcaica, un lessico pertinentissimo senza stravaganze**, ed abbiamo questo senso di secoli passati, ma non di estraneità. Poi non tutto è perfetto: il finale è un po’ floscio rispetto al resto della storia (anche se devo ammettere che la conversazione notturna con il giudice itinerante trasmette un serio senso di spiazzamento e di conclusione al tempo stesso: l’atmosfera è giusta, peccato che gli eventi siano tronchi), sir Roger de Yarm sembra un personaggio un po’ buttato lì, e non tutto è debitamente risolto. Ma la cosa davvero straordinaria è il modo in cui l’arte dei teatranti viene usata a fini narrativi. I dettagli della vita quotidiana della compagnia, pittoreschi e mai gratuiti, sono di per sé una gioia, ma Unsworth fa ben di più che portarci dietro le quinte. Morality Play è un giallo, in qualche modo, ma per una volta, individuare il colpevole e gl’innocenti prima di subito non toglie granché alla lettura. Quello che importa è il modo in cui la preparazione di un dramma diverso dai canoni viene usata per risolvere il delitto. Il teatro assurge da forma d’arte a forma di conoscenza: gli attori abbandonano il repertorio della sacra rappresentazione per l’ambizione del capocomico Martin, un visionario ansioso di sperimentare forme nuove, ma poi continuano trascinati dal modo in cui la logica narrativa del dramma rifiuta le facili soluzioni per l’omicidio commesso nel villaggio. Il dramma viene recitato tre volte, e ogni volta cambia e ramifica in direzioni diverse, sulla base di nuovi elementi che da soli non sembravano significare molto, ma che prendono vita appena portati in scena. Arte, conoscenza, verità e paura s’intrecciano in modo sempre più intricato, portando Nicholas e i suoi nuovi amici in direzioni inattese e molto, molto pericolose. E’ un po’ un peccato che tanta tensione non regga fino alla fine, ma l’insieme è così intelligente e profondo che si possono perdonare molte cose.

E il film? Ecco, il film è tutta un’altra cosa. Ho già detto che è un buon film, ma pur essendo tratto dal libro, non si può negare che racconti un’altra storia. I personaggi portano gli stessi nomi (tranne un paio di casi, per motivi meglio noti alla divinità che veglia sui cervelli dei produttori), ma sono molto diversi, così come sono molto diversi i rapporti tra loro, i loro peccati e le loro intenzioni. Più cinematografici, si capisce. E più cinematografico è il finale che, una volta di più, mette tutta la vicenda in una luce completamente diversa.

Ora, il fatto è che sarebbe stato impossibile finire il film nel modo in cui finisce il libro, o caratterizzare i personaggi del film come quelli del libro, o tenerli lungamente a guardare un torneo da una finestra, o lasciare al dramma, alla sua preparazione e alle sue implicazioni intellettuali il peso che hanno nel libro. Non avrebbe mai funzionato sullo schermo, e questo è fuori discussione. Però, per renderlo cinematografico, gli sceneggiatori hanno dovuto amputare a Morality Play proprio quegli aspetti che ne fanno un libro straordinario. Hanno fatto, tutto considerato, un buon lavoro, ma hanno raccontato un’altra storia, con un significato diverso e gente diversa. Che cosa dobbiamo dedurne? Probabilmente che Morality Play non si prestava ad essere ridotto per lo schermo. E allora? Vale davvero la pena di trarre un film da un libro che non si presta?

Lo dico una terza volta, a scanso di equivoci: The Reckoning è un buon film, molto buono, ma con Morality Play ha in comune l’ambientazione, alcuni nomi, l’atmosfera cupa e la forma base della trama. Come si chiama, davvero, il rapporto tra film e libro in un caso come questo?

Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa Barry Unsworth.

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* Sì, mi piace Paul Bettany, perché?

** Credo che persino Josephine Tey l’avrebbe considerato accettabile.

Apr 13, 2010 - Somnium Hannibalis    Commenti disabilitati su Mentre Non Guardavo

Mentre Non Guardavo

Primo incontro post-pasquale con gli Histriones e, mentre non guardavo, qualcosa deve essere successo.

