Non avevo mai letto nulla di William Palmer, fino al giorno in cui mi è capitato fra le mani, a fini di HNR, il suo The Devil is White.
Ed è stata una sorpresa.
La storia comincia in Inghilterra, nel 1792, con un gruppo di entusiasti decisi a fondare la loro utopia coloniale su un’isola vicina alla costa occidentale dell’Africa.
Una società libera e democratica, senza schiavitù, basata sul duro lavoro, sul merito e sull’onesta interazione con le tribù della costa.
E sì, è vero, le tribù della costa praticano il commercio degli schiavi con lucroso entusiasmo – ma solo per mancanza di solida guida morale. L’esempio degli isolani liberi&felici e la conversione al Cristianesimo sono destinati a cambiare tutto…
E sì: ingenui fino a questo punto.
Almeno alcuni di loro.
Perché noi non tardiamo ad accorgerci che accanto agli idealisti in perfetta buona fede, come il Capitano Coupland, l’aristocratico poeta Caspar Jeavons e il Reverendo Tolchard, ci sono anche sogetti meno disinteressati, come il futuro governatore Sir George, più ansioso di gloria personale che di duro lavoro, o i Meares, in fuga dalla prigione per debiti…
E ci accorgiamo anche che tutti – candidi e profittatori alike – vanno alla ventura nella più superficiale delle maniere. Nessuno ha mai messo piede sull’isola, nessuno si preoccupa del perché i precedenti coloni portoghesi abbiano rinunciato dopo pochi anni, nessuno ha pensato di selezionare in qualche modo gli aspiranti isolani, nessuno si preoccupa della stagione delle piogge.
A pagina 7 sappiamo già che l’impresa è destinata al disastro. Ma i personaggi non lo sanno, e noi li seguiamo, con affascinato orrore, mentre precipitano. Leggiamo le lettere senza destinatario di Caspar, alternate alla voce onnisciente e a una manciata di altri punti di vista. E simpatizziamo viepiù con Mr. Knox, il disincantato mercante (di non si sa troppo bene cosa) che fa da interprete e balia a questi sconsiderati. E guardiamo i nodi venire al pettine, l’uno dopo l’altro. E ci domandiamo a quale punto idealismo e perseveranza diventino follia…
E il tutto in un linguaggio asciutto ed elegante e apparentemente distaccato persino nel descrivere la ferocia dell’isola nei confronti dei suoi would-be colonizzatori. Ma dietro l’eleganza, è l’incrociarsi dei punti di vista a costruire spessore e ironia drammatica.
E no, non è tradotto – né potrei giurare che lo sarà mai. Però è una storia crudele, intelligente, aguzza e scritta magnificamente, e vale del tutto la pena.