Kit Marlowe come personaggio teatrale, dicevamo… E infatti, rieccoci qui, con un’altra manciatina di plays – con i cui autori, in un modo o nell’altro, ho avuto occasione di corrispondere.
Perché Caligola? Perché il Kit di Cassidy, prima di morire, meditava di scrivere su di lui. E onestamente, Caligola sarebbe stato proprio il tipo di personaggio che poteva interessare a Marlowe, così che l’idea di partenza è tanto brillante quanto plausibile, e lo diventa sempre più, mano a mano che Caligola in persona mette in luce tutti i punti di contatto (veri o immaginari o inclinati a 45° e tinti di violetto) tra la sua storia e quella del suo mancato autore. E ci sono questioni di identità, di arte, di umanità, di potere – il tutto servito con abbondanza di humour nero e dialoghi efficaci in un Inglese estremamente contemporaneo con l’occasionale sfumatura period.
Cavallo di tutt’altro, tutt’altrissimo colore è il Christopher Marlowe di Francis Hamit, bizzarro dramma in un Inglese pseudo-elisabettiano legnosetto anzichenò, con un protagonista eponimo francamente odioso. E badate, che il fatto che chi semina vento raccolga tempesta tende ad essere un caposaldo della maggior parte della narrativa e del teatro incentrati su Kit: genio e sregolatezza, coraggio intellettuale e imprudenza suicida compaiono più spesso che no, e anche in TRoKaLB e in Marlowe, for that matter. Ma là dove chiaramente Cassidy e Lillie simpatizzano con Kit, Hamit lo detesta di cuore. Che il suo Marlowe sia un poeta è una specie di sentito dire – decisamente un aspetto marginale rispetto alla spia senza morale né sentimenti né profondità di sorta. D’altra parte, Hamit era interessato esclusivamente all’aspetto del lavoro d’intelligence, e considerava Kit uno psicopatico sadico e morboso… Parole sue.
Insomma, la costante mi sembra una: quale che sia il taglio, quale che sia il colore linguistico, quale che sia la posizione dell’autore rispetto al protagonista, Kit è sempre ritratto a grandezza più che naturale. Una creatura di eccessi – nel bene e nel male – con cui è sempre complicato avere a che fare, e che si rovina da sé. Genio, poesia e umanità sembrano essere, all’occasione, opzionali.