Mancava un po’ di gente, così ci siamo concentrati su alcune scene tra Antioco e Annibale, più qualche passaggio di folla. I cosiddetti passaggi di folla sono cose complicate – non fatemi spiegare – e in continua evoluzione, ma le scene… oh le scene! L’ultima volta che le ho viste in prova erano ancora ad uno stato molto spigoloso, e ieri sera miracolo! Correvano una dopo l’altra, lisce e appuntite al tempo stesso, piene di ritmo, di personalità, d’intenzione.

Ossignore, mi emoziono solo a pensarci.

Naturalmente non siamo pronti, e ci mancherebbe: manca un mese e mezzo al debutto… sarebbe teatralmente indecoroso essere pronti adesso. Ma resta il fatto che, mentre ero distratta, Somnium Hannibalis – A Play ha assunto tutto un nuovo, non del tutto inatteso, ma assolutamente entusiasmante grado di vita.

L’attore che interpreta Annibale mi ha raccontato che aveva preso l’abitudine di alzarsi un’ora prima al mattino per studiare la parte e lavorarci sopra prima di andare in ufficio. Poi ha dovuto smettere, perché – dice – ci si immedesimava talmente che poi per tutta la giornata lavorativa si sorprendeva a pensare alla battaglia di Canne anziché alle condizioni che doveva trattare.

Ecco, anche questo mi emoziona non poco: ho scritto qualcosa – ho scritto qualcuno che cattura ed entusiasma un altro essere umano, tanto da fargli dimenticare occupazioni e preoccupazioni quotidiane. Tanto da fargli dire che Annibale gli resterà.

Il secondo miglior complimento che si possa fare a uno scrittore è dirgli “ho letto il tuo libro tutto d’un fiato.” Il migliore in assoluto, però, quello che ciascuno di noi sogna di sentirsi dire, è: “leggere il tuo libro mi ha segnato in qualche modo duraturo.” Forse è presto per dirlo, ma credo proprio che ieri sera mi sia successo.

Stanotte sono andata a dormire felice.

Apr 12, 2010 - libri, libri e libri    Commenti disabilitati su Nella Pancia della Bestia: un Italiano a New York

Nella Pancia della Bestia: un Italiano a New York

Tra65_Bestia150.jpgFrancamente, non tutti i blog si prestano a essere convertiti in libri, checché se ne dica, ma Nella Pancia della Bestia – Dritte e rovesci sulla vita a New York, di Michele Molinari (Vivalda 2009) funziona benissimo.

E’ il diario di un anno nella Grande Mela, scritto in un’ottica lontana tanto dal turista appena sbarcato quanto dal finto-naturalizzato-americano-a-tutti-i-costi. Lo sguardo è quello di uno straniero bene inserito, curioso, acuto, ironico (e autoironico), pronto a cogliere luci, colori, eccessi e meraviglie della vita ipermetropolitana.

Lettura durante si sorride, si pensa, si sfatano montagne di stereotipi (sempre salutare), si fanno affascinanti scoperte sui call-center, i taxi e la vita dei gatti americani, si riflette sull’Occidente, si desidera molto imbarcarsi sul primo aereo.

E’ chiaro che Molinari ama New York, la conosce in modo non convenzionale e si sforza di capirla, anche quando l’esercizio richiede elasticità mentale e sense of humor: leggere il suo libro è come farsi accompagnare per la città da qualcuno che ci vive con gli occhi, la mente e il cuore bene aperti. Per di più, il tono è fresco, immediato e accattivante, ma non rifugge l’occasionale riflessione: se il libro si legge come una chiacchierata, è senz’altro una chiacchierata intelligente.

Sarà davvero un piacere presentarlo, venerdì 16 Aprile alla UTE (Mantova, Via Mazzini 20) alle 15.30. Ci saremo l’autore e io, per un po’ di conversazione su New York, l’America, gli Americani, la vita, i blog, le foto e i massimi sistemi.

Una buona occasione, direi, per accostarsi a New York al di là dei luoghi comuni.

 

Apr 11, 2010 - musica    3 Comments

Musica Cassata

Siccome oggi è il mio compleanno, volevo farmi un regalino e postare uno dei miei pezzi d’opera preferiti: il cosiddetto Lacrymosa dal IV Atto del Don Carlos di Verdi. Non lo si sente spesso, perché questa scena, in cui Filippo II si duole assai di avere fatto assassinare il Marchese di Posa, fu cassata prima della prima parigina del 1867, quando il Don Carlos era ancora grand opéra in cinque atti.

