Senza Errori di Stumpa

Galaxy Quest

Sempre per la serie A Me La Fantascienza Non Piace, ho rivisto per l’ennesima volta Galaxy Quest.

Ora, l’unica cosa che posso dire nel tentativo di sembrare un po’ meno dissennata è che GQ non ha nulla a che fare con il lato angosciante del genere: è una fantastica metaparodia di Star Trek, ciò che spiega parecchio riguardo alla mia capacità di guardarlo senza perdere il sonno.

Dico metaparodia, perché GQ non è soltanto una versione buffa di Star Trek à la Spaceballs, ma un amabile e intelligente divertissement su tutto il mondo che ruota attorno a un programma del genere – ed è davvero un mondo bizzarro. Tutto comincia con la serie eponima, grande successo negli Anni Ottanta, poi cancellata, ma assurta a oggetto di culto, con reggimenti di fans che seguitano a incontrarsi in costume per rivedere i vecchi episodi, collezionare modellini e studiare i piani dell’astronave, la NTE* Protector. Ed è proprio a una di queste conventions che si ritrova, diciotto anni dopo la cancellazione della serie, il cast originale. Nessuno di loro ha fatto gran carriera, dopo GQ – probabilmente a causa di GQ. I Nostri sono una fauna variegata: l’ex bambino prodigio che faceva il Piccolo Pilota Prodigio è… be’, cresciuto; la Bellona Pettoruta che ripeteva ogni parola del computer (Sigourney Weaver, of all people!) è diventata cinica; l’ex Ingegnere Capo Scanzonato ha sviluppato problemi di alcol e di autostima; il Prode Capitano è disperatamente ansioso di convincersi che GQ è stata una buona cosa nella sua vita (e forse è l’unico che ancora ne ricava qualche soddisfazione). Il mio prediletto, però, è Alan Rickman, nel ruolo di Sir Alexander Come-Mi-Sono-Ridotto-Così? Dane, un attore shakespeareano inglese finito a interpretare lo Ieratico Ufficiale Scientifico Alieno**.

La faccenda è già piuttosto spassosa così, ma poi le cose cominciano a succedere, e questo litigioso, demotivato gruppo si ritrova più o meno rapito da degli alieni particolarmente ingenui, che non distinguono gli attori dai loro eroici personaggi. E non sarebbe ancora nulla, se gli sprovveduti intergalattici non contassero proprio sui finti eroi per salvarsi dal Malvagio, un lucertolone sadico e genocida, sveglio abbastanza da capire presto come stanno in realtà le cose.  

Seguono improbabilità tecnologiche, fraintendimenti culturali, un diluvio di riferimenti cinematografici e televisivi, azione gratuita, guerra, amore e morte, tropi narrativi come se piovesse (e naturalmente gli attori li riconoscono come tali – solo che stavolta sono veri), e la folgorante idea che a salvare tutto e tutti, alla fine, non siano i Nostri Eroi, ma i fans a casa.

Insomma, GQ non è un film profondo, però ha dalla sua delle buone idee, del sense of humour, attori in gamba*** e, più di tutto, una buona scrittura in grado di giocare con riferimenti culturali, tecniche narrative complesse, showbiz (e, volendo, anche qualche questione filosofica di realtà e non realtà) con disinvoltura spiritosa. Morale: profondo o no, è un film intelligente.

Ce ne fossero!

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* Tanto per capirci: la sigla (che in realtà nella versione italiana è diversa) sta per Not The Enterprise. Capito quello che intendevo?

** E a questo punto chi conosce Star Trek si sta già divertendo più di chi non lo conosce.

*** Oh, Alan Rickman che leva gli occhi al cielo ogni volta che qualcuno (sulla Terra o altrove) gli nomina il Martello di Grabthar! Almeno fino a quando Quellek non va incontro a un destino inaspettato…

Galaxy Questultima modifica: 2010-07-06T08:50:00+02:00da
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