Stamattina mi sono svegliata con Toomai Of The Elephants in testa, e non c’è stato verso: era questione di rileggerlo o pensarci per tutta la giornata.
TOTE è uno dei racconti del Libro Della Jungla, ma viene spesso pubblicato per conto suo. E’ la storia di un ragazzino indiano che vuole diventare un mahout e della sua straordinaria iniziazione, ma è soprattutto una storia di elefanti, dei loro riti e delle loro menti un pochino umane e molto misteriose.
TOTE è anche la porta attraverso cui, più o meno trentacinque anni fa, mi sono avvicinata a Kipling. Ho ricordi di mia madre che mi legge questa storia in una sera d’estate, della potenza delle immagini, e più di tutto della danza degli elefanti, selvaggia e solenne nel cuore della foresta buia. Sono certa che la radice prima della mia predilezione per gli elefanti è proprio lì.
E quindi per prima cosa stamattina ho cercato Toomai Degli Elefanti e l’ho riletto
No, non sui ricordi d’infanzia – non sono ancora a questo punto – ma sulla storia in sé. Mi sono commossa sul mahout che chiama il suo elefante “mio signore”, su Petersen Sahib che sa di non poter capire molte, molte cose, su Kala Nag, l’elefante più amato in tutto il Servizio, sul piccolo Toomai, sfrontato, timido e fiducioso come i bambini veri, sugli elefanti selvaggi e domestici che si danno convegno e poi tornano al loro posto – e sul finale. No, non vi dico nulla del finale, andate a leggerlo qui – in Inglese*.
E, una volta di più, non capirò mai il modo in cui è sottovalutato Kipling, con la sua scrittura vivida e potente, con le sue caratterizzazioni finissime e così umane, con la sua curiosità intellettuale e con la sua vena epica…
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* O, se preferite, qui in Italiano – ma vi avverto: la traduzione è tutt’altro che male, ma in caratteri da lasciarci una diottria ogni tre righe e in una formattazione tanto irritante quanto incomprensibile… Basta vedere come hanno trattato le due poesie all’inizio e alla fine.