Alla prova generale, a quanto pare, ci si rese conto che l’opera era troppo lunga, e i Parigini avrebbero perso gli ultimi treni che portavano fuori città… Occorreva fare dei tagli. Non potendo eliminare il balletto, Verdi finì con l’eliminare, tra l’altro, proprio questa scena che, pur essendo straordinariamente bella, aveva dato più di un problema in fase di prove, principalmente perché il tenore non aveva abbastanza voce per svettare sul coro dei Grandi di Spagna, e poi perché a Jean-Baptiste Faure, il Marchese di Posa originale, non andava di restarsene sdraiato sul palco nel ruolo del cadavere mentre gli altri gli cantavano attorno.

La scena non venne mai ripristinata nelle versioni successive dell’opera, ma Verdi ne rielaborò poi la musica nel Requiem, donde il nome retroattivo di Lacrymosa applicato – un po’ liberamente, ma non a sproposito – anche alla scena cassata.

Nel 1996, al Théàtre du Chatelet di Parigi, Antonio Pappano ha diretto una versione in cinque atti e in francese, un po’ ibrida quanto a scelte musicali, ma comprendente il Lacrymosa. Questa produzione (se si eccettuano le scene indifferenti e qualche scelta di costumi) è stratosferica, con una schiera di fenomenali cantanti-attori, e la strepitosa regia di Luc Bondy, sobria, efficace e curatissima, piena di tensione e di idee. A mio avviso, una delle migliori versioni che si trovino in giro.

Ecco, questa era la mia intenzione, ma YouTube non collabora, e quindi mi sa tanto che il Lacrymosa dovrete andarlo a vedere qui.

Buona domenica!

 

Apr 10, 2010 - grillopensante, musica    2 Comments

Libretti

Qualcuno, forse, un giorno mi spiegherà perché i libretti d’opera italiani debbano essere così surrealmente magniloquenti.

Partiamo con un esempio eclatante: il libretto originale francese del Don Carlos di Verdi e la sua traduzione italiana.

L’Infant est un rebelle armé contre son père* si potrebbe quasi usare in conversazione, ma come si può non sussultare un pochino ogni volta che Re Filippo si lamenta che L’Infante è a me ribelle, armossi contro il padre? E sì, lo so che in traduzione succedono cose bizzarre, tanto più se bisogna restare nei tempi di una musica composta su un testo in un’altra lingua, ma davvero non c’erano alternative al tradurre Tais-toi prètre! con Non più, frate? Ma bisogna dire che de Lauzières e Zanardini, nel tradurre dal Francese, hanno abbondato in eccentricità. Come altro definire l’epico emistichio (tre-quarti-stichio, in realtà) Ver voi il pensier schiude i vanni? Considerate che “ver” vorrebbe un accento circonflesso per indicare che sta per “verso”, e che i vanni sono ali, e che tutta la faccenda significa semplicemente “penso a voi”. E ad essere sinceri, a me piace molto anche il popolino madrileno che definisce se stesso Il popolo ultor.

Ma in fondo, stiamo parlando di opera, quella forma d’arte teatrale piena di gente che, con tutti i suoi decibel, ulula “Non sappia il ver” a un metro e mezzo dalla persona che il ver non deve saper, e che, ferita a morte** o all’ultimo stadio della tisi, canta per un quarto d’ora prima di defungere***. Diciamo pure che all’opera la sospensione dell’incredulità gioca un ruolo maiuscolo – e, se vogliamo, non c’importa poi troppo di sentire e vedere assurdità quando sono messe in musica sublime.

Tuttavia, nulla impedisce di conservare un barlume di senso dell’umorismo, anche se il mio mentore operistico inorridisce ogni volta che sogghigno. Il mio mentore è di quelle persone che non battono ciglio di fronte ai vari Taciturna ed erma pace qui spira, Egra reietta dal sole, e Nefario silenzio, di cui Tobia Gorrio**** ha lardellato La Gioconda di Ponchielli, da cui riporto un piccolo scambio tenore-soprano:

Enzo – I tenebrori del tuo mister saprò. Parla…

Gioconda – No.

