Perché a volte è difficile capire se a Stevenson Edimburgo piaccia davvero…
Di sicuro la giudica una città scissa, ed ecco che torniamo all’inizio: Lo Strano Caso del Dr. Jekill e Mr. Hyde è sì una storia londinese, ma il tema della dualità è qualcosa che Stevenson lega sempre alla sua gelida, ventosa, oscura e soprattutto duplice città natale. Cominciamo da qui: quando nel 1707 la Regina Anna, l’ultima Stewart regnante, firma l’Act of Union, facendo di Scozia e Inghilterra un’unica corona, Edimburgo perde non solo il suo status di capitale, ma anche qualsiasi possibilità di recuperarlo. E alla città che era stata il centro di un regno per due secoli, questo non piace nemmeno un po’. Morale, quando gli Stewart in esilio provano per due volte a riprendersi la corona di Scozia (e già che ci sono, magari, pure quella d’Inghilterra), Edimburgo li accoglie con più di un palpito. Nel 1745 le ultimissime velleità giacobite vengono spente brutalmente nel sangue a Culloden, ma gli Hanover, i nuovi re tedeschi che hanno ereditato il trono da Anna, non sono stupidi. L’idea è che, se non può più essere capitale, Edimburgo va trattata come se lo fosse, almeno in parte. Così, nell’ultimo terzo del XVIII Secolo, avviano una ricostruzione in grande: alla vecchia Edimburgo medievale, arroccata sopra e intorno allo sperone di roccia del castello, se ne affianca una nuova, settecentesca, luminosa e ordinata.
Che differenza tra i vicoli ripidi della città vecchia, i palazzoni stretti stretti, alti fino a quattordici piani, i cortili di pietra, le finestre a feritoia, le garguglie e i pinnacoli e, dall’altra parte, le vie ampie, le statue equestri dei vari Giorgi nelle piazze, le cancellate, le facciate a stucco, gli alberghi, i negozi! Tutta la Edimburgo bene, quella che prima si affollava nelle magioni avite intorno al castello, migra sull’altro lato di Princes Street, lasciando indietro un formicaio di small folks tutto attorno al castello, tagliato longitudinalmente dal Royal Mile, la strada che conduce giù giù fino a Holyrood Palace. Due città, una gotica e una georgiana; una cresciuta su se stessa, l’altra progettata a tavolino; una antica, l’altra moderna; una buia, l’altra bianca; una povera e pericolosa, l’altra agiata e rispettabile; una colma di leggende e di fantasmi, l’altra tanto placida quanto si può esserlo in questi climi. Due mondi.
Ma questa non è la sola dicotomia che Stevenson vede nella sua Edimburgo.
Edimburgo è una città di provincia per cinquanta settimane l’anno, che poi si anima all’improvviso in capitale per i quindici giorni di residenza del Lord Commissioner, scatenandosi in un carosello di parate, cerimonie, ricevimenti, petizioni e cortei.
Edimburgo ha una celebre scuola di medicina, dove si formano i migliori physicians delle isole britanniche, ma… gli studenti di Edimburgo sono migliori degli altri perché praticano di più, studiano meglio l’anatomia sui cadaveri. E da dove arrivano i
A Edimburgo, d’altra parte, morte e vita sembrano andare a braccetto con molta familiarità: né Giuseppe II né Napoleone sono mai giunti su questo lato della Manica, e la città vecchia è inaspettatamente piena di cimiteri. Si svolta un angolo, ed eccone uno, su cui guarda magari il retro di cinque o sei palazzi. Dalle finestre escono i rumori della vita quotidiana, l’acciottolio di stoviglie lavate, il pianto di un neonato, il canto di una cucitrice al lavoro si mescolano ai colpi di badile del becchino, gl’inquilini al piano terra stendono la biancheria ad asciugare tra le lapidi, e i gatti del caseggiato cacciano i passeri tra le tombe. D’altra parte, nella città vecchia non è del tutto infrequente, dice Stevenson, passare davanti a qualche porta coperta di tavole inchiodate, chiusa così dall’ultima epidemia di peste e mai più riaperta, nel timore superstizioso che il morbo sia ancora dentro, acquattato e pronto a balzare sull’incauto che apra la porta. O ancora, c’è chi ha per vicino il fantasma di qualche assassinato, o di un criminale irretito dal demonio: tutto il vicinato sa dei rumori che si sentono a notte fonda, e i monelli più coraggiosi vanno a gridare ingiurie attraverso il buco della porta sprangata.
Non è strano, a Edimburgo, questa città così preoccupata della propria anima, così devota, così pia, e dove però i Presbiteriani sono in guerra perpetua con gli Anglicani, e con centro altre sette e confessioni, tanto che la domenica, quando tutte le campane suonano, non è un concerto, ma un coacervo di suoni discordanti. E poi, a fianco di quest’ansia di faziosa devozione, ecco il permanere di certe celebrazioni pagane. Se Natale si celebra in severa, protestante sobrietà, il primo dell’anno è Hogmanay, una giornata di alcool, fiaccole, danze licenziose ed eccessi vari. E guai quando il primo dell’anno cade di domenica!