Senza Errori di Stumpa

Promessi Sposi, Capitolo XXVI

Ricordate il Cardinal Borromeo, diffusamente incontrato nel Capitolo XXII? Ebbene, a cavallo tra i capitolo XXV e XXVI lo vediamo mentre riprende e rampogna il povero Don Abbondio per l’infelice parte che ha giocato in tutta la faccenda fin qui.

A Manzoni non era riuscito di rendere simpaticissimo il buon Federigo allora, e quattro capitoli più tardi le cose non migliorano apprezzabilmente. Se ne accorge anche l’autore, che apre il XXVI col seguente retorico dubbio: non ci sentiamo un po’ tutti a disagio con l’eccelso predicar d’amore e carità del CFB? Facciamoci coraggio col considerare che poi lui queste virtù le predicava davvero…

Sì, grazie: l’abbiamo visto nel XXII. Abbondantemente. Resta il fatto che per tutto il dialogo che segue è quasi impossibile non simpatizzare col povero curato in disgrazia, con la sua stizza a distanza nei confronti di Perpetua (che l’aveva detto!), coi suoi sapidi e umanissimi asides:

Anche questa gli hanno rapportata le chiacchierone,” detto di Lucia e d’Agnese;

Ecco come vanno le cose,” diceva ancora tra sé don Abbondio: “a quel satanasso,” e pensava all’innominato, “le braccia al collo*; e con me, per una mezza bugia, detta a solo fine di salvar la pelle, tanto chiasso. Ma sono superiori; hanno sempre ragione. E’ il mio pianeta, che tutti m’abbiano a dare addosso; anche i santi.”

ora vien la grandine,” mordendosi la lingua dopo essersi lasciato scappare che bisognava esser stati al suo posto davanti ai Bravi per capire…

E invece la grandine non viene, perché il CFB usa tattiche assai più sottili. Si turba, s’acciglia, fa mostra di accogliere l’implicito rimprovero: è giusto, nessuno può rimproverare se non con piena cognizione di non avere mai commesso il fallo che rimprovera. Che gli indichi Don Abbondio i suoi (del CFB) falli, e allora se ne potranno dolere insieme…

E che può dire Don Abbondio, se non che per carità! tutti conoscono la virtù somma del CFB… E’ ovvio che il CFB non ha mai conosciuto una debolezza simile a quella di Don Abbondio, non ha né avrebbe mai ceduto alle intimidazioni di nessuno! Vero e certo, nulla da dire – ma è proprio qui che interviene la fallacia logica del CFB, perché diciamocelo: se anche il CFB si fosse trovato di fronte i Bravi di Don Rodrigo (o qualche minaccia equivalente su scala maggiore), che diamine! Era un Borromeo, cugino di un santo in fieri, ben presto un vescovo e poi cardinale. Era un uomo autorevolissimo per nascita, per ruolo, per parentele e per carisma personale. Vien da pensare che non abbia tutti i torti Don Abbondio, con la sua considerazione irrispettosa: il CFB non sa di che cosa parla. Non sa nulla dell’essere piccoli, deboli d’animo, un po’ meschini e tremebondi, tutto sommato facili a colpirsi, e ancor più a spaventarsi. Ha davvero una virtù sovrumana da esibire, il CFB, ed ha ragione nel riprendere Don Abbondio – ma non è davvero un caso di quella suprema virtù del comando: pretendere dagli altri solo ciò che si pretende da se stessi.

Alla fin fine Don Abbondio è contrito, vergognoso, intenerito, dispiaciuto di sé – ma più ansioso di riparare che convinto di avere fatto la scelta sbagliata perché “in mezzo a que’ discorsi, ciò che stava piú vivamente davanti, era l’immagine di que’ bravi, e il pensiero che don Rodrigo era vivo e sano, e, un giorno o l’altro, tornerebbe glorioso e trionfante, e arrabbiato. E benché quella dignità presente, quell’aspetto e quel linguaggio, lo facessero star confuso, e gl’incutessero un certo timore, era però un timore che non lo soggiogava affatto, né impediva al pensiero di ricalcitrare: perché c’era in quel pensiero, che, alla fin delle fini, il cardinale non adoprava né schioppo, né spada, né bravi.”

Segue edificante paternalina sulla possibilità di riparare ai propri errori, e di come quelle rampogne abbiano addolorato il CFB ancor più che Don Abbondio… Come quando eravamo piccoli e, all’occasionale sculacciata, si accompagnava il classico “fa più male a me che a te”. Ci credevate, voi? Nemmeno io e quindi tutti, a proposito del CFB, possiamo concludere con Don Abbondio: “Oh che sant’uomo! ma che tormento!

Del resto del capitolo voglio notare solo due cose: Agnese che si sente fatta donna di mondo dalle circostanze (“[T]i vengo a prender io a Milano; io ti vengo a prendere. Altre volte mi sarebbe parso un gran che; ma le disgrazie fanno diventar disinvolti; fino a Monza ci sono andata, e so cos’è viaggiare. “) e l’ironico accostamento tra il duraturo interesse del Capitano Generale di Milano per i casi di Renzo fuggito nel Bergamasco e il rancore di Roma nei confronti di Annibale – tanto simile a quello tra Don Abbondio e il Principe di Condé all’inizio del Capitolo II.

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* A parte la mia predilezione per l’Innominato (rigorosamente pre-conversione) posso confessare di avere sempre parteggiato per il fratello del Figliol Prodigo e per le novantanove brave pecore piantate nel deserto mentre il Buon Pastore va alla ricerca di quella delinquente della Pecora Smarrita?

 

 

Promessi Sposi, Capitolo XXVIultima modifica: 2010-11-24T08:05:00+01:00da
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