Enzo – Parla.

Gioconda – No.

Ammetto che in musica è un’altra cosa, ma di per sè… Anche perché poi, nel giro di dieci versi, Enzo chiama Gioconda “iena furibonda” e “fanciulla santa” in rapida successione, per poi concludere che “Sulle tue mani l’anima tutta stempriamo in pianto…”

Però devo ammettere che Francesco Maria Piave, librettista verdiano, ha un genere di talento che mi commuove ancora di più. Come quando, ne La Forza del Destino, Don Alvaro balza in scena pindareggiando così: Ah! Per sempre, o mio bell’angiol/ Ne congiunge il cielo adesso!/ L’universo in questo amplesso/ Io mi veggo giubilar. Ma Leonora non è da meno, quando si lamenta del fatto che tutti sappiano la sua orrida storia: mio fratel narrolla! o quando, più tardi, minaccia “andrò per balze gridando aìta”.

Il Nobel per l’Incomprensibilità, comunque, Piave lo vince con Ernani: nelle prime due scene del III Atto riesce a concentrare le seguenti tre perle:

1) Gli Elettor… raccolti cribrano i diritti a cui spetti… la corona.

2) Tre volte il bronzo ignivomo alla gran torre toni.

3) Cimbe natanti sovra il mar degli anni.

Per la cronaca: 1) Gli elettori vagliano chi abbia più diritto al trono; 2) Si sparino tre colpi di cannone; 3) Piccole imbarcazioni sul mare della vita. Eh?

D’altronde, Piave è anche il librettista della Traviata. Alzi la mano chi non ha mai levato le sopracciglia di fronte al surreale Al natio fulgente sol/ Qual destino di furò? Ma poi Alfredo nega riedere in seno alla famiglia, e meco t’assidi, e seguirammi, e… Piave è sempre Piave. Adoro Piave.

Chiudo dicendo che il mio gatto si chiama Udrotti. Come nel Marin Faliero*****: – Anche un’ora! e udrotti, o perfido,/ steso al suol chieder pietà. Che poi, a dire il vero, “udrotti” c’è anche in Alfieri (più di una volta) e in Pellico, e forse anche altrove. Ma il nome del mio gatto viene dal libretto.

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* Atto IV nella versione in cinque atti, atto III nella versione in quattro. Il Don Carlos è fatto così: ha versioni a non finire.

** Vigoleno di Verlasca, Festival Verdiano 2005, Ernani. All’ultimo atto, come ognun sa, Ernani si accoltella, e poi canta ancora a lungo. “Però!” commentò un anziano signore dietro di me, “el canta, per un che s’è apena tirà na cortlada!” E il suo altrettanto anziano amico rispose: “Eh, as ved ch’el ne s’è mia ciapà al polmon…” State seri, voi!

*** Stavo per scrivere “defungere in posa decorativa,” ma poi ci ho ripensato: in realtà molto dipende dalla stazza dell’interprete. Ho visto una rappresentazione dei Due Foscari in cui, nella scena del carcere, una comparsa/secondino ha portato al tenore una sedia al momento giusto perché potesse svenirci sopra. Quando Foscari Fils si è ripreso e il tenore si è alzato, via la sedia. Very helpful.

**** Che era poi sempre Arrigo Boito.

***** Libretto di Bidera, non di Piave, lo ammetto.

Apr 9, 2010 - considerazioni sparse, libri, libri e libri    Commenti disabilitati su A Volte Buzzati Interferisce

A Volte Buzzati Interferisce

000012055579.jpgOggi tagliano la tuia.

La tuia ha più di ottant’anni – l’aveva piantata il mio bisnonno – ed è alta una ventina di metri. Non è uno di quegli alberi con cui fai conversazione, è lì e basta, di sentinella accanto a un cancello, altissima e diritta. L’estate scorsa la stupida Tess ci si è arrampicata fino a metà e ci è rimasta per un giorno e una notte, salvo poi balzare giù come se niente fosse. Dopo che avevamo fatto venire i VVFF con l’autogru. Ultimamente la tuia non sta molto bene: ha la punta secca, cosa che – mi dicono – non preannuncia nulla di buono. Se crolla per il verso sbagliato, la tuia ci abbatte la casa dei custodi. Se crolla per il verso meno sbagliato, ci butta giù un garage. Oppure, con un minimo d’impegno, può anche centrare i fili elettrici.

Così oggi tagliano la tuia.

Da qui sento le motoseghe al lavoro, e i tonfi dei pezzi di tronco che cadono, ed è strano, considerando il lavoro che facevo prima, che ci siano pochi rumori che odio come una motosega che morde il legno.

E so anche che è stupido piangere per un albero, e che è diventato davvero pericoloso lasciarla su, e che ad ogni colpo di vento cade qualche ramo. E che pianteremo subito un’altra tuia. Lo so benissimo, grazie.

Però…

Avete letto Il Segreto del Bosco Vecchio, di Buzzati? Non parlo del film (chiunque abbia avuto l’idea di scritturare Villaggio per il ruolo del Colonnello Procolo dovrebbe essere sculacciato sulla pubblica piazza, anche se è Olmi in persona!!), ma della novella.

Ecco, stamattina mi pare che il Genio della tuia debba essere seduto qui sulla poltrona alle mie spalle, e che, se mi azzardassi a voltarmi, mi guarderebbe con aria di rimprovero. E mi pare anche che il venticello che soffia fuori non possa essere Matteo – troppo timido: dev’essere Evaristo.

Altro tonfo, più sordo: fra cinque minuti, della tuia non sarà rimasto più niente. Sono passati un po’ di anni dall’ultima rilettura, e non mi ricordo che cosa succede al Genio quando l’albero viene tagliato. C’è una scena, questo sì, con il Genio seduto sconsolatamente sul tronco abbattuto, e tutti i suoi simili attorno. Dopo di questo non mi ricordo. Forse il Genio svanisce e basta.

Ecco, hanno finito. Fuori c’è un meraviglioso profumo di ginepro.

Ed è stupido, proprio stupido, lacrimare così sulla combinazione di un libro e di un albero, vero? Stupido oltre ogni misura.

Apr 8, 2010 - guardando la storia    Commenti disabilitati su L’Ammiraglio Che Non C’è

L’Ammiraglio Che Non C’è

Suleyman Balta-Oghlu, dico.

Se leggete Sir Steven Runciman* o Franz Babinger**, ve ne venite via con l’impressione che Suleyman Balta-Oghlu fosse un ammiraglio della flotta ottomana durante l’assedio di Costantinopoli, nel 1453. Fin qui tutto bene. Scoprite che il Nostro è figlio di un boiaro bulgaro, che poi si converte (o è convertito) all’Islam e fa carriera al servizio del Sultano Murad, e poi di Mehmed II. Nel 1444 è membro di un’ambasceria spedita a Buda; nel 1449 combatte a Lesbo, abbastanza bene da farsi notare dal giovanissimo Mehmed; alla fine del 1452 lo ritroviamo governatore di Gelibolu/Gallipoli, dove sovrintende all’allestimento della nuova flotta ottomana. Poi Mehmed lo nominerà ammiraglio (Kapudan Pasha), e mal ne incoglierà, a Balta-Oghlu: nell’aprile del 1453, dopo avere predicato prudenza per un mesetto, ha la mala ventura di lasciarsi sfuggire quattro navi occidentali in arrivo. Per impossibile che sembri, quattro legni – di cui uno armato di Fuoco Greco – riescono a farla in barba all’intera flotta ottomana, ed entrare nel blindatissimo Corno d’Oro tra il tripudio degli assediati. Mehmed non la prende bene, e qui finisce la carriera di Balta-Oghlu.

Questa, dicevo, è l’impressione che vi fate, e vi sembra più che sufficiente per un personaggio di contorno. In fondo, deve solo essere scaltro e calcolatore, irritare ripetutamente Mehmed, fallire grandiosamente e fare una fine pittoresca… dov’è il problema?

Il problema è che, in fase di revisione, decidete che Balta-Oghlu merita di meglio. Già che ci siamo, perché non dargli un punto di vista? Secondario, se vogliamo, ma pur sempre un punto di vista. E allora vi serve qualche notiziola in più, che diamine. Per prima cosa, tornate a Babinger e Runciman, e non solo ritrovate esattamente e soltanto le informazioni che avete già utilizzato nella prima stesura, ma scoprite anche – con un certo risentimento – che nessuno dei due autori cita le fonti da cui ha preso le informazioni in questione.

Be’, pazienza. Cercate sul vostro amatissimo Oxford Dictionary of Byzantium (in tre volumoni) e non trovate nulla. Strano. Setacciate la vostra nutrita bibliografia di bizantinerie e fate anche una capatina in biblioteca, e non cavate un ragno dal buco. Cercate allora su Internet… e che diamine! qualcosa ci sarà, no?

No. Non c’è nulla. Wikipedia in versione inglese ha uno stub tratto da Runciman che vi dice meno di quanto già sapeste; Wikipedia italiana, idem con ancor meno patate. Wikipedia turca***, sorpresa delle sorprese, il buon Balta-Oghlu**** lo ignora. Ma completamente. Non ha nemmeno uno di quei link rossi che non conducono a nessun articolo: l’uomo è citato superficialmente in una discussione e, a parte quello, per la Wiki turca potrebbe non essere mai esistito.

Bizzarro, no? Estendete la vostra ricerca dalla storia dell’assedio a quella della flotta ottomana, completa di liste degli ammiragli, e il risultato è sempre lo stesso: nada.

Allora vi rivolgete a uno storico militare che già un paio di volte vi ha levato dai pasticci, e gli raccontate il vostro guaio. Gli riassumete rapidamente quello che sapete, e gli ponete le vostre domande: SBO è stato razziato ragazzino e cresciuto ottomano, o si è convertito in età adulta? Che tipo di carriera ha fatto prima di diventare governatore di Gallipoli? Ha mai servito nei Giannizzeri? Lo storico militare è una cara persona e, pur ammettendo di non sapere assolutamente nulla del signore in questione, vi dà una buona idea: perché non vi rivolgete all’Addetto Navale dell’Ambasciata Turca a Roma?

Voi, francamente, avete qualche patema a rivolgervi all’Addetto Navale per la documentazione di un romanzo storico, ma l’idea vi sembra brillante lo stesso, perché le ambasciate hanno anche Addetti Culturali, e chi meglio di un Addetto Culturale può aiutarvi a dipanare una questione di storia? Mentre cercate un indirizzo elettronico dell’Ambasciata, v’imbattete in un giornale online di cultura turca con un servizio di domande e risposte molto attivo e, per non lasciare nulla d’intentato, provate anche lì. Vi risponde un gentilissimo signore (italiano) che non ha mai sentito nominare SBO, ma v’indirizza alla persona giusta all’Ambasciata.

Voi scrivete alla supposta persona giusta, e aspettate fiduciosi. Già che ci siete scrivete anche al Consolato di Milano, perché non si sa mai, e continuate ad aspettare fiduciosi, e ogni tanto fate ancora qualche ricerchina per conto vostro, pescando sempre lo stesso genere di pesce: niente.

Dopo un certo numero di giorni, dal Consolato vi suggeriscono di rivolgervi all’Ambasciata. Già fatto, grazie. E dopo un po’ di giorni ancora, dall’Ambasciata vi dicono che: a) hanno cercato su Internet e non hanno trovato nulla; b) hanno cercato nei loro archivi e non hanno trovato nulla; c) vi passano l’indirizzo di un docente di storia dell’Università di Ankara, al quale potete provare a rivolgere la vostra domanda.

Voi lo fate, e cominciate anche a disperare un tantino. Non è che non abbiate fiducia nel Professore, ma cominciate a domandarvi che cosa farete se anche il professore dovesse ignorare l’esistenza di SBO… Supporre che in realtà non sia mai esistito? Decidere che i Turchi hanno rimosso la figura dalla loro memoria storica? Levarlo dal romanzo? Inventargli di sana pianta un’infanzia e una giovinezza plausibili?***** Perché poi, badate bene, voi sareste perfettamente felici anche di sapere che non esistono fonti affatto, e che sapete già tutto quello che si può sapere, perché allora sareste liberi di riempire le lacune di testa vostra. Dopo tutto siete romanzieri, non saggisti, giusto?

Ma nel frattempo, resta l’atroce dubbio che in realtà qualcosa esista, qualche fonte remota sulla base della quale qualcuno, un giorno, vi sbugiarderà grandiosamente. Vi vengono le palpitazioni al sol pensiero. In più, vi domandate com’è possibile che un’ammiraglio della flotta ottomana esista soltanto nelle fonti secondarie occidentali, e a questo pensiero vi prudono tutti gl’istinti storico-narrativi che avete.

E così aspettate trepidi che il Professore si faccia vivo, e intanto fate speculazioni selvagge e, se non state attenti, vi ritrovate con tutta la trama di un giallo storico…

Chi è Suleyman Balta-Oghlu? Donde viene? Dove va? Che d’è questo fitto mistero che lo avvolge come un sudario d’oscurità? Come si sono smarrite le sue tracce nella nebbia dei secoli? Qualcuno lo ha voluto dimenticare? E perché? Riuscirà la nostra eroina a fare luce sul misterioso Bulgaro?

Non perdete il secondo, emozionante episodio de… La Clarina e l’Ammiraglio Fantasma! Prossimamente su queste pagine.

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* Steven Runciman, Gli Ultimi Giorni di Costantinopoli, Piemme, 1997. Magnifico libro.

** Franz Babinger, Maometto il Conquistatore e il suo tempo, Einaudi, 1983. Altro gran bel libro.

*** Ci sono momenti in cui si apprezza persino il traduttore automatico di Google, vero?

**** Henceforward indicato come SBO, se non vi dispiace.

***** Oddìo, potreste anche provare a rivolgervi davvero all’Addetto Navale, a questo punto…

Apr 6, 2010 - Spigolando nella rete    Commenti disabilitati su Piccole Gioie (Gratuite) Per Il Regista Dilettante

Piccole Gioie (Gratuite) Per Il Regista Dilettante

Ho detto, credo, che mi sono scoperta un certo gusto a mettere insieme piccoli video. Non nel senso che sia diventata brava, ma mi ci diverto. E nel procedimento ho anche scoperto che in rete si trovano un sacco di risorse gratuite per questo genere di passatempo (oppure per prodursi da sé il proprio booktrailer). Qualcuna di queste la conoscerete senz’altro, qualcuna forse no, ma ecco che cosa ho scovato e utilizzato:

– MovieMaker: ok, lo confesso, non c’è voluto molto per scovarlo, visto che arriva insieme a a Windows… Non sarà il massimo, ma è semplicissimo da usare e offre abbastanza possibilità di videoediting, per cominciare.

Dreamstime: da qui è possibile scaricare gratis immagini e fotografie. Ci sono anche quelle a pagamento, naturalmente, molte di più e di qualità migliore (e a prezzo assolutamente ragionevole), ma se non si vuole investire la scelta nella sezione FREE è più che decente. So che in teoria si potrebbe semplicemente fare una ricerca immagini con Google, ma Dreamstime e altri siti consimili risolvono i problemi di copyright in cui è meglio non incorrere, soprattutto per un booktrailer o altro materiale commercial/promozionale. La licenza è ragionevolmente ampia.

Partners in Rhyme: come sopra, ma con gli effetti speciali al posto delle immagini, perché registrare il suono della pioggia che cade o il bubbolio di un gufo non è semplice come sembra…

GIMP: sì, d’accordo, lo conoscete tutti. Per chi, come la sottoscritta, fosse vissuto su un platano fino all’altro giorno, GIMP è un programma di fotoritocco, “l’alternativa gratuita a PhotoShop”. Io che sono informatically challenged non lo trovo orribilmente intuitivo, ma dopo averci smanettato per un’oretta (e, lo confesso, ricorrendo a PhotoPhiltre per le funzioni più semplici) sono riuscita a fare quello che m’interessava fare. Più o meno. Conto d’imparare meglio nel prossimo futuro.

Free Sound Editor: dalla qualità dell’audio nel mio video si evince che qui ho ancora molti, molti progressi da fare, ma questo arnesetto è davvero intuitivo, e permette, fra l’altro, di editare, modificare e mixare files audio. L’intenzione è di farci un po’ di pratica e poi passare all’altrettanto gratuito (e, credo, più potente) Audacity.

Ecco qui. Tutto gratuito, tutto ragionevolmente semplice, sufficiente a gratificare, almeno all’inizio, il regista e il montatore che si sono in ognuno di